La barbarie che spinge l’immigrazione (La Ragione)

di Maurizio Stefanini, del 2 Novembre 2022

Sono 13 milioni i siriani fuggiti dal Paese per scampare alla guerra civile e alla repressione di Assad, appoggiato da Putin. E una delle tre diaspore più importanti del mondo, assieme ai 7,1 milioni di venezuelani fuggiti da un regime aiutato da Putin e ai 7 milioni di ucraini, in fuga da una guerra di invasione scatenata da Putin. In particolare, l’arrivo in massa dei siriani ha contribuito a far crescere in Europa un’ondata di xenofobia da cui si sono alimentati partiti di destra che però hanno preso in simpatia proprio Putin, l’erede dell’Urss comunista. Più o meno fu questo il loro (corto)circuito mentale: «Se Putin è loro nemico, siccome a noi questa gente disturba allora Putin è nostro amico». Una conseguenza di quella crisi fu il proliferare di testi che paragonavano la crisi siriana a quel che accadde tra l’estate e l’autunno del 376, quando alcune decine di migliaia di goti in fuga
dall’invasione unna giunsero al confine dell’impero romano sul Danubio, chiedendo asilo. L’imperatore Valente lo concesse,  promettendo anche terre da coltivare, razioni di grano e l’inclusione nei ranghi dell’esercito. La situazione però ben presto degenerò: a distanza dì tanto tempo le fonti non permettono di decifrare con chiarezza se vi fu malafede, se la responsabilità vada invece ascritta a una burocrazia corrotta oppure se semplicemente il problema fosse impossibile da gestire. Si arrivò comunque a una ribellione dei goti contro gli stessi romani, che nel 378 subirono ad Adrianopoli una sconfitta devastante, a cui pose fine nel 382 una pace considerata l’inizio del collasso  dell’impero. Una patte di quei goti finirono poi nella penisola iberica. Ecco spiegato perché il parallelo storico è stato proposto in un articolo del noto romanziere e accademico di Spagna Arturo Pérez-Reverte così come in una trilogia di romanzi scritta tra il 2017 e il 2021 dall’altro autore spagnolo Pedro Santamarla. A questi testi va aggiunto anche “L’immigrazione nell’antica Roma”, un saggio scritto per Rubbettino da Giuseppe Valditara e che nel contesto dell’allarme per i barconi “il Giornale” ebbe l’idea di accludere in edicola col titolo “L’impero romano distrutto dagli immigrati”. Titolo che viene ora rinfacciato al
neoministro dell’Istruzione e del Merito. «Come sempre succede quando un giornale pubblica un libro come allegato, è l’editore che sceglie il titolo per rendere il lavoro più accattivante» si è difeso Valditara. Vero che in realtà il saggio è una esaltazione della capacità dei romani di integrare popolazioni diverse; vero che la presa di distanza dal titolo avviene ora che crea imbarazzo e non ai momento dell’uscita in edicola. Però forse questo dibattito distrae sul fatto che in realtà la
causa prima della caduta dell’impero romano non furono i goti ma gli unni. Se l’emergenza fosse stata gestita meglio, proprio i goti avrebbero potuto dare una mano a fermare i loro persecutori. Anche ora i nemici veri della nostra civiltà non sono i goti siriani, venezuelaní o ucraini ma i nuovi unsi. Quell’Attila di Putin.