Il benedettino uscito dal Tempio (il Manifesto)

del 30 Luglio 2014

Da il Manifesto del 30 luglio

Quella di Giovanni Franzoni e della comunità cristiana di base di san Paolo è una vicenda che, pur in un contesto storico-politico molto diverso da quello attuale, parla ancora alla società e alla Chiesa. Dice della necessità di uscire fuori dal tempio e dai recinti del sacro per camminare nella storia e lottare per la giustizia e la pace; riafferma l’imperativo evangelico di una «Chiesa povera e dei poveri» – cambia una preposizione, ma è espressione profondamente diversa dalla «Chiesa povera e per i poveri» di papa Francesco -, lontana dal potere, spoglia di privilegi, annunciatrice del messaggio di liberazione per tutte e tutti, senza esclusioni.
Questa storia viene ora raccontata dallo stesso Franzoni, monaco benedettino, abate della basilica di San Paolo fuori le mura prima di essere allontanato, sospeso e dimesso dallo stato clericale per le sue scelte politiche troppo di sinistra per la Chiesa democristiana di allora. Le parole di Franzoni, oggi 86enne e impossibilitato a scrivere per aver perso quasi del tutto la vista, sono state raccolte da due membri della comunità (Salvatore Ciccarello e Antonio Guagliumi) e trasformate in un libro che racconta un’esperienza strettamente intrecciata alla storia della Chiesa del Concilio e del post Concilio, alla vita di una città, Roma, e alle vicende del nostro Paese (Giovanni Franzoni, Autobiografia di un cattolico marginale, Soveria Mannelli, Rubbettino, pp. 262, euro 16).
Alcuni anni sono decisivi. Il primo è il 1964 quando Franzoni, rettore dell’abbazia benedettina di Farfa, viene trasferito a Roma come abate di San Paolo fuori le mura. La domenica delle Palme – nel calendario liturgico cattolico è quella che precede Pasqua – c’è la visita di Paolo VI che gli dona un anello pontificale d’oro, a suggello del nuovo incarico. Franzoni lo terrà con sé fino al 2006, quando lo cederà per una sottoscrizione a sostegno dell’ospedale di Gaza.
Da abate di San Paolo acquisisce il diritto a partecipare alle ultime due sessioni del Concilio Vaticano II, durante il quale parlerà solo una volta, non in aula («non ne ebbi il coraggio», ricorda Franzoni, che a 36 anni era il più giovane padre conciliare italiano) ma nelle riunioni dei vescovi italiani per sostenere i principi della collegialità e della sinodalità, guardati con timore dai settori ecclesiali conservatori. E si lascia provocare dalle contraddizioni della città e di un quartiere popolare come San Paolo. Inizia a prendere forma una comunità «orizzontale» fatta anche di laici, donne e uomini, che vuole vivere il Vangelo nella storia: l’opposizione alla parata militare del 2 giugno e ai cappellani militari, le manifestazioni contro la guerra in Vietnam, i digiuni per la pace fra India e Pakistan, il sostegno all’obiezione di coscienza al servizio militare, l’attenzione agli emarginati – in particolare i reclusi nell’ospedale psichiatrico Santa Maria della Pietà – le lotte degli operai licenziati della Crespi, una fabbrica di infissi vicina alla basilica (nel volume, in appendice, sono presenti numerosi documenti).
Fascisti e cattolici tradizionalisti protestano: irruzioni violente in basilica, scritte minacciose sui muri del quartiere («Franzoni al rogo», «Franzoni Giuda»). I gerarchi ecclesiastici sorvegliano la comunità, ma non trovano elementi per intervenire con delle sanzioni. Fino al 1973, il secondo anno decisivo di questa storia, quando un giovane, durante la messa, legge una preghiera contro lo IOR. Franzoni è costretto alle dimissioni. Prima però, pensando al Giubileo del 1975, pubblica la lettera pastorale La terra è di Dio. «Il concetto centrale – spiega – è che la terra è di Dio e quindi non può essere usata come strumento di dominio». E anche una denuncia della speculazione edilizia e dei legami diabolici fra Chiesa, poteri economici e Dc.
Fuori dalla basilica nasce la comunità cristiana di base di San Paolo e inizia un’altra storia che, attraverso quattro decenni di esistenza, dura ancora oggi. Frattanto Franzoni viene sospeso a divinis perché nel 1974 si schiera a favore del divorzio e poi dimesso dallo stato clericale perché dichiara che voterà per il Pci. L’istituzione ecclesiastica chiede «di sacrificare le proprie scelte politiche perché pregiudicanti l’adesione a Cristo», ma «l’adesione a Cristo non pone questa pregiudiziale», scrive Franzoni a don Macchi, segretario di Paolo VI.
Tornato laico, nel 1990 si sposa con Yukiko, giapponese, insegnante di sostegno, in Italia per tradurre e studiare Gramsci insieme a Mario Alighiero Manacorda. Il seguito è l’oggi. E l’Autobiografia di un cattolico marginale- dice Franzoni durante la presentazione in Campidoglio – non è «un’apologia e nemmeno un amarcord, ma una storia che continua».

Luca Kocci

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