int. a Paolo Savona: «La sola politica monetaria non riuscirà a salvare l’UE» (Il Mattino)

di Nando Santonastaso, del 22 Aprile 2016

Paolo Savona

Dalla fine del laissez-faire alla fine della liberal-democrazia

L'attrazione fatale per la giustizia sociale e la molla di una nuova rivoluzione globale

Da Il Mattino del 22 aprile

È difficile dare torto a un economista come Paolo Savona quando, richiesto di una previsione su ciò che potrebbe accadere sul piano economico nella vecchia e malandata Europa a breve e medio termine, risponde che «non si può». Perché, spiega, «non parliamo solo di economia di mercato ma del comportamento di Paesi che hanno strategie geopolitiche e geoeconomiche spesso molto contraddittorie tra di loro e di un’Europa che non funziona. Ecco perché dico da tempo che le autorità monetarie farebbero bene a parlare di meno».
Per Savona, oggi pomeriggio alla Camera di Commercio di Napoli per parlare del suo ultimo libro, «Dalla fine del laissez-faire alla fine della liberai- democrazia» (Rubettino) su iniziativa de Ildenaro.it, la domanda è quasi inutile. «L’economia non è fatta da farmacisti che se sbagliano il dosaggio di un medicinale mettono a repentaglio la vita del paziente. L’economia va avanti per approssimazioni molto grosse: non a caso il mercato finanziario peggiora ogni volta che le previsioni di crescita annunciate dalle autorità monetarie vengono poi riviste al ribasso», puntualizza.
Tutti gli indicatori però lasciano intravedere un rallentamento della crescita…
«Oggi non siamo in grado di dire che le cose andranno peggio. Possiamo però escludere che andranno meglio. Mi riferisco all’ultimo World Economic Outlook dell’Fmi: esso afferma che ci sarà una decelerazione ma le cose potrebbero anche essere più brutte».
Anche in Europa?
«Temo di sì. Gli altri Paesi più o meno si sono dati una strategia: se guardiamo le statistiche dell’Economist vediamo che ci sono segni positivi tra il 2 e il 3 per cento, con la solita eccezione della Cina che cresce molto di più. L’Europa no, rimane ancora bassa. Ma non è una sorpresa».
Si spieghi, professore.
«Come osservo nel capitolo 13 del mio libro, ci troviamo di fronte a un mutamento storico della vita dell’umanità per effetto di quattro profonde novità: la globalizzazione, che detta legge ai governi nazionali; lo sviluppo abnorme della finanza, che è alimentato da una politica monetaria che tenta di raggiungere obiettivi non raggiungibili; l’innovazione tecnologia e l’intelligenza artificiale che allontanano l’uomo dalla produzione; e infine la ripresa del massimalismo religioso che genera il terrorismo. Di fronte a tutto ciò, la società ha bisogno di una radicale, nuova organizzazione che nel passato ha richiesto decenni mentre ora la dobbiamo fare in poco tempo».
Ma in che modo tutto questo influisce con le strategie monetarie dell’Ue?
«Se continuiamo a insistere con i vecchi concetti di politica economica, ovvero le riforme per rilanciare l’offerta e la competitività e le spese per promuovere la domanda, facciamo ragionamenti che non scalfiscono minimamente questi quattro nodi. Purtroppo mancano i leader culturali e politici: poveri disoccupati del Mezzogiorno, perché con una crescita forzata dalla moneta e con le riforme non può esserci una crescita dell’occupazione».
Anche lei pensa dunque che un’intera generazione di giovani abbia ormai perso l’appuntamento con il lavoro?
«Non posso escluderlo, così come va detto che ci può essere in prospettiva anche una minore necessità di lavoro. Siccome però i giovani possiedono energie che i meno giovani non hanno più, devono rendersi conto che per entrare nel mercato del lavoro devono essere disponibili ad andare in tutte le parti del mondo dove c’è lavoro, smettendola di lamentarsi di dover lasciare la loro culla, il loro territorio: perché ormai con l’informatica il territorio fisico conta molto meno che in passato. Naturalmente bisogna anche tenere ben presente che il livello d’ingresso nel mercato del lavoro oggi è decisamente più alto. I giovani hanno bisogno oggi di una preparazione dieci volte superiore a quella che mi ha consentito di entrare in Banca d’Italia. Ma rispetto alla mia generazione hanno anche strumenti molto più potenti».
Restiamo al Mezzogiorno: il governo ha cambiato strategia, c’è più Sud nelle sue più recenti decisioni, dal masterplan al credito per gli investimenti…
«A me pare che siamo ancora lontani da una visione strategica per lo sviluppo di quest’area, specie se collochiamo il Mezzogiorno nel nuovo quadro geopolitico. Masterplan, nuovi investimenti? Non credo che sia il modo con cui si possa risolvere il problema. La fase più acuta della crisi è stata fermata ma il tema di come riassorbire i disoccupati giovani coinvolgendoli in questo processo non è ancora stato messo nell’agenda del governo. Il mio gruppo di lavoro con Alfonso Russo, Massimo Lo Cicero, Domenico De Masi e altri, aveva lanciato proposte che già prendevano in considerazione i mutamenti prodotti, ad esempio, dall’avvento dell’intelligenza artificiale. Avevamo proposto le Navi della conoscenza per aiutare i giovani ad affrontare questa nuova dimensione: non ci hanno ascoltato».
Torniamo allo scenario europeo: sbaglio o se l’aspettava una fase così difficile per l’Unione?
«Non sbaglia. La crisi dell’Ue non è una sorpresa per me. Ho scritto per tempo che i Patti raggiunti in Europa non potevano funzionare, perché quei Patti dimostrano la distanza tra la vecchia dimensione geopolitica e la nuova dimensione che ho delineato in precedenza. È di fronte a quei quattro scenari che bisognerebbe trovare un accordo. Se manca una diagnosi, come purtroppo continua ad accadere, non possiamo sostenere che il problema di Cipro o della Grecia potrebbe diffondersi anche in Italia».
Se Londra uscisse dall’Ue sarebbe uno choc salutare o definitivo per il futuro dell’Unione?
«Potrebbe essere uno choc positivo, certo, ma anche una palla di neve che si tramuta in valanga proprio perché manca un’idea guida sul futuro dell’Ue».
Renzi fa bene a mostrare i muscoli a Bruxelles, a cominciare dalla flessibilità?
«Renzi e il suo governo si pongono su un solco tradizionale di come governare l’economia: ma il problema non è più questo. Occorrerebbe una forza coagulante, piuttosto, per affrontare le novità del cambiamento: perché non ci fermiamo un attimo a riflettere? Pensare di tamponare solo la falla, come fa l’Italia proponendo ad esempio gli eurobond per i migranti, non risolve i nodi di fondo».
C’è un problema di leadership in Europa?
«Anche questa non è una novità. Quando Giolitti cambiava politica si muoveva sempre nell’ambito del vecchio establishment e seguiva politiche innovatrici Roosvelt chiamò Keynes per il New Deal e oggi che si profila un possibile successo di Tramp alle presidenziali Usa la gente quasi inorridisce. Ma se lui si circonda di gente in gamba come fece Reagan, che ha fatto cose innovative come la pace con la Cina o l’accordo sul disarmo con la Russia, allora il giudizio cambia»

di Nando Santonastaso

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