Aldo Moro e l’intelligence: per una storia dei servizi segreti italiani (parentesistoriche.altervista.org)

del 12 Dicembre 2018

Aldo Moro e l’Intelligence

Il senso dello Stato e le responsabilità del potere

a cura di Mario Caligiuri

Perché parlare ancor’oggi di Aldo Moro?

Per Mario Caligiuri, professore presso l’Università di Calabria, esperto di intelligence e curatore del volume Aldo Moro e l’intelligence. Il senso dello Stato e le responsabilità del potere (Rubbettino, 2018), parlarne è necessario per strapparlo all’appiattimento a cui è – ed è stata – sottoposta la sua vicenda, politica e personale: “La sua figura è […] schiacciata sulla tragica fine, lasciando in ombra la sua lunga azione politica”. Mentre la produzione saggistica tende oggi a focalizzarsi sul suo rapimento e assassinio da parte delle Brigate Rosse, infatti, Caligiuri se ne discosta per raccontare il rapporto tra il politico della Democrazia Cristiana e i servizi segreti italiani, cruciale negli anni della Guerra Fredda, ricordando come l’apporto di Moro sia stato decisivo per l’allargamento della partecipazione politica, in particolare per i partiti socialista e comunista.

Il libro prende le mosse dall’omonimo convegno, svoltosi a maggio 2017, sulla scia di un’analoga iniziativa dell’ottobre 2010 intitolata Francesco Cossiga e l’intelligence. La promozione di simili iniziative è dovuta alla constatazione, da parte di Caligiuri, che “una delle ragioni per cui l’intelligence viene interpretata in maniera imprecisa è che mancano nel nostro Paese ampi studi scientifici e approfonditi inquadramenti storici” e quindi, per colmare questa carenza, è necessario “farla riconoscere quale materia accademica nel nostro Paese” cercando “di affrontare il tema della cultura della sicurezza da parte dei rappresentanti delle istituzioni repubblicane”.

Come giustamente rilevato dal curatore del volume, Aldo Moro si è confrontato con le questioni relative ai servizi segreti “in tutta la sua esperienza politica”, e ciò ben traspare dagli interventi degli esperti che hanno contribuito al convegno prima e al volume poi. In particolare, il politico democristiano fu protagonista di tre eventi che videro i servizi d’intelligence italiani svolgere un “ruolo determinante”.

Come Segretario della Democrazia Cristiana, Moro gestì innanzitutto la delicata situazione creatasi nel 1960 con la formazione del nuovo governo Tambroni, che ottenne la fiducia alla Camera grazie all’apporto dei voti provenienti dal Movimento Sociale Italiano, e con i fatti di Genova, città protagonista della Resistenza che si rifiutò di ospitare il nuovo congresso del partito missino. Per ristabilire l’ordine, il politico si mise in contatto con il generale Giovanni De Lorenzo, all’epoca capo del Servizio Informazioni Forze Armate (SIFAR), chiedendogli informazioni utili a spingere Tambroni alle dimissioni poiché, a suo parere, il collega di partito non si era mostrato in grado di gestire l’ordine pubblico e ciò avrebbe potuto avere serie ripercussioni sulla DC che, in quel momento, non avrebbe saputo affrontarle.

De Lorenzo, come comandante generale dell’Arma dei Carabinieri, incrociò nuovamente la strada di Moro, allora presidente del Consiglio, nel 1964 quando, insieme al presidente della Repubblica Antonio Segni, gli palesò il rischio dell’impossibilità di gestione dell’ordine pubblico, con l’obiettivo di smorzare la politica riformatrice auspicata dal centrosinistra. Come sarebbe emerso nel 1967 grazie all’inchiesta di Lino Jannuzzi per “L’Espresso”, Segni e De Lorenzo furono i protagonisti del Piano Solo, l’ “effettivo tentativo” di incidere sulla politica nazionale da parte di alcuni esponenti dell’Arma dei Carabinieri su iniziativa del presidente della Repubblica, ossessionato dalla minaccia comunista. Moro, in questo caso, mediò tra tendenze avverse arrivando alla concreta attenuazione del programma del centrosinistra e, per mantenere l’unità del suo partito, insistette sull’applicazione del segreto di Stato sia per quanto riguardava il Piano Solo che per lo scandalo delle schedature illegali effettuate dal SIFAR.

Infine, il politico democristiano fu presidente degli Esteri negli anni della “strategia della tensione” e, ancora una volta, fu in stretto contatto con i servizi segreti, in particolar modo in seguito alla strage di piazza Fontana del 12 dicembre 1969, tanto che affermò, già nelle settimane successive, che “la pista era vistosamente nera, come si è poi rapidamente riconosciuto”.

Particolarmente degno di nota, comunque, è il lungo e denso saggio del ricercatore Giacomo Pacini, Il lodo Moro. L’Italia e la politica mediterranea. Appunti per una storia, che ripercorre la storia del Lodo Moro, ovvero l’accordo stipulato da Moro con l’Organizzazione per la liberazione della Palestina in base al quale i militanti palestinesi potevano muoversi liberamente – e con una sostanziale impunità – in tutta la Penisola purché non compissero attacchi terroristici contro obiettivi italiani, mentre l’Italia si sarebbe impegnata in sede diplomatica per contribuire al riconoscimento dell’Olp quale rappresentante ufficiale del popolo palestinese.

Rimasto un segreto per anni, il Lodo Moro sarebbe stato realizzato, ovviamente, grazie all’apporto essenziale dei servizi segreti, nonostante la lotta tra le fazioni filoisraeliana – capeggiata dal generale Gianadelio Maletti, fedelissimo di Giulio Andreotti e capo del reparto di controspionaggio del Servizio Informazioni Difesa (SID) – e filoaraba – rappresentata invece dal suo superiore, direttore del SID, generale Vito Miceli. Oltre a quest’ultimo, Moro fu particolarmente legato al colonnello Stefano Giovannone, capocentro dei servizi italiani a Beirut e garante dell’accordo con i palestinesi dell’Olp, tanto che sarà a lui che il presidente della DC si rivolgerà, in cerca di aiuto, con le sue lettere scritte nel carcere brigatista. Il saggio di Pacini, comunque, risulta degno di nota anche perché affronta una serie di questioni rimaste – a oggi – ancora aperte, come, per esempio, il coinvolgimento dell’Olp nelle ricerche di Moro nei giorni del suo rapimento e se il Lodo fosse ancora attivo anche dopo la scomparsa del politico.

Il volume curato da Caligiuri, dunque, rappresenta certamente un contributo essenziale e necessario non solo per conoscere un lato del politico democristiano solitamente ignorato, ma anche per ricostruire una storia dei servizi segretiche, a oggi, risulta purtroppo lasciata in secondo piano nonostante la sua importanza vitale quale garante, nelle parole di Aldo Moro,

«della sicurezza e della integrità del paese. Basti pensare all’attività che esso svolge […] per la lotta contro il terrorismo, e nei diversi settori del mondo, in ogni caso con criteri non discriminatori in ordine alle libere opinioni dei cittadini, ma in collegamento con la pubblica sicurezza e l’arma dei carabinieri, facendo riferimento ai rischi effettivi che in taluni casi si riscontrano per la sicurezza dello stato.»

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