Donne di poca fede

del 8 Maggio 2012

Da Il Sole 24 Ore, 06 maggio 2012
Alla fuga delle quarantenni dalla Chiesa è dedicato il libro di Armando Matteo, un giovane teologo che riflette con coraggiosa autocritica su un fenomeno ormai manifesto.

Non ricordo nulla, neppure la trama, di uno dei tanti romanzi di Conrad che lessi molti anni fa, Fortuna. Eppure m’è rimasta impressa una battuta irresistibile: «Essere donna è terribilmente difficile, perché consiste soprattutto nell’aver a che fare con gli uomini».

Parlare, quindi, dell’«altra metà del cielo» (stereotipo francamente stucchevole) non è possibile senza coinvolgere quella che si è sempre considerata come «prima metà», quella maschile. Tuttavia, bisogna riconoscere che non di rado si deve tener conto dello specifico femminile e questo non vale solo per l’aspetto sessuale, vanamente stinto e fin estinto dalla moderna teoria del gender. È il caso preso in esame da un ancor giovane teologo. Armando Matteo, che ha già scritto testi molto originali, creativi e demitizzanti nei confronti dei suoi coetanei, soprattutto riguardo alloro rapporto con la fede (penso al suo saggio sulla Prima generazione incredula, edito da Rubbettino nel 2010). Ora prende di mira. «la fuga delle quarantenni» dalla Chiesa, incrociando per certi versi un altro scritto recente che Michela Murgia ha pubblicato lo scorso anno da Einaudi col titolo un po’ irriverente ma icastico di Ave Mary. Il fenomeno è sotto gli occhi soprattutto dei pastori e ne ho fatto io stesso esperienza: negli anni iniziali dell’ormai lungo ministero sacerdotale le file dei volti femminili giovani nelle liturgie domenicali erano fitte, certamente superiori a quelle dei loro colleghi maschi. Ora da tempo la parità è stata raggiunta anche qui, come tra l’altro è confermato a livello statistico da una ricerca condotta da Paolo Segatti e Gianfranco Brunelli per la rivista bolognese «Il Regno» nel 2010. E dato che anagramma di «sociologia» è «ciò lo so già», possiamo dire che l’assenza e la diffidenza religiosa delle giovani donne, dai quarant’anni in su, rappresentano un fenomeno che tutti avevano già avvertito nei due o tre decenni che stanno alle nostre spalle. E ancora: dato che si è soliti assegnare tutti i mali culturali al mitico Sessantotto, la cronologia sembrerebbe allegare un’altra giustificazione a quel luogo comune. Il distacco femminile dalla Messa, dal matrimonio canonico, dalle vocazioni religiose, dall’educazione spirituale si manifesta, infatti, con vigore a partire dagli anni Settanta. In verità. lo studio di don Matteo (un cognome un po’ connotato dall’accezione popolare televisiva… ) insegue percorsi molto più accurati e meno scontati, a partire da una sorta di autocritica coraggiosa: è un po’ paradossale, ma sulla considerazione della realtà femminile sono più sensibili e creativi certi pronunciamenti papali come quelli di Giovanni Paolo II rispetto alla fissità di alcuni discorsi e progetti parrocchiali e alla concezione comune del clero. Certo, non è mai detto esplicitamente, ma per molti fedeli ed ecclesiastici il “rosa” è il colore che si deve stendere soprattutto sulle tre celebri K del detto tedesco «Kinder, Küche, Kirche» (bambini, cucina, chiesa). È, quindi, necessaria un’opportuna scossa all’immobile caleidoscopio delle analisi pastorali, proprio perché il sisma è già avvenuto nella realtà del panorama sociale, un sisma per altro benefico secondo molti aspetti. Non ci si deve neanche aggrappare al principio secondo il quale la giovinezza è una malattia che passa: non è detto, infatti, che un modello esistenziale acquisito si possa dismettere come un abito per assumerne un altro considerato prima come fuori moda. Aveva ragione il buon vecchio D’Azeglio quando, nei Miei ricordi, annotava che «tutti siamo d’una stoffa nella quale la prima piega non scompare mai più». Detto questo, non bisogna, però, ignorare che l’orizzonte femminile è spesso cambiato nei confronti della fede e può ancora mutare. Matteo ha due capitoli molto vivaci proprio nel cuore del suo saggio che puntano il loro obiettivo sul «perché le quarantenni non vengono in Chiesa» e sulla «fatica di essere quarantenne», soprattutto «nel Paese più maschilista d’Europa», come Caterina Soffici nel suo pungente Ma le donne no! ha definito l’Italia {Feltrinelli 2010), c’è una crisi che nasce dall’interno, che omologa ragazzi e ragazze, che fa loro sentire come remota la Chiesa, che rende rigida ai loro occhi ogni opzione rigorosa di fede e di morale, che li conduce alla deriva della piazza o dei viali di internet, allontanandoli da templi e spazi considerati asfittici e rituali, che ha della Chiesa un’immagine dogmatica e maschilista, che respinge ogni approfondimento troppo impegnativo sulle questioni di bioetica… Ebbene, una Chiesa priva delle ventenni, trentenni, quarantenni e così via è una comunità povera, tenendo conto del fatto che il cristianesimo ha avuto come motore d’avvio della trasmissione della fede proprio le donne: le prime a incontrare il Cristo risorto in quell’alba gerosolimitana sono state proprio loro, inviate da lui per l’annuncio pasquale ai discepoli maschi così timorosi da aver evitato – a differenza di loro – di stare lassù sulla vetta del Calvario per non correre rischi. Come l’educazione dei figli è stata ed è ancora in prevalenza appannaggio delle madri, così la trasmissione della fede è stata per secoli matrilineare ed è significativo che ora la supplenza sia stata affidata alle nonne e ai nonni, cioè alla generazione degli ultraquarantenni. Ebbene, alla «passione educativa» è dedicata un’ampia antologia tematica diacronica che un altro teologo, Antonio Sabetta, ha allestito e che vorremmo liberamente appaiare al testo più breve e “attuale” di Armando Matteo. Vari collaboratori qui si mettono alla ricerca di antiche e recenti personalità della cultura, dagli imprescindibili Platone e Aristotele, da Seneca, Plutarco, Epitteto e Plotino, fino ai “moderni” Cusano, Pico della Mirandola, Erasmo, Galileo, Pascal, Vico, Rosmini, Newman, Schelling e Hegel, passando attraverso una piccola folla di grandi autori patristici e medievali. Si riesce, così, a illustrare quest’arte che rivela mille sfaccettature e che coinvolge anche il Novecento filosofico Oaspers, Buber, Guardini, Mounier, Scheler, Henry, Maritain) e teologico (Barth, Rahner, Bonhoeffer). Come scrive il curatore nella sua premessa, è arduo ma esaltante educare non solo al pensiero e alla fede, ma anche educare sia il pensiero sia la fede. Alla fine è un «educare alla verità e al senso» dell’essere e dell’esistere, intrecciando riflessione e contemplazione, logica e stupore. Raccogliere la «sfida educativa» che il Progetto culturale della Conferenza episcopale italiana ha recentemente messo a tema, sulla scia di quell’ «emergenza educativa» che aveva segnalato Benedetto XVI, diventa forse una via decisiva per frenare quella fuga delle e dei quarantenni dal pensiero e dalla fede.

Di Gianfranco Ravasi

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