Regioni speciali. L’altra «casta» dei privilegiati per Statuto (Avvenire)

di Angelo Picariello, del 16 Dicembre 2013

Pierfrancesco De Robertis

La casta a statuto speciale

Conti, privilegi e sprechi delle Regioni autonome

da Avvenire del 15 Dicembre

Se ostriche e champagne primeggiano fra gli sprechi delle Regioni, il vero terreno dove affondare per ottenere risparmi è quello delle Regioni a statuto speciale. Basterebbe la secessione delle sole Lombardia e Veneto per mandare in tilt il Paese e provocare il definitivo crac dei conti. O – l’altra faccia della stessa medaglia – se tutte le Regioni adottassero le stesse “regole d’ingaggio” fiscale che hanno Trentino Alto Adige, Sicilia e Valle d’Aosta, la macchina Italia si fermerebbe nel giro di una settimana.
Già, perché «non tutte le Regioni speciali sono speciali allo stesso modo», commenta Pierfrancesco De Robertis, giornalista del Quotidiano Nazionale, che si occupa dell’altra Casta, “La casta a statuto speciale” (edizioni Rubbettino), per descrivere conti, privilegi e sprechi delle Regioni autonome. Un resoconto impietoso di una grande disparità di trattamento dettata da ragioni storiche antiche, ma che forse andrebbero rilette. Alla luce del federalismo fiscale, mai attuato. E della crisi, che impone sacrifici a tutti perché siano sopportabili per ciascuno. Invece, i privilegi restano tali, e anche il solo tentativo di mettere ordine fra le “speciali” stesse resta un’utopia.
Quanta acqua è passata sotto i ponti della storia da quel 1945 che ha fotografato quegli autonomismi, ma nelle regioni di confine nulla è cambiato. Ironizza l’autore: «L’Europa si è unita, le Regioni a Statuto speciale restano e finisce che Roma ha meno barriere economiche con la Polonia o la Lituania che con Bolzano o la Sardegna». Col paradosso che città come Trieste e Trento, celebrate per il loro ritorno sotto l’egida del Tricolore, poi di fatto si sono chiuse nella loro “diversità”, quasi a rinverdire un’attrattiva verso altri Paesi.
Un fenomeno inevitabile che ne è scaturito è la lotta fra Comuni confinanti. Accade al confine con la Val d’Aosta, ma il fenomeno diventa eclatante nel Veneto dove intere aree come l’altopiano di Asiago e l’alto Bellunese intorno a Cortina promuovono referendum per passare al Trentino. C’è poi la graduatoria nel livello di “specialità”. «Mentre infatti Sicilia, Trentino Alto Adige e Val d’Aosta trattengono quasi tutte le imposte pagate dai cittadini sul proprio territorio, le altre due hanno livelli di compartecipazione alla fiscalità generale molto più alti». A dividere ulteriormente i “privilegiati”, c’è la diversa fama di cui godono le amministrazioni trentine e altoatesine rispetto alla Regione Siciliana, che alimenta un’inesauribile letteratura sugli sprechi. Prendi l’Irpef: la Sicilia ne trattiene il totale, la Valle d’Aosta e il Trentino i 9 decimi, la Sardegna i 7/10 e il Friuli sei.
La disparità più conclamata, per iniziative e movimenti che ha scatenato, resta però quella Veneto-Trentina. Basta un occhio ai dati per capire. In Trentino finisce nelle casse dello Stato centrale il 6,4% del Pil, mentre il 24,7 rimane a disposizione delle amministrazioni periferiche (Provincia Autonoma e Comuni). Il contrario avviene nel Veneto che versa allo Stato centrale il 22,7% del Pil, mentre solo il 6,9 viene riscosso dalle amministrazioni locali, che non a caso fanno di tutto (inutilmente) per saltare il fosso. Differenze talvolta in odore d’incostituzionalità (sebbene proprio la Costituzione istituisca le Regioni speciali) se si pensa che in Trentino c’è sull’istruzione una spesa media pro-capite di 660 euro, in Veneto solo di 36.
Altri casi di disparità sono le royalties per i giacimenti petroliferi: fanno ricca la Sicilia, ma non la “ordinaria” Basilicata che pure ne vanta di altrettanto importanti. Ancora: nella sola Bolzano fra il 1992 e il 2008 sono stati stanziati 245 milioni di finanziamenti pubblici e investimenti per 1,61 miliardi (tanti per una popolazione di circa 500mila abitanti), per arrivare nel 2020 all’obiettivo di dipendenza energetica dalle rinnovabili pari al 75%. Cosicché nella provincia più fredda e più a Nord d’Italia ci sarà uno sviluppo e una diffusione del “solare”, in tutti gli edifici di recente costruzione, sconosciuta in altre Regioni che con il sole hanno certo maggiore dimestichezza.
Le disparità diventano ancora più odiose in tempi di crisi. In Trentino e in Alto Adige fenomeno diffuso è quello del leas-back, ossia l’acquisizione da parte delle amministrazioni locali dei macchinari delle aziende che vanno in crisi, che possono così mettere in entrata le rate del leasing in cambio dell’impegno a non licenziare gli addetti. «E questo salva tante aziende, mentre a pochi chilometri non c’è nulla di simile», ricorda De Robertis. Altrettanto dicasi per l’azzeramento dell’Irap che si realizza in Trentino, mentre nelle regioni limitrofe la pagano eccome. «Sono disparità sulle quali è necessario intervenire, senza mettere in discussione l’autonomia, che aprirebbe problemi di modifica costituzionale. Ma almeno i singoli accordi andrebbero rinegoziati, anche alla luce di una crisi che non ammette più singole zone franche». Nella discussione sulle riforme, insomma, si imporrebbe anche un ridisegno degli accordi sulle “speciali”.

di Angelo Picariello

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