Il Maestro della bellezza (Il Quotidiano del Sud)

del 6 Giugno 2016

Da Il Quotidiano del Sud del 6 giugno

Si intitola “Sono nessuno. Il mio lungo viaggio tra arte e vita” il libro intervista di Gerardo Sacco con Francesco Kostner, edito da Rubbettino, da pochi giorni in libreria.
Nel volume l’orafo crotonese, incalzato dalle intelligenti domande di Kostner, racconta la sua vita partendo dalle umili origini in una povera casa di crotone, dagli inizi difficili come garzone di un barbiere, alla fama cui la sua arte e la sua abilità lo hanno destinato.
Nelle pagine seguenti proponiamo ampi stralci del libro.

Quella volta all’università

C’era qualcosa di magico sul volto di Gerardo Sacco, dopo aver pronunciato l’ultima parola dell’intervento con cui il 26 febbraio 2008 aveva concluso la giornata in suo onore, nell’Aula Magna dell’Università della Calabria. Una testimonianza semplice, ma particolarmente apprezzata dalle centinaia di studenti, docenti, rappresentanti del mondo culturale, istituzionale, politico, religioso, arrivati ad Arcavacata da ogni parte della regione.
Un capolavoro comunicativo del maestro crotonese.Come forse non sarebbe riuscito al più navigato degli oratori. Capace di scegliere con cura ritmi, pause, iperbole verbali,morbidi atterraggi semantici.
Sciorinando, insomma, l’armamentario di una tecnica espressiva efficace e raffinata. Il rimpianto di non aver potuto studiare, il difficile contesto familiare in cui era cresciuto, le gravose responsabilità che aveva dovuto assumersi ancora ragazzo, avevano catturato l’attenzione della platea; e così il racconto del suo successo, costruito a prezzo di durissimi sacrifici.
Il pubblico osservava Sacco con un misto di simpatia e tenerezza mentre, impacciato e timoroso, provava a leggere il suo intervento. La voce tremolante gli impediva di nascondere l’emozione con cui aveva ingaggiato un difficilissimo confronto, ben prima di avviarsi verso il podio. Ma tutto era avvenuto in una sorta di empatia collettiva. Come se quella storia, improvvisamente, fosse diventata il simbolo di una vicenda artistica e umana in cui potersi riconoscere, guardando alla vita con fiducia e positività.
Che non si trattasse solo di un’impressione personale, il fatto di aver partecipato a un evento per molti aspetti memorabile, fu il lunghissimo applauso che, alla fine, venne tributato all’orafo-artigiano.
Francesco Kostner

Gli inizi (di GERARDO SACCO)

