Pier Paolo Pasolini, “profeta scandaloso” e cronista irredento dell’Italia post-bellica (Alterthink.it)

di Michele Ceci, del 29 Marzo 2023

Il profeta scandaloso

Pier Paolo Pasolini nel centenario della sua nascita e oltre...

a cura di Stefano Fassina e Gaetano Quagliariello

Scrittore, sceneggiatore, editorialista corsaro, Pier Paolo Pasolini è stato probabilmente l’autore più versatile, innovativo e imprevedibile dell’Italia repubblicana. Non ha, certo, inventato la figura dell’intellettuale impegnato, ma a lui va il merito d’averla reinterpretata in chiave “essenzialmente, disperatamente, generosamente” politica. Un saggio dalle vaste sfaccettature, mediante numerosi contributi di esponenti del mondo politico e intellettuale italiano, ricostruisce minuziosamente il fervore politico dell’opera pasoliniana e fa luce sull’afflato anarchico ed antimoderno dell’ultimo grande autore comunista “eretico per davvero”. 

NEMO PROPHETA IN PATRIA?

Devo dapprincipio una confessione a chi mi legge: Pier Paolo Pasolini non ha mai fatto parte della sfera dei miei ispiratori, mentori culturali. Ne ho sempre apprezzato, sicuramente, e a tratti studiato, il profilo intellettuale e d’impegno politico. Un paragone un po’ grossolano mi ha sempre portato a vedere in lui una sorta di Albert Camus italiano, ancor di più nemo propheta in Patria di quanto non lo fosse l’autore de “Lo Straniero”. Le categorie dell’umanista integrale, dell’intellettuale costantemente in dissidio con la propria “parrocchia” di appartenenza, dello scrittore prestato al giornalismo e dell’uomo mite costretto dalla società a farsi “disperato lottatore” contraddistinguono probabilmente entrambi, anche se non in egual misura.

Premesse queste debite considerazioni, ho trovato stimolante l’idea di dedicare qualche riflessione al libro Il Profeta scandaloso, presentato ieri alla Camera dei Deputati su iniziativa di Fondazione Magna Carta e dell’associazione Patria e Costituzione. Da poco uscito nelle librerie per Rubbettino, il volume di 84 pagine è ispirato da due incontri dedicati al grande autore e promossi rispettivamente dalle due organizzazioni con una cultura politica profondamente diversa. Raccoglie infatti un florilegio di riflessioni di alcune importanti personalità appartenenti a un vasto spettro di estrazioni politiche e culturali, fra i quali è d’uopo annoverare il Presidente di Fondazione Magna Carta Gaetano Quagliariello, già ministro e senatore, la ministra della Famiglia, della Natalità e delle Pari Opportunità Eugenia Roccella, l’economista Stefano Fassina e la scrittrice Dacia Maraini.

PIER PAOLO PASOLINI, NARRATORE IMPEGNATO DI UNA METAMORFOSI SOCIALE…

Occuparsi di Pasolini vuol dire toccare una corda vibrante della storia patria. Perché è stato o – forse il presente risulta più opportuno – è l’autore di cui più frequentemente la classe politica si è appropriata, da destra e da sinistra. Con la stessa chiarezza con cui il libro in questione lo puntualizza, è allora necessario ricordarlo con fermezza: Pier Paolo Pasolini era marxista, comunista, in ogni caso indiscutibilmente di sinistra. Le riflessioni da lui condotte sulla metamorfosi antropologica della società italiana conseguita alla transizione della Penisola da Paese contadino e latifondista a moderna terra manifatturiera, industrializzata e borghese ne fanno tuttavia un autore tanto difficile da interpretare quanto facile da strumentalizzare. Di lui si è parlato soprattutto con riferimento al fustigatore dei costumi e dei potenti, all’autore visionario ostracizzato dai suoi contemporanei, all’uomo di sinistra che attaccò i “Sessantottini”: tutti elementi effettivamente difficili da smentire, ma che meritano alcune specifiche critiche.

… E MILITANTE CRITICO CONTRO L’”ANESTESIA DEL POPOLO”

In tutta la produzione pasoliniana, che va dalle Lettere Luterane agli Scritti corsari, si intravede la dinamica lacerante della sopracitata metamorfosi. La trasformazione della persona in individuo, e dunque in un “atomo” votato all’unica prerogativa che gli resta: quella del consumo, del consumo forsennato e quasi ossessivo. Il tutto con la carneficina di valori che ne è conseguita. In questo senso, come ottimamente sottolineato dal Presidente di Fondazione Magna Carta, rimbomba in Pasolini la contrapposizione fra un tempo perduto e il presente.

Il ritornello pervasivo e penetrante dei suoi scritti politici sembra tradursi in un processo declinante che potremmo etichettare come “anestesia del popolo”, in un mondo di cui del senso stesso dell’umano il “Nuovo potere”, o “Nuovo fascismo”, ha fatto indiscriminatamente e deliberatamente macelleria. Persino il desiderio, sia esso individuale o collettivo, ha smarrito la sua originalità intrinseca per diventare una sorta di imposizione esterna, omologata a determinate risposte materiali già presenti sugli scaffali.

