L’addio a Luciano Barca sulla stampa (Il Corriere della Sera)

del 9 Novembre 2012

cronache_dall_inter_volume_i

Uomo colto, raffinato, intelligente, appassionato, direttore dell’Unita’ per tanti anni, parlamentare, seppe mettere al servizio del Paese la propria curiosita’ inesausta, espressa in campi anche molto diversi, e seppe svolgere, senza per questo impoverire il suo messaggio, la funzione pedagogica che una volta era dei politici e che oggi e’ purtroppo marginale. E’ scomparso ieri sera a Roma Luciano Barca, personaggio importante della storia repubblicana e personalita’ ricca e complessa: non solo giornalista, non solo politico, non solo economista con una grande capacita’ didattica e divulgativa, ma anche partigiano, capace di azioni audaci. Tra gli altri lo ricordano Il Corriere della Sera e il Fatto Quotidiano.

Da Il Corriere della Sera – 9 novembre 2012
Il partigiano con il sommergibile Barca, una vita tra Pci e giornali
Addio a Luciano, 92 anni, un comunista «aperto»

Se ne è andato a quasi 92 anni, Luciano Barca: lucido, combattivo, curioso com’è stato per tutta la vita. Ha scritto molto di politica e di economia. Ma il suo libro più significativo è, per un comunista di lunghissimo corso, anche il più curioso. Si chiama «Buscando per mare con la X Mas», lo hanno pubblicato gli Editori Riuniti, e vi si narra del giovane ufficiale Barca Luciano, medaglia d’argento al valor militare, che a bordo del suo sommergibile ammutinato riguadagna l’Italia, dove si unirà alla lotta partigiana. Alla caduta di Mussolini, Barca ha chiesto a un sergente di sondare gli umori dei sommergibilisti, una settantina. La maggioranza si dichiara socialista, i fascisti sono il, i democristiani è impossibile catalogarli. Avrà presto modo di conoscerli, Barca. Con un giovanissimo Giulio Andreotti ha parlato di politica e giocato a ping pong, assieme a Franco Rodano, Marisa Cinciari, Adriano Ossicini, alla Scaletta, il circolo dei gesuiti frequentato dagli studenti del Visconti. Le strade si separano presto, Andreotti con Alcide De Gasperi e la Dc, lui prima con Rodano e gli altri (i famosi cattocomunisti) nella Sinistra cristiana, poi nel Pci: il rapporto personale rimarrà. Aldo Moro lo ha conosciuto più tardi, ma sarà lui, per conto di Enrico Berlinguer, a tenere con Moro, personalmente e tramite Tullio Ancora, i rapporti più stretti. Fino alla notte tra i115 e il 16 marzo del 1978. È uomo di partito ma anche di relazioni, Barca. Nel partito, dove, da quel berlingueriano sui generis che è, si colloca tra il centro e la sinistra, gli capita spesso di essere, seppure a modo suo, e quindi civilmente, settario. Specie con la destra interna, del cui padre nobile, Giorgio Amendola, dice che ha più fiuto politico di tutti, ma di economia sa solo quello che gli racconta Adolfo Tino. All’esterno, invece, è capace di aperture significative verso il mondo della finanza e dell’impresa, ed è tra i primi a sostenere che, sull’Europa, i comunisti devono cambiare posizione. Comincia presto, nel 1957, da direttore di Politica ed economia, la neonata rivista economica del Pci pensata, inizialmente, per affidarla ad Antonio Giolitti. E forse pure prima. Nell’immediato dopoguerra, Pasquale Saraceno lo chiama tra i suoi collaboratori, e inizia a vedersi regolarmente, a Milano, con un gruppo che comprende, tra gli altri, Adriano Olivetti, Ezio Vanoni, Giorgio Sebregondi. Una volta assunto all’Unità come redattore economico, chiede per correttezza a Saracenose non sia il caso di sospendere gli incontri. Continueranno. All’Unità si fa strada rapidamente: arriverà a dirigerne l’edizione torinese. Togliatti la considera, con viva soddisfazione del marinaio Barca, «la marina del partito». Ai brillanti ufficialetti di estrazione borghese che vi lavorano consente cose impensabili per un funzionario di partito. Persino quella di essere favorevoli al piano Marshall, e di consegnargli di persona un vibrante documento di protesta quando la Cecoslovacchia, su ordine di Mosca, si tira indietro. Solo 15 giorni dopo, durante una delle consuete visite al giornale, si chiuderà in una stanza con Barca, Alfredo Reichlin e il capo degli esteri, Gabriele De Rosa, per spiegare loro pazientemente che è cominciata la guerra fredda. Seguono quarant’anni di milizia politica e giornalistica, e di alterne fortune. Fino alla Bolognina. Barca non ha cuore di seguire Achille Occhetto e il Pds. Continua, però, a stare a sinistra, a intervenire, a studiare: il sito della sua associazione culturale, Etica ed economia, ne testimonia l’impegno. I suoi diari dall’interno del Pci li ha affidati alla fondazione Giangiacomo Feltrinelli e Rubbettino li ha pubblicati qualche anno fa. Alcuni dei suoi appunti non corrispondono a quanto ricordano altri suoi autorevoli compagni. Non so chi abbia ragione. Per la parte (ovviamente minima) che mi riguarda, compreso il resoconto dí un surreale pranzo a Zagorsk, pochi giorni prima dello strappo di Berlinguer, con un pope che voleva brindare con me alle rovine della Polonia, la precisione è assoluta e, devo aggiungere, l’affetto e la stima evidenti: nonostante vi si parli della mia uscita da Rinascita che lui dirigeva, e dal Pci (quindi, per un direttore e per un dirigente politico di una sconfitta). Gliene abbiamo fatte tante (io meno di altri) in quegli anni difficili. A ripensarci adesso, non me ne vanto neanche un po’.

