Clima: il fallimento di Madrid e ciò che il mondo finge di non vedere (Vanity Fair)

di Chiara Pezzimenti, del 16 Dicembre 2019

Francesca Santolini

Profughi del clima

Chi sono, da dove vengono, dove andranno

Il vertice Cop25 di Madrid è finito con fallimento che, nelle carte, è scritto come un nulla di fatto con un auspicio per il futuro, ma che in realtà è un disastro. Sulla questione clima non è stato ascoltato l’allarme degli scienziati e degli ambientalisti. Non è contata la forza dei movimenti di piazza guidati da Greta Thunberg. Niente ha cambiato la posizione degli stati che non vogliono tagliare emissioni e nemmeno sostenere finanziariamente i paesi più vulnerabili.

Il tempo è questione fondamentale e ogni rinvio è una sconfitta, ma Madrid ha rinviato tutto al 2020. Entro la fine del prossimo anno, tutti i paesi dovranno presentare nuovi Piani nazionali per non superare la soglia di non ritorno dell’aumento della temperatura globale. Con i piani attuali, si arriverebbe a + 3,2 gradi entro fine secolo, gli studi scientifici dovrebbero essere al massimo 1,5.

«La scienza è chiara, ma la si sta ignorando, qualunque cosa accada non ci arrenderemo mai» ha twittato Greta. «Sono deluso dei risultati di Cop25. La comunità internazionale ha perso un’importante opportunità per dimostrare maggiore ambizione per combattere la crisi climatica. Ma non dobbiamo arrenderci e non ci arrenderemo» ha detto il Segretario generale dell’Onu Guteress.

A frenare maggiormente i negoziati sono stati il Brasile, l’Arabia Saudita, l’Australia, l’India, la Cina, il Sudafrica, ma anche gli Usa che ufficialmente usciranno dagli accordi di Parigi solo il 4 novembre 2020.

Non è poi solo questione di temperature, desertificazione e innalzamento dei mari. Ci sono anche le conseguenze di questi eventi. Su tutti le migrazioni. «Dove questi fenomeni accadono in società fragili e in economie in via di sviluppo», spiega Francesca Santolini, autrice di Profughi del Clima, edito da Rubbettino, «provocano spostamenti forzati perché alcune zone diventano inabitabili, senza il potenziale ritorno in patria delle migrazioni che seguono conflitti».

 

Tutta l’area del Sahel, nell’Africa subsahariana, è a rischio desertificazione e questo comprometterà il 40%, secondo i modelli della Fao, dell’agricoltura in Africa. Chi parte da qui è profugo del clima, senza uno status nel diritto internazionale come hanno invece i rifugiati. «Non hanno diritto d’asilo, sono equiparati a migranti economici».

 

L’intervento non può essere che sulla causa, quindi il cambiamento climatico, non nella gestione degli arrivi dei barconi. Spiega Francesca Santolini: «Già oggi 9 migranti su 10 arrivano dall’area del Sahel e il decimo viene dal Bangladesh, uno dei paesi più colpiti dal cambiamento climatico con livello di inondazione come mai nel passato. Sono già migrazioni legate al cambiamento climatico e diventeranno così imponenti che l’unico modo di intervento è sulle cause».

 

Tutto cambia, anche nelle migrazioni, in base alla temperatura globale che si raggiunge e a quanto si riescono di conseguenza a ridurre le emissioni di gas serra. «Le migrazioni sono parte costitutiva della natura umana, ma noi oggi abbiamo di fronte una situazione anomala e inedita dal punto di vista meteo-climatico. Il nostro modello di sviluppo con l’utilizzo dei combustibili fossili ha portato a una concentrazione dei gas serra nell’atmosfera mai accaduta. Manca poi un approccio scientifico alla gestione dei fenomeni, compreso quello delle migrazioni».

 

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