“Volare”? È bipartisan (Liberal)

del 22 Maggio 2012

Da Liberal – 19 maggio 2012
Modugno e Simone Weil, la Callas e Marilyn, Ernst Jünger e Lucio Battisti, Gaber e Carlo Michelstaedter, Vincenzo Cardarelli e Woody Allen, Kerouac e Rino Gaetano, Cesare Pavese e la Magnani. Sono alcune delle icone di un Novecento post-ideologico che compaiono nell’“Album” di Marco Iacona. Che è un invito al superamento della logica del conflitto. E alla riscoperta…

Postmoderno sul vocabolario c’è: senza trattino. Postideologico, no. Né col trattino né senza trattino. Eppure, così come la crisi della modernità e dei suoi fondamenti (razionalità, progresso ecc.) è oggetto di dibattito e si discute anche sulla portata innovativa, sui limiti e sulle contraddizioni delle avanguardie culturali novecentesche; analogamente ci interroghiamo sulla crisi delle ideologie, prendiamo le distanze da tutti gli «-ismi» e più che mai da quelli che hanno sventolato la bandiera della «totalità» (comunismo, fascismo, nazismo) e, diventati tutti all’improvviso liberal-democratici (ma liberalismo e democrazia cosa sono?), facciamo riferimento, con maggiore o minore convinzione, qualche volta con diffidenza e stanchezza, o addirittura con disgusto, a forze politiche che ci tengono a dichiararsi post-ideologiche. Allora, siamo post-ideologici, sì o no? Già, ma che vuol dire? Che dobbiamo tenerci lontani da ogni ermetico impianto dottrinario, evitando fanatismi, schematismi, parole d’ordine, veti e divieti, e stando ben attenti a non demonizzare l’«altro» che, come ci insegnano destra e sinistra (se esistono ancora nell’era post-ideologica…), non è un nemico ma un avversario? Che dobbiamo essere aperti, pragmatici e magari (Mario Monti e Gianni Morandi docent) «tecnici»? Be’, più o meno, siamo – o diciamo di essere – tutti d’accordo. Lungi dal sanguinoso scontro, allora, e ben vengano l’operoso impegno civico e il fecondo confronto dialettico. Anche acceso ma educato (ammesso – e non concesso – che siano cresciuti educazione e rispetto nell’era postideologica…). E ben vengano le contaminazioni, le trasversalità, le sfide culturali, gli azzardi, le oltranze. Siamo nel XXI secolo, ragazzi, mica possiamo continuare a scannarci su quale sia stata la «meglio gioventù» nel tempo delle «belle bandiere»! E non è forse vero che proprio dal «secolo breve» (per dirla con Eric Hobsbawn) o dal «secolo sterminato» (per dirla con Marcello Veneziani, che ci convince di più), ci vengono variegate suggestioni e sollecitazioni a pensare in termini di et et, piuttosto che di aut aut(per dirla, stavolta, con Alain de Benoist, teorico di quella Nouvelle Droite, da cui prese le mosse la Nuova Destra italiana di Marco Tarchi, Franco Cardini, Stenio Solinas, Maurizio Cabona ecc.)? Insomma, no alle ideologie, sì alle idee. Tesi e antitesi si guardano di brutto l’una contro l’altra armata? E noi celebriamo la sintesi. In un tripudio libertario che ignora faziosi ostracismi. Suggendo fior da fiore e facendo tutto fruttificare nell’immaginario nostro e per l’immaginario collettivo. Dove lo spazio si apre a tutte le Muse che tra l’altro vanno crescendo di numero. Perché dopo la decima – quella del cinema – sono nate e godono di ottima salute anche quelle della pubblicità, del fumetto, della canzone, della tv, del web, della telefonia mobile ecc. ecc. Uno scialo di comunicazione. Un altro mondo rispetto a quello dei nonni, dei padri e di tutti quelli che la mezza età l’hanno già superata.