di Paolo Franchi

Da il Fatto Quotidiano – 9 novembre 2012
Luciano Barca, quando la politica era passione

Ci ha lasciati una persona perbene: Luciano Barca. Luciano ha avuto molte vite: combattente per la libertà, giornalista, dirigente politico, parlamentare, saggista e uomo di cultura. Ma oggi mi sembra importante ricordare che era uomo “di altra tempra”. È oramai convinzione diffusa, soprattutto tra chi ha meno di trent’anni, che chi fa politica per professione lo faccia solo perché attratto dagli elevati Stipendi e dai benefici della “casta”. Ogni giorno del resto ci arriva la notizia di un qualche leader politico che si è arricchito usando a fini personali soldi dél finanziamento pubblico o di tangenti. Difficile spiegare ai giovani che un tempo c’era chi decideva di dedicarsi a tempo pieno alla militanza come “una scelta di vita”. Luciano Barca apparteneva a quella categoria di persone che in gioventù aveva creduto che fosse un dovere civico impegnarsi nelle file di un partito. Non si può riassumere, in poche righe, una vita lunga e così piena come quella di Luciano, non ci provo nemmeno. Voglio solo segnalare a chi, per ragioni anagrafiche non lo conosceva, qualche informazione. Luciano Barca si laurea in Giurisprudenza con una tesi in Economia politica. Partecipa alla Seconda guerra mondiale come ufficiale della Marina e in particolare combatte nel Mediterraneo alla guida dí un sommergibile. Aveva però già maturato sentimenti antifascisti e così dopo l’8 settembre decide di battersi al fianco degli alleati per la liberazione dell’Italia dai nazi-fascisti. Finita la guerra aderisce al Partito Comunista italiano. Nel 1946 lavora come giornalista presso la redazione romana dell’Unità e si occupa di temi economici. Nel 1953 assume la direzione della redazione torinese dell’Unità; passa poi all’Istituto Gramsci e diventa direttore, nel 1958, della rivista economica del partito: Politica ed Economia. Nel 1956 viene eletto nel Comitato Centrale e dal febbraio 1960 entra nella segreteria del Partito. Ha collaborato con Togliatti, poi con Longo e con Berlinguer. Nel 2005 ha pubblicato per Rubbettino i suoi diari “Cronache dall’interno del vertice del Pci” che restano fra i documenti più interessanti e non agiografici scritti dall’interno del più importante Partito comunista dell’occidente. Era un politico e un economista. Studiava, si documentava, leggeva prima di prendere posizione. I suoi scritti erano sempre improntati all’analisi documentata e mai all’elencazione di principi preconfezionati. Ho sempre pensato che per capire davvero cosa sia stato il Partito comunista italiano bisognasse incontrare e parlare con Luciano. O meglio, per comprendere fino a che punto quel partito pur pieno di ideologismi fosse aperto e ricco di persone pronte a misurarsi con la sfida di immaginare una società più giusta da realizzare in democrazia. Ciò che mi ha colpito di Luciano, fin dalla prima volta che lo conobbi nel 1991, era questo profondo senso delle istituzioni democratiche, questa reverenza verso la Repubblica, questa sua consapevolezza che non ci fossero scorciatoie, che lunga e faticosa sarebbe stata la strada verso un’Italia migliore. Raccontava spesso, anche nel clima difficile dell’Italia degli anni Cinquanta, non aveva mai smesso di avere rapporti e amicizie anche al di fuori del partito, anche tra i non comunisti. I comunisti italiani erano, allora, un popolo separato, quasi un enorme convento. I dirigenti comunisti in particolare facevano una vita di chiusura verso l’esterno e frequentavano solo “compagni”. Luciano invece era capace di dialogare e di capire le ragioni degli altri. Era vicino a Enrico Berlinguer; fu Barca a far incontrare Berlinguer e Moro. Il compromesso storico nella visione di Barca non era lo sbocco finale ma un passaggio necessario per ricomporre la .rottura del 1947 e per legittimare reciprocamente le due grandi forze popolari: Pci e Dc; ma per poi avviare una competizione pienamente democratica. Riteneva prioritaria per l’Italia di oggi la questione della legalità e della lotta alla corruzione e anche per questo gli siamo grati.

di Sandro Trento

Altre Rassegne