De Gasperi e le colonie una visione «nazionale» (l'Adige)

di MARIA GARBARI, del 4 Marzo 2013

Da l’Adige del 1 marzo 2013

La questione delle ex colonie italiane prefasciste in Africa all’interno dell’attività, delle iniziative e delle scelte di Alcide De Gasperi non è stata oggetto di specifica attenzione da parte della storiografia attratta da vicende di maggiore visibilità o, almeno all’apparenza, di maggiore interesse sulla scena politica estera e internazionale. Eppure lo statista trentino non ha mai smesso di porsi tale problema, legato da una parte al lavoro ed alle opere realizzate dagli italiani in terra d’Africa e, dall’altra, agli equilibri fra le potenze dove l’Italia faticosamente cercava un proprio ruolo nonostante le imbrigliature dovute alla sconfitta e poi al trattato di pace. Remo Roncati con il volume -Alcide De Gasperi: “Partecipare alla ricostruzione del mondo”- (Rubbettino, euro 16) – che viene presentato oggi alle 17 presso l’Associazione culturale Antonio Rosmini di Trento – contribuisce a colmare la lacuna, forte della competenza maturata in qualità di direttore dal 1954 al 1966 del Collegio professionale agrario di Genale Merca in Somalia. Egli ha già trattato in altri volumi i temi dell’economia somala, dell’istruzione, delle scelte economiche nei paesi in via di sviluppo e della scuola italiana all’estero.
Roncati, ricordando lo spirito con il quale gli uomini del Risorgimento avevano guardato all’Africa, precisa che le formazioni coloniali italiane precedenti al fascismo erano nate sulla base di accordi con le potenze ed in vista del pacifico insediamento delle correnti migratorie. De Gasperi, interessato alla questione africana fin dall’epoca della sua presenza nel parlamento di Vienna e della guerra di Libia, nel 1945 aveva sottolineato la radicale differenza fra la prassi coloniale italiana a carattere migratorio, rivolta ad organizzare il lavoro in proprio e in collaborazione con le popolazioni locali, e quella anglosassone basata sui mercati, sullo sfruttamento delle materie prime e l’imposizione agli indigeni di un determinato modello di sviluppo. Egli ripeterà negli anni successivi questa interpretazione, dichiarandosi contrario alle concezioni del vecchio imperialismo: la sua posizione non era nazionalista, ma correttamente nazionale quale difensore del patrimonio di sacrifici e di lavoro realizzato dagli italiani in Africa.
Né andava dimenticato che nelle colonie si erano trasferiti stabilmente numerosi cittadini, 75.000 in Eritrea, 150.000 in Libia, 10.000 in Somalia. La rivendicazione degasperiana della presenza nelle ex colonie italiane attraverso l’amministrazione fiduciaria non era dettata da spirito di crociata in nome di ideali missionari e religiosi. De Gasperi riteneva che l’insegnamento evangelico fosse prezioso per i popoli, ma visto come elemento della civiltà europea fatta di democrazia e solidarietà, di valori umani all’insegna del pluralismo, di veicolo capace di porre la pace e il dialogo fra le etnie. «Quale politico cristiano, afferma Roncati, era convinto della bontà della sua azione e di non potere rinunciare al suo impegno morale di tradurre in atto le proprie motivazioni ideali di fratellanza universale, di volontà a dare concreta possibilità all’instaurarsi e affermarsi della piena collaborazione e amicizia tra italiani, eritrei, somali, libici». E lo amareggiava l’ingiusta condanna espressa dal trattato di pace che sanciva la quasi indegnità dell’Italia ad amministrare i popoli africani. L’esclusione dalla conferenza di San Francisco nell’aprile 1945 e il mancato ingresso dell’Italia all’Onu diedero il via alle reiterate richieste di De Gasperi riguardanti le ex colonie. Ne scriveva al segretario di stato americano Byrnes, agli ambasciatori italiani Tarchiani, Carandini, Saragat, poi nel maggio 1946 ai ministri degli esteri degli Stati Uniti, Gran Bretagna, Francia e Unione Sovietica impegnati nella stesura dei trattati di pace allegando un promemoria, ne parlava agli organi dirigenti della Democrazia Cristiana, in numerose pubbliche dichiarazioni, alla Costituente. La questione coloniale venne sollevata nel famoso discorso del 10 agosto 1946 alla Conferenza dei ventuno a Parigi, presso il palazzo del Lussemburgo. Ma la pace punitiva, un vero diktat, imponeva la rinuncia ad ogni aspirazione sui territori africani. La rinuncia giuridica alle colonie non venne però intesa quale rinuncia morale e De Gasperi continuò a difendere le richieste italiane richiamando non i diritti della conquista, ma le benemerenze acquisite che rendevano ragionevole la continuazione della missione civile in territorio africano. Sul problema delle ex colonie influivano, oltre alla mancata ammissione all’Onu, gli accadimenti di stampo internazionale: prima fu la dottrina di Truman con il contenimento delle mire sovietiche, poi il Piano Marshall, la fondazione dell’Oece e la costituzione dell’Unione europea occidentale nel marzo 1948. Per le proposte italiane era necessario trovare l’intesa con la Gran Bretagna, ma le trattative condotte dal ministro degli esteri Sforza trovarono forti resistenze, se non per la Somalia. Il Patto atlantico, firmato dall’Italia nell’aprile 1949 dopo un lungo e teso dibattito in Parlamento, ridava fiato alle richieste degasperiane per le colonie suscitando le reazioni dell’Unione Sovietica, la ripresa dei divieti inglesi, interrogazioni alla Camera, opposizioni da destra e da sinistra. Lo statista trentino, parlando a Milano il 23 aprile 1949 affermava: «Abbiamo diritto di chiedere la possibilità di continuare la nostra missione civile nelle colonie perché l’attività del popolo italiano in Africa ha costituito un contributo prezioso per la civiltà. In virtù dell’esperienza fatta abbiamo il diritto di chiedere la continuazione di tale contributo».
AIla fine la risoluzione dell’Onu per la Somalia nel novembre 1949 affidava all’Italia l’Amministrazione fiduciaria del paese dal 1950 al 1960. Questo provvedimento, fonte di soddisfazione per De Gasperi, pur con qualche difficoltà e contestazione venne approvato, spese comprese, dal parlamento. L’amministrazione della Somalia, che segnava il cammino per la sua indipendenza, è seguita da Roncati nei particolari specifici e in tutti gli aspetti, con partecipazione, ammirato consenso ed elogi. Essa si è svolta, egli scrive, con competenza e saggezza nonostante le difficoltà iniziali dovute alle gravi carenze in ogni settore produttivo, alla povertà, alla mancanza di capitali, al suolo sterile, alla prevalenza di una arcaica attività pastorizia. Gli italiani sono intervenuti con vasti lavori pubblici, attività bancaria, organizzazione della giustizia e della polizia, scuole, comprese quelle per la formazione politicoamministrativa e soprattutto professionale; la creazione del Consiglio territoriale, una specie di parlamentino, preparava all’autogoverno. Per le altre ex colonie italiane la sorte fu diversa: L’Eritrea venne federata con l’Etiopia che, nel settembre 1951, iniziò regolari relazioni diplomatiche con l’Italia; la Libia nel dicembre 1951 venne dichiarata uno stato indipendente sotto re Idris I° ma senza fornire garanzie per gli italiani ivi residenti. De Gasperi non riuscì a vedere l’ammissione dell’Italia all’Onu avvenuta nel 1955, l’anno successivo alla sua scomparsa.

DI MARIA GARBARI

Altre Rassegne