PIER PAOLO PASOLINI, SCRITTORE DELLE MACERIE?

Consonanza si riscontra, a tal proposito, fra Pasolini e i suoi contemporanei tedeschi della Trümmerliteratur – in testa, Heinrich Böll, che non scrive sui giornali se non raramente e li critica ancor più radicalmente, e che a differenza dell’autore di Petrolio rivendica la propria fede cattolica, anche in contrapposizione al cattolicesimo politico a lui coevo. Una contrapposizione, quest’ultima, che lo ricollega proprio a Pasolini. Il massacro di quel poco che costituiva la dignità di vivere e di morire ha infatti trascinato con sé anche i codici ideologici dei partiti democratici. Il mondo arcaico, rurale e povero (o “civiltà delle lucciole”) non era certo privo di brutali contraddizioni – secondo l’autore – ma, se non altro, appariva almeno come deterso dalla principale turpitudine della contemporaneità: la volgarità. La potenza retorica di una frase come “Darei l’intera Montedison per una lucciola” affresca bene l’idea in questione.

LA RICERCA INSISTENTE DI UN’UTOPIA DELL’ALTERITÀ?

L’edificio pasoliniano è stato ampiamente rigettato sia dalla destra che dalla sinistra non solo per i suoi caratteri anticonformisti e non di rado provocatori, né per l’irrealismo che lo connota in relazione alla sua collocazione storica o cosmo-storica. La ricerca di una sacralità “laica”, intesa come riconciliazione pura e integra dell’umano con il cielo e la terra, risponde in fondo a un certo bisogno di protezione. L’anarchismo diventa il rifugio da ogni forma di oppressione reale o potenziale, laddove quest’ultima finisce col contaminare sempre chiunque brandisca anche solo uno scampolo di potere. “L’utopia dell’alterità” – per usare le parole di Eugenia Roccella – diventa un ancoraggio e un orizzonte da mantenere e coltivare.

Le battaglie del Partito Radicale si sono rivelate insufficienti a non consegnarlo all’omologazione storica: oggi, i diritti civili sono stati “marxistizzati” pragmaticamente e sono diventati un simbolo politico convenzionale e tipico di una determinata fazione politica, mentre l’eredità politica dei Radicali tutto ha lasciato fuorché una formazione “eternamente contraria” e una minoranza scandalosa o perlomeno creativa.

VITALITÀ DISPERATA E DISPERATISSIMO SENSO DI MORTE?

La frattura che lacera Pasolini, in effetti, non dà certo luogo allo slancio vitale che contraddistingue l’Allegria di naufragi di Ungaretti, ma a uno scontro a esso per certi versi affine fra due poli che Ferdinando Adornato, altro co-autore di questo libro, chiama “la vitalità disperata e il disperatissimo senso di morte”. Negli scritti politici di Pasolini c’è infatti il generoso e al contempo lacerante sacrificio di un autore dove “carne e sangue”, corpo e pensiero parimenti si spiegano per una lotta da cui quasi sempre scaturiscono provocazioni caustiche, e quasi mai convincenti arringhe. Ciò accade perché Pasolini non è un istrione, né un tribuno, ma un artista e un intellettuale dai messaggi eminentemente “politici”.

Alla luce delle considerazioni tratte, non è troppo difficile pervenire a una possibile spiegazione del titolo “Il profeta scandaloso”: Pier Paolo Pasolini ha anticipato il mondo di oggi, la sua stasi valoriale, il suo ricorrente opportunismo. Non è sua la paternità dell’impegno politico in una prospettiva letteraria: la figura in questione preesiste alla sua opera e anche alla sua esistenza, e va probabilmente ricondotta ai grandi scrittori romantici dell’Ottocento. Cantore “maledetto” e “irredento” – termine non inteso nel suo senso comune storico e geografico, ma in quello di “non redento”, non ancora capito, men che meno dalla gran parte di coloro i quali oggi lo incensano – conserva oggi un’attualità a tratti dolorosa e lancinante.

PIER PAOLO PASOLINI, UN INTELLETTUALE (E UN ERETICO) VERO

Merito principale di questo libro è di mettere in luce gli aspetti più apparentemente controversi del pensiero pasoliniano, attraverso prospettive diverse e una pluralità notevole. Difficile può risultare agli occhi di ogni conservatore informato alla Realpolitik – incluso l’autore di questo articolo – comprendere e condividere alcuni capisaldi del pensiero succitato. Ciò non impedisce in alcun modo di reputare pienamente condivisibili le parole che chiudono l’intervento di Gaetano Quagliariello: con Pasolini ci si trova di fronte a un intellettuale vero. Uno di quelli che tanto ci mancano.