Marco Iacona – classe 1964 – giornalista, scrittore e autore di questo vivacissimo Album di un secolo. Icone di un Novecento postideologico (Rubbettino, 245 pagine, 14,00 euro), non è poi tanto lontano dal fatidico appuntamento con i cinquant’anni, ma in ogni caso «rientra a pieno titolo – come scrive Luciano Lanna nella Prefazione – nella categoria dei baby boomer italiani del secondo dopoguerra, quei dieci milioni di ex ragazzini cui il sociologo Fausto Colombo ha dedicato un saggio – Boom. Storia di quelli che non hanno fatto il ’68 (Rizzoli) – e che in quasi mezzo secolo di vita sono andati avanti a pane e televisione, oltre che a dischi, fumetti e cantautori, crescendo in case fornite di frigorifero, lavatrice, piccolo schermo e in camerette dotate di ogni comfort (…). Come spiega analiticamente Colombo, si è trattato di una generazione che si è riconosciuta soprattutto nei film, nei romanzi, nelle canzoni e nei programmi televisivi, e che ha provato in prima persona a fare cinema, giornali e giornaletti, musica e persino la radio, non appena fu tecnicamente possibile e il monopolio della Rai venne spezzato da una storica sentenza».

Una generazione post-ideologica. Interessata a mille forme di espressione-comunicazione, all’insegna dell’«immaginario giovanile condiviso».Vogliosa – di nuovo Alain de Benoist – di «pensare simultaneamente ciò che per troppo tempo è stato pensato contraddittoriamente». Forte di un archivio-laboratorio dove entrano i più svariati «materiali». E Iacona non gioca davvero al risparmio quanto a icone, visto che nel suo variegato e variopinto album figurano come riferimenti personaggi fascinosi e difformi come Carlo Michelstaedter e Cesare Pavese, García Lorca e Pier Paolo Pasolini, Elémire Zolla e Francesco Tomatis, Ernst Jünger e Vincenzo Cardarelli, Jack London e Jack Kerouac, Charles Bukowki e Leonardo Sciascia, Simone Weil e Marilyn Monroe, Anna Magnani e Maria Callas, Domenico Modugno e Lucio Battisti, Giorgio Gaber e Rino Gaetano, Woody Allen e Andy Warhol… Che cos’hanno in comune? Sono postideologici o i loro messaggi – nelle diversissime forme di comunicazione – vengono recepiti e rielaborati dalla generazione post-ideologica «che non ha fatto il ‘68» e che può accoglierli e comprenderli «insieme»? Iacona, nei suoi percorsi colti e accattivanti, dunque grazie a una scrittura che arriva al segno evitando tortuose fumisterie, ci mostra come queste icone possano appartenere, a vario grado, a una sensibilità bipartisan che sa aprirsi al futuro. Facendo tesoro di segni, suggestioni, «linguaggi» che non sono, non possono essere estranei alle contrapposte passioni del Novecento. E tuttavia le nostre icone, i nostri personaggi, pur avendo a che fare con una definizione di campo, in certi casi anche dura e tragica, non esauriscono energie e risorse nella logica del conflitto. Hanno spesso sul collo il fiato dell’attualità – si pensi a Pavese o a Pasolini – e ne sono anche inevitabilmente condizionati: eppure il loro sguardo va oltre. Il Pavese, iscritto al Pci, che raccontava con pietas i morti repubblichini; il Pasolini naturaliter cristiano che condannava l’aborto, gli scempi della modernità, l’omologazione ecc., testimoniano oggi ancor più di ieri. Ed è indubbio che i monologhi di Gaber, e le canzoni di Modugno, Battisti, Rino Gaetano contengano riserve di futuro ben più lucide e sorprendenti dei monologhi di Celentano e di tutta la canora compagnia di giro sanremese.

