‘Ndrangheta, sempre più madri chiedono aiuto al tribunale di Reggio Calabria (dire.it)

di Annalisa Ramundo, del 18 Febbraio 2020

Roberto Di Bella, Giuseppina Maria Patrizia Surace

Il progetto Liberi di scegliere

La tutela dei minori di 'ndrangheta nella prassi giudiziaria del Tribunale per i Minorenni di Reggio Calabria

Si chiama ‘Liberi di scegliere’ il progetto del Tribunale per i Minorenni di Reggio Calabria realizzato per offrire a bambini e ragazzi appartenenti a famiglie di ‘ndrangheta la possibilita’ di un futuro diverso, fuori dai contesti criminali. Al centro del libro scritto dall’avvocata, docente universitaria e componente esperta del Tribunale per i minorenni di Reggio Calabria, Patrizia Surace, assieme al presidente del Tribunale per i minorenni di Reggio Calabria, Roberto Di Bella, e pubblicato nell’aprile 2019 per Rubettino Editore, la “trama di solidarieta’ educativa” nata nel 2013 che coinvolge circa 70-80 minori di diverse eta’ in un percorso che il 5 novembre 2019 ha segnato un’ulteriore tappa di consolidamento della rete.

“Lo scopo del progetto e’ offrire a questi ragazzi un’alternativa di vita al contesto asfissiante che purtroppo subiscono a seguito dell’indottrinamento nelle loro famiglie- spiega in un’intervista all’agenzia Dire Surace- Lo facciamo attraverso una rete molto solida che si e’ realizzata negli anni con il supporto di Libera e Unicef” e si e’ consolidata “con l’ultimo protocollo siglato il 5 novembre 2019, tra gli altri, con Miur, ministero della Giustizia e Cei”.
Le famiglie di ‘ndrangheta “per consolidare il proprio potere sul territorio hanno bisogno delle nuove generazioni”, spiega Surace. Per questo, “ci siamo posti il problema- sottolinea- se questi genitori, pur essendo presenti da un punto di vista strettamente materiale, fossero adeguati rispetto ai criteri normativi della responsabilita’ genitoriale nei casi di partecipazione alle attivita’ criminali della famiglia, alle faide, o di disinteresse rispetto a quello che dovrebbe essere un percorso educativo adeguato alle necessita’ di crescita di un fanciullo o di un ragazzo. Quando in concreto si verifica la partecipazione diretta di questi ragazzi alle attivita’ criminali siamo di fronte ad una condizione di pregiudizio su cui il Tribunale per i minorenni puo’ e deve intervenire”.

Gli strumenti utilizzati in sede civile “sono sempre quelli previsti dall’ordinamento giuridico, quindi la limitazione, sospensione o decadenza della responsabilita’ genitoriale in funzione dell’obiettivo di offrire ai ragazzi un’alternativa di vita”. L’allontanamento, precisa Surace, “non e’ un meccanismo automatico, ma e’ considerata l’extrema ratio. Non si rinnegano la famiglia, gli affetti, ma si cerca la collaborazione dei genitori disponibili”.

E spesso, “soprattutto negli ultimi due anni” sono proprio “le madri a chiedere aiuto per loro stesse e per i propri figli” e ad “allontanarsi con loro con il supporto dell’Unicef”, perche’ non e’ scontato che l’allontanamento si traduca per i minori in una collocazione in casa famiglia. “Non e’ una deportazione- ci tiene a specificare l’avvocata- ma un percorso costruito per e con i ragazzi”.

E nell’esperienza del Tribunale per i Minorenni di Reggio Calabria, “spostandoci ad un contesto piu’ generale e ampio di disagi familiari, e’ capitato anche di celebrare processi molto delicati, dove i minori avevano commesso l’omicidio per eccellenza, cioe’ avevano ucciso uno dei genitori. Di fronte a condotte di questo tipo- conclude Surace- si pone il problema se sussista o meno un quadro di imputabilita’ al momento del fatto.
Ci e’ capitato talvolta di riscontrare che l’imputabilita’ era piena, nonostante la gravita’ della condotta omicidiaria.

La riflessione ulteriore che poi ci consente di giocare come societa’ civile la partita della rieducazione di questi ragazzi e’ nella fase successiva, cioe’ durante l’esecuzione della pena”, che “dovra’ avere al centro di tutto questo percorso di educazione e, quindi, di esecuzione penale, la loro realta’ esistenziale con una prospettiva di reinserimento sociale che dovra’ essere attentamente vagliata dagli operatori penitenziari”.

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