James Joyce secondo Stefano Manferlotti (Il Quotidiano di Foggia)

di Gaetano D'Elia, del 17 Dicembre 2013

da Il Quotidiano di Foggia e Quotidiano di Bari del 17 Dicembre

Stefano Manferlotti, per Rubbettino, pubblica una monografia sullo scrittore irlandese James Joyce, a lungo frequentatore dell’Italia. Con la sua prosa rapida e il passo spedito di chi subito va al dunque, lo studioso chiarisce caratteristiche e valore degli scritti joyciani, inquadrandoli nel clima culturale dell’epoca e passando in rassegna tutti gli scrittori che subirono l’influsso dell’autore di “Ulysses”. Ormai gli scrittori più avvertiti erano “insoddisfatti dei modi del naturalismo ottocentesco”. In “tutte le arti il naturalismo descrittivo /aveva/ esaurito la sua spinta e i suoi modelli erano inadeguati a interpretare una realtà il cui moto si /era/ fatto vorticoso”. Henry James fu tra i primi a cercare un rimedio a questa situazione. “Ancor più lontana dai modelli ottocenteschi è la scrittura di James, del quale si potrebbe anzi dire senza esitazione che abbia definito con cospicuo anticipo i tratti più sperimentali del modernismo narrativo”. Gli “elementi che mai prima di allora erano stati inseriti con tanta lucidità nella tessitura materiale della pagina” sono “l’impersonalità del narratore, l’ambiguità di ogni atteggiamento e di ogni situazione descritta, la tecnica del punto di vista multiplo impiegata con la maestria del virtuoso, l’occasionale ma sapiente riflessione sugli stessi procedimenti compositivi”. In questa scia Joyce fu dominato dall'”ossessione per la dimensione tempo, l’attenzione per la spersonalizzazione subita dall’uomo contemporaneo /qui in sintonia con Kafka/, l’assenza, nella Storia, di un qualsiasi finalismo, la necessità di sondare la lingua inglese e il linguaggio letterario in genere fin nei loro più profondi recessi per poterli rigenerare”. Joyce si adoperò nell’ambito della sincronizzazione: cioè come far collimare passato e presente, nel senso che le vicende dell’antieroe Leopold Bloom, nell'”Ulisse”, s’intrecciassero e si rispecchiassero nelle vicende (eroiche) dell’Ulisse omerico, con lo scopo, non secondario, di mettere a confronto passato e presente. I due protagonisti maschili (il giovane Stefano, alla ricerca di un padre, e l’attempato Leopoldo, alla ricerca di un figlio) formano un duumvirato che interagisce secondo gli stilemi e la pratica della dottrina della chiesa cattolica, cioè conversando a domande e risposte. Come Joyce ingloba Omero, così ingloba il catechismo. Il padrone di casa torna di sera dalla moglie e subito nota, ben visibile, “l’impronta lasciata dal corpo” di Boylan, l’uomo col quale Molly tradisce il consorte. Questi non obietta e, con stile catechistico, riassume la giornata sua e di Stephen; per quel che gli compete, poi, l’autore rivela “la distanza ironica” che lo separa “dai suoi personaggi”. “Di che cosa deliberò il duumvirato durante il tragitto? Musica, letteratura, l’Irlanda, Dublino, Parigi, l’amicizia, la donna, la prostituzione, il cibo, l’influsso dei lumi a gas, o delle lampade ad arco o a incandescenza, sullo sviluppo degli alberi praeliotropici adiacenti, la dislocazione da parte del municipio di sacchi di sabbia per emergenza, la chiesa cattolica romana, il celibato ecclesiastico, la nazione irlandese, l’educazione gesuitica, le carriere, lo studio della medicina, la giornata trascorsa, il malefico influsso dei giorni precedenti le feste, lo svenimento di Stephen”. Questo bel catalogo, che mescola futilità e serietà, ben sostituisce gli elenchi relativi alle armi di Achille o a quelle che servirono a uccidere i Proci. Entrambi (padre e figlio putativi) sono ‘outsider’, esuli in patria, persone che fanno fatica ad adattarsi a quanto li circonda”. L’autore e i suoi personaggi danno una vigorosa spallata al vecchio modo di scrivere (e di pensare). Tematiche affini troviamo in Franz Kafka, “attento a mostrare come la saldatura tra anonimato burocratico e anonimato esistenziale, ormai assunta a dato di fatto, imponga la costruzione di un personaggio svilito nella sua cifra individuale, ‘agito’, piuttosto che soggetto di azione”. Anche tutto questo testimonia dell’erosione dei canoni narrativi vittoriani (e vetero-praghesi).

di Gaetano D’Elia

Clicca qui per acquistare il volume al 15% di sconto

Altre Rassegne