Se poi andiamo a ribellioni capaci di attraversare e lacerare le ideologie diventando il «bello e dannato» di una testimonianza a futura memoria, London, Kerouac e Bukowski sono qui a raccontarci cosa si può scoprire «sulla strada» o facendo peripli nel cuore, nello spirito, nelle viscere: ed è, a nostro avviso, un sovraccarico di umori unico e che da vari decenni a questa parte trova solo sbiaditi epigoni nel maledettismo esibizionista delle rock star. Impossibile, poi, non emozionarsi di fronte a certe vite «esemplari»: una manciata d’anni, ventitrè, quella di Carlo Michelstaedter; un secolo e più quella di Ernst Jünger. Nell’uno e nell’altro sapienza oracolare e straordinaria veggenza. Gli interrogativi su Apocalisse e dintorni forse potremmo formularli meglio se, piuttosto che ricorrere al sensazionalismo pseudo-esoterico, ci avventurassimo nelle loro pagine, o in quelle di Simone Weil o Elémire Zolla. All’album di Iacona va riconosciuto anche questo valore aggiunto: è un invito alla lettura, scoperta o riscoperta che sia. All’ascolto, anche: di un inno alla giovinezza, all’ebbrezza, all’amore, come Volare; dei graffi melodici e dei vagabondaggi emozionali di Battisti; delle stralunate e surreali (o iperrealistiche?) filastrocche di Rino Gaetano. E poi, ai piani alti, vertiginosi, lei, la Divina Maria Callas. Da ritrovare con altri due donne che hanno lasciato impronte non cancellabili: Marilyn Monroe e Anna Magnani. L’americana, l’italiana: universali. Post- ideologia e oltre, dunque: e le icone che raccontano ed evocano. E propongono. Offrendosi a ogni sensibilità aperta come spunto per una ricognizione/progetto. Ma quanti sono, caro Iacona, su questa lunghezza d’onda? Ricordando una rivistina neofascista di fine anni Quaranta, con punti esclamativi, appelli, esibiti miti identitari, passione ideologica, vinti contrapposti ai vincitori in nome di valori non negoziabili ecc., Iacona scrive: «Oggi, quel mondo di sessant’anni fa non esiste più. Quel mondo per il quale uomini e donne patirono fame e stenti e piansero la morte dei loro cari è una stagione da consegnare alla memoria dei libri e ai racconti degli anziani. La guerra, insomma, “quella” guerra, è finita da un pezzo».

E ancora: «Questo volume è il racconto, ora pesante ora leggero, di un Novecento postideologico, di un secolo senza nemici né alleati, imprevedibile, aperto come un film di Woody Allen (…). Il post Novecento inizia quando è possibile raccontare le storie di ognuno di noi, abili o mediocri nelle nostre fortune o sfortune, senza l’ombra di un «-ismo», ed è ciò che fa un genio come Woody Allen per esempio (campione di umorismo yiddish), ma è anche quel che ha fatto Clint Eastwood, lasciando morire ogni pregiudizio da duro per scelta». La guerra è finita forse per Iacona e pochi altri, è finita per chiunque, se aveva dei pregiudizi, li ha superati, si è messo sulla strada del «giudizio», si confronta con tutte le contraddizioni della storia e della cultura del Novecento, non teme di fare i conti con il proprio passato, non ha paura della propria ombra e ha una gran voglia di dire la verità, tutta la verità, nient’altro che la verità. Ma di questi spiriti eletti ce ne sono pochi in giro. A me sembra che i violenti attacchi subiti da Pansa per aver scritto sulla guerra civile, da antifascista, quello che Giorgio Pisanò aveva scritto da fascista, siano una triste riprova che viviamo ancora nell’era ideologica e che la guerra non è finita. Non è finita se c’è ancora qualcuno che riesce a impedire che si parli di foibe in un’aula universitaria. Se permane il terrore di essere se stessi, è finita la guerra o siamo ancora nel dopoguerra? C’è libertà di dibattito o no? Si può scrivere un libro di storia post-ideologico? È possibile, ora, nel 2012, «raccontare le storie di ognuno di noi senza l’ombra di un “-ismo”»?

 

Di Mario Bernardi Guardi

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