In occasione della fiction Rai dedicata alla grande scienziata, la giornalista Carola Vai, autrice della biografia “Rita Levi-Montalcini, una donna libera”, racconta uno degli aspetti meno noti e più intimi della sua vita, l’amicizia amorosa con un altro grande Nobel italiano, Renato Dulbecco
Non tutti conoscono il sentimento di amicizia che ha accompagnato l’intera vita della scienziata con il collega Renato Dulbecco, così forte da sconfinare nell’amore. I due premi Nobel per la Medicina, fin dal loro primo incontro, nelle aule dell’università di Torino, sono stati attratti l’un verso l’altro finendo per vivere un affetto che nessuna avversità della vita, lontananza, legame con altre persone ha offuscato. Rita Levi Montalcini era una donna profondamente indipendente, sempre attenta a non offendere le persone che la circondavano, ma nella sua vita sono numerose le tracce dell’affettuoso rapporto tra i due scienziati, a cominciare dal primo viaggio in nave compiuto insieme verso l’America, ai vari incontri nelle rispettive abitazioni, laboratori di ricerca, congressi, convegni, feste. Rita che mai si è sposata, ha ammesso di “aver molto amato” senza mai rivelare i nomi di coloro che tale sentimento avevano suscitato in lei, eccetto i due fidanzati ufficiali di gioventù: prima Germano, poi Guido, entrambi medici.
Renato Dulbecco, invece, si è sposato due volte, ma nulla e nessuno ha mai appannato i suoi sentimenti verso Rita. I due ricercatori hanno vissuto l’intera esistenza in una sorta di gara per dimostrare reciprocamente il meglio l’uno all’altro: nella scienza, nella cultura, nella musica, nell’oratoria in pubblico, persino nell’eleganza. In America come in Italia, a Saint Louis come a Torino, Rita e Renato hanno spesso fatto in modo di trovarsi fianco a fianco in conferenze, dibattiti, congressi.
I due scienziati per l’intera vita si scambiarono sogni, speranze, idee, progetti. Rita, nata il 22 aprile 1909 a Torino, aveva 5 anni in più di Renato nato il 22 febbraio 1914 a Catanzaro. Una differenza anagrafica che al loro arrivo all’università, secondo Rita, contribuì alla loro amicizia perché entrambi a disagio avendo lei superato i 20 anni e lui appena 16 anni, risultando lei la più grande, lui il più giovane. Negli anni universitari si erano guardati, ammirati, stupiti. E si erano persi. Quando si sono ritrovati, dopo la guerra, tutto era diverso. Loro erano diversi. Avevano conquistato l’audacia, ma avevano impegnato la libertà personale. Alla partenza verso gli Stati Uniti, Dulbecco era sposato. Presto la moglie, Pinuccia, lo avrebbe raggiunto oltreoceano. Rita sostenne di lasciare la patria con una certezza: evitare il matrimonio per potersi dedicare completamente alla ricerca scientifica. Forse a indurla definitivamente alla decisione fu anche l’inconfessabile sentimento verso il brillante collega.
Un amore mai dichiarato, ma nemmeno nascosto
Rita alla presenza di altre donne, come la scienziata Marguerite Vogt, assistente di Dulbecco negli Stati Uniti, scrisse ai famigliari: «La Vogt è una fanatica devota della scienza in generale, di Renato in particolare…. Renato, così superiore a lei per intelligenza ed equilibrio, accetta con rassegnazione la sua devozione e il suo zelo». E benché non trapelassero indiscrezioni sulle giornate di Rita e Dulbecco a Pasadena, cittadina americana dove lui viveva e lavorava, lei ai famigliari scrisse: «Del lavoro non sono in grado di dire niente. Per il momento siamo in una fase quanto mai iniziale. Renato mi aiuta molto e spero con lui di superare le molte difficoltà tecniche che si prospettano».
In America, come ammesso da entrambi, i due scienziati si scambiavano continue visite cercando di riservare l’uno all’altro il meglio ogni volta. Molte le descrizioni di Rita alla gemella Paola e alla mamma. In una lettera del 1955 dopo una sosta di Renato a Saint Louis , Rita scrisse: «La sua visita è stata quanto mai gradita. Simpatico, tonico e in perfetta forma come sempre. Gli avevo organizzato una conferenza alla Medical School. Dietro richiesta del Chairman l’ho presentato io a un pubblico molto scelto e numeroso. Ha parlato con vivo successo dei suoi ultimi bellissimi lavori. A conferenza finita è venuto a cena da me con Victor e un piccolo gruppo di amici». In moltissime altre lettere, Rita ha parlato di Renato. Mentre lo scienziato lo ha fatto anche pubblicamente, spesso persino con i giornalisti, come quando ha dichiarato: «Veder lavorare Rita sugli embrioni è davvero emozionante. Usa aghi sottilissimi e muove le mani con una precisione e una destrezza da artista».
Un caso molto chiacchierato il loro rapporto che nessuno dei due mai smentì anche se Rita, alla soglia dei novant’anni, in modo vezzoso ammise: «Dulbecco innamorato di me? Si diceva, ma non credo» ma poi aggiunse: «eravamo molto amici, e così siamo rimasti. Un rapporto di amicizia speciale, particolarmente intenso, che è durato tutto il tempo. E che continua anche oggi. Sono io che gli ho fatto iniziare gli studi in fisica». Rita, che con il passare degli anni aveva imparato ad affascinare per l’eleganza fino essere definita la “principessa della scienza”, ad incantare per l’intelligenza, la tenacia e lo slancio vitale che esprimeva, aveva una grande ammirazione verso il collega-amico. Ricambiata.
Dopo la morte di Dulbecco avvenuta nella sua casa americana, il 20 febbraio 2012, Rita rilasciò ai giornalisti poche parole ufficiale di addio al caro amico. C’erano già state perdite importanti nella vita di colei che al Premio Nobel aveva affiancato decine di altri premi e la nomina a senatrice a vita. Ad esempio la scomparsa dell’amatissima gemella, Paola, nel 2000, l’aveva profondamente addolorata, ma non distrutta. L’addio eterno di Renato Dulbecco, invece, è stato fatale. E dieci mesi dopo, il 30 dicembre 2012, se ne è andata per sempre anche lei.
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