L’Italia e il bisogno di una nuova etica pubblica (Il Messaggero)

del 31 Maggio 2013

Da Il Messaggero – 31 maggio 2013

Il messaggio è chiaro: «Occorre passare dai politici-cicala della brutte epoque ai politici-formiche per una nouvelle epoque». Ecco, Luigi Tivelli ha la nettezza cartesiana, anche se giustamente cita sempre Voltaire, di uno che non fa ghirigori, che considera un fallimento nel suo complesso la Seconda Repubblica e poco all’altezza dei problemi buona parte della sua classe dirigente, ma non si abbandona al disfattismo. Entra ed esce dalle questioni irrisolte del nostro Paese – e il suo L’Italia dimenticata (Rubbettino, 192 pagine, 12 euro) ne è un catalogo molto ragionato – cercando di immaginare le soluzioni per uscire dalla “brutte epoque” e in parte le individua in un rinnovato senso civico, in una seria etica pubblica, in nuove classi politiche e rinnovati ceti dirigenti.

Un libro di politologia, dunque? No. Perché Tivelli per trent’anni è vissuto nel cuore delle istituzioni da civil servant e conosce i problemi italiani da vicino e dal di dentro. Il che lo mette a riparo dalle astrattezze di tanta politologia e dalle semplificazioni pamphlettistiche. Tivelli è uno che ama più le polcies che la politics – distinzione che Enrico Letta nel suo discorso parlamentare da premier ha ricordato – il che gli consente di avere uno sguardo imparziale e no partisan sui vari nodi irrisolti del Paese-cicala: la questione fiscale, la questione meridionale, la questione del federalismo, quella della cittadinanza e del senso civico a cui l’autore tiene particolarmente. Analizza l’Italia con l’occhio di un medico e calza a pennello la citazione di questa massima del cardinale Richelieu dal suo Testamento politico: «Capita per gli stati come per i corpi umani, che il bel colore della faccia fa credere al medico che non vi sia nulla di, guasto dentro».

Uno dei guasti nostrani, secondo Tivelli, è la mancata rivoluzione liberale. Un altro difetto è l’assenza di «politici presbiti», statisti capaci di guardare lontano, come lo sono stati De Gasperi o La Malfa. E poi, la sequela di «dimenticanze», che vengono da lontano e a cui neppure il governo Monti è riuscito a rimediare nonostante qualche barlume di riformismo, hanno prodotto un debito pubblico di duemila miliardi di euro, una disoccupazione giovanile ai massimi storici, un Mezzogiorno abbandonato al suo destino, generazioni di precari. Ma l’Italia che non si arrende esiste. Tivelli ne è un esempio classico.

 

Di Mario Ajello

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