Valorizzare i talenti della donna (Messaggero Cappuccino)

di Dino Dozzi, del 18 Aprile 2013

Da Messaggero Cappuccino n. 2/2013

La fuga delle quarantenni. Il difficile rapporto delle donne con la Chiesa”. Questo il titolo dì uno studio di don Armando Matteo (Rubbettino, Catanzaro 2012), che sta attirando l’attenzione da molte parti. Se stesse davvero per finire la tradizionale alleanza tra le donne e la Chiesa, che fine farebbe l’evangelizzazione dei bambini? Molte cose sono cambiate nella società e nel mondo delle donne: la terminologia tradizionale di “sesso debole” o “chiesa, casa, famiglia” non tiene più. Le donne oggi hanno generalmente un grado di istruzione maggiore degli uomini e maggiore autonomia, rispetto a ieri, sia economica che di giudizio. Non vedendosi “riconosciute” dalla Chiesa pubblica, sempre più maschile e clericale, stanno allontanandosi dalla pratica liturgica con un effetto a cascata preoccupante. Il 90% dei catechisti erano donne e ora sono molti i parroci a non trovare più catechisti. Chi, nei primi anni di vita, dava ai bambini, oltre che le istruzioni per vivere anche quelle per credere, erano le donne: ora la cresima è sempre di più il sacramento dell’abbandono. Effetti certo della secolarizzazione globale, ma forse ancor più di una mancata valorizzazione delle donne da parte della Chiesa.
Notano gli acuti osservatori de La Civiltà Cattolica (2012 IV, pp. 384-391) che, negli ultimi cinquant’anni, cioè dal Concilio in qua, molta fiducia è stata data ai nuovi movimenti, assenti però dalle parrocchie: sono sorte tante piccole chiese nella Chiesa, ciascuna con i suoi linguaggi, i suoi libri, la sua teologia, i suoi padri spirituali, i suoi slogan, i suoi marchi, i suoi canti, i suoi riferimenti diretti alla Santa Sede, il suo privilegiare i giovani. La struttura capillare famiglia-parrocchia-educazione religiosa era fondata sul ruolo delle donne mamme e nonne.
Se vengono meno queste, salta l’ingranaggio fondamentale della trasmissione della fede. Il futuro della Chiesa è legato alla questione donna. Il futuro dell’evangelizzazione passa attraverso le donne. Fa meraviglia la scarsa attenzione al problema da parte anche del recente Sinodo dei Vescovi. Ma basta lamentele. Il problema è sotto gli occhi di tutti: occorre costruire. Recuperando una fiducia nel laicato che è rimasto nei documenti conciliari e restituendo alle donne il loro ruolo: da grande minaccia potrebbero tornare ad essere le alleate più preziose, non solo di una nuova evangelizzazione, ma anche di una nuova costituente antropologica, di un nuovo umanesimo femminile, per la costruzione di una Chiesa realmente a due voci. L’autore del libro presenta “cinque modeste proposte”: riequilibrare l’immagine pubblica della Chiesa italiana, troppo maschile e troppo clericale, affidando sia a Roma che nelle diocesi e nelle parrocchie compiti maggiori alle donne (non ci sono solo compiti sacerdotali), che hanno spesso ottima formazione culturale e teologica; lavorare per un’effettiva corresponsabilità dei laici e quindi anche delle donne, creando luoghi dove i laici e le donne possano effettivamente prendere la parola e venire ascoltati per il bene delle comunità; pensare i tempi e le attese delle quarantenni, rivedendo anche gli orari delle attività parrocchiali e delle messe festive, orari ancora legati ad un mondo agricolo che fu; stanare i maschi dal loro ferito narcisismo: la “morte del padre”, provocata dalla lotta al padre-marito padrone, non giova a nessuno, né ai genitori né ai figli né alle mogli; affrontare la battaglia per “la vita buona dell’umano”, riconoscendo tutti che invecchiare non è un peccato né una malattia. Chi, come il sottoscritto, si trova a dirigere un Istituto Superiore di Scienze Religiose di cinque diocesi, dove più di duecento iscritti – in maggioranza quarantenni e donne – fanno sacrifici notevoli per frequentare le lezioni, dare esami, ricevere lauree triennali e quinquennali, acquisire competenze teologiche e didattiche, si domanda con preoccupazione come verranno spesi quei titoli e come verranno utilizzate quelle competenze. Si domanda se le nostre diocesi e le nostre parrocchie, i nostri vescovi e i nostri parroci sono pronti per accogliere e impiegare questo capitale umano per il quale, d’altra parte, stanno investendo molte forze e molto denaro. Occorre uno sforzo di progettazione per nuove professionalità oltre quelle legate all’Insegnamento della Religione Cattolica; occorre dare spazio, visibilità e responsabilità ai laici e alle donne nella Chiesa, prima che sia troppo tardi.

Di Dino Dozzi

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