Ho iniziato presto a capire cosa può essere la vita.Non ho conosciuto la spensieratezza, l’allegria, che i bambini dovrebbero avere alla loro età. Ma questo non mi ha limitato. Né ha pesato sul mio carattere.
Anzi! A beneficiarne è stata la mia sensibilità. L’amore con cui ho sempre guardato al mondo. Mi piace ricondurre ogni cosa a una volontà superiore. A un disegno grandioso, anche se imperscrutabile, nel quale credo profondamente.
Sono nato il 24 maggio 1940. I pochi ricordi che conservo sono legati alla guerra. Lampi di memoria: il suono delle sirene, mia madre che fugge portandomi in braccio. E, poi, un buco nero e due sagome rotonde di vetro; il primo, come nel tempo sono riuscito a capire, era un rifugio antiaereo; le altre, gli occhiali di una vecchia maestra, 24 maggio 1940 che non ho mai capito perché siano rimasti così impressi nella mia mente, peraltro separate dal viso di chi li portava. Poi, soprattutto, l’assenza di mio padre, morto prematuramente di tubercolosi. Una malattia di cui non potevo parlare, per non rischiare di essere emarginato. Dovevo dire, invece, che aveva avuto un infarto. Ho molto sofferto per la sua mancanza. Non so nemmeno dove riposi. Ho solo una sua foto: un bell’uomo! Spesso ho sognato d’incontrarlo. Anche oggi, a distanza di tanto tempo, penso alla gioia che mi avrebbe regalato giocare con lui.
Mia madre si risposò, ma per il mio patrigno ero un peso. Una presenza fastidiosa in una famiglia che nel tempo sarebbe cresciuta con l’arrivo di quattro figli.
Finita la quinta elementare, il mio patrigno decise che avrei dovuto lasciare la scuola andando a lavorare. Solo così avrei avuto diritto a rimanere in casa! Fu un durissimo colpo.
Non ci fu verso di fargli cambiare idea. Aveva pensato di affidarmi a un muratore, ma mia madre chiese al fratello di farmi lavorare nella sua sala da barba.
Tra i clienti del salone c’era anche l’orafo crotonese Carmine Rocca. Cercava un garzone tuttofare e mio zio, che non vedeva l’ora di mandarmi via, gli garantì di avere la soluzione giusta. “Caro amico – gli disse come se stesse privandosi del miglior collaboratore – questo ragazzo fa al caso Vostro!”.
Entrai nella sua bottega a dieci anni; a ventidue capii che era arrivato il momento di mettermi in proprio. La mia prima opera fu una collana di cuticchie: piccole pietre marine, dalle forme più varie, che l’acqua modella e trasforma in sassolini lisci. La espongo ancora oggi con orgoglio, perché rappresenta l’inizio del cammino che ho seguito fin da ragazzo per valorizzare l’identità del territorio. Vincenzo Campana, un insegnante che frequentava assiduamente il laboratorio, rimase particolarmente colpito da quel lavoro per la novità concettuale che esprimeva e la semplicità con cui era stato concepito. “Somiglia a un gioiello etnico”, disse, facendomi i complimenti. Il mio maestro annuì compiaciuto e, volendo a sua volta sottolineare le caratteristiche e l’originalità del gioiello, aggiunse: “È vero, ricorda alcune tipiche creazioni siciliane!”. Notai l’espressione divertita del prof. Campana che, tuttavia, si guardò bene dal mettere in difficoltà l’amico.
Fu così che nel 1962 trascorsi sei mesi a Valenza Po presso la fabbrica Scorcione e Vitale.
Fu un’esperienza faticosa,ma esaltante, vista la modernità delle soluzioni adottate dall’azienda sia per migliorare la produzione che la qualità degli oggetti. Durante il giorno imparavo a usare nuovi macchinari, affinando continuamente le mie conoscenze tecniche; la sera, invece, frequentavo l’Istituto d’istruzione Benvenuto Cellini. Vissi uno straordinario periodo di formazione, studiando educazione artistica, storia dell’arte, disegno, gemmologia e altre discipline, direttamente o indirettamente, collegate al mio lavoro.
A un certo punto, il titolare della fabbrica mi propose di rimanere a Valenza Po, offrendomi uno stipendio di 600 mila lire al mese!
Con quei soldi potei così ottenere un prestito e tornare a Crotone.
Guardavo i segni dell’antichità presenti sul territorio e mi chiedevo:”Perché no?”, riferendomi alla straordinaria capacità, che individuavo in quelle vestigia del passato, di comunicare l’energia di un’identità senza confronto. Era l’elemento che, più di ogni altra cosa, sentivo di dover privilegiare nell’impostazione della mia nuova esperienza artistica.
Fu così, per esempio, nel 1966, in occasione della visita che il presidente della Repubblica Giuseppe Saragat e il vice presidente della Camera Sandro Pertini fecero a Crotone, per inaugurare il monumento ai fratelli Bandiera in località Bucchi. Era sindaco il prof.Salvatore Regalino, storico preside dell’istituto magistrale Gravina, che mi chiese di creare una copia della colonna di Hera Lacinia per donarla agli illustri ospiti. Non esisteva Internet, che oggi rende tutto più semplice. Fotografai la colonna da ogni angolazione, così da rispettarne fedelmente la simmetria. Coglierne i particolari. Le scanalature. I gradoni del basamento.Utilizzai anche un piccolo trapano a pile che avevo costruito per l’occasione e, grazie al quale, riuscii a lavorare il calco alla perfezione: non in laboratorio, ma sul luogo. Alla fine Regalino rimase molto soddisfatto.
Qualche mese dopo, alcune persone si fermarono davanti alla mia bottega. Sentendole parlare mi resi conto che non erano di Crotone. Dopo un’occhiata fugace, continuai a lavorare. Due ragazze in particolare espressero giudizi lusinghieri sulle opere esposte in vetrina: due paia di orecchini e alcune collane. Mi chiesero se appartenessero a una collezione gentilizia e quando risposi che ero stato io a realizzarli rimasero piacevolmente sorprese, facendomi un sacco di complimenti. Erano alcuni attori del film: L’armata Brancaleone, diretto da Mario Monicelli, le cui riprese venivano girate a Le Castella. Del cast facevano parte anche Barbara Steele eMariaGrazia Buccella – le due ragazze di cui ho parlato – le quali, alla fine, acquistarono i gioielli utilizzandoli sul set.

LE STAR

Liz Taylor
La conobbi all’hotel Plaza di Bari. Era bellissima, nella parte di una cantante lirica nell’Aida. Si era dovuta tingere la pelle, per le esigenze di scena, ma affermò che le sarebbe piaciuto avere quel colore nella realtà più di qualunque altra cosa. Quando mi tradussero le sue parole osservai che,mentre avrebbe potuto condividere quel sogno con milioni di persone, i suoi occhi non avevano confronti. Dicevo solo la verità: diventavano viola, verde, nocciola, in rapporto all’ambiente in cui si trovava. Mi abbracciò affettuosamente. Poi comprò tutti i miei gioielli che aveva indossato sul set. Le chiesi cosa avrebbero potuto aggiungere ai tanti che già possedeva. La sua risposta mi lasciò di stucco: “Qualcuno sostiene che io abbia
le pietre più preziose della terra,ma i manufatti più belli certamente sono questi!”. Erano presenti numerosi giornalisti e quella frase fece il giro delmondo. Fu uno spot di incredibile efficacia. E, soprattutto, senza spendere una lira! Oggi una velina, anche solo per ripetere parte di quelle parole, chiederebbe una fortuna. Allora, invece, fu tutto casuale. Spontaneo. Sincero. Un grande omaggio della Taylor che porterò sempre nel cuore.

Glenn Close, Mel Gibson e Robert De Niro
La conobbi a Edimburgo, sul set del film Amleto: “L’inchino di una regina al re dei gioielli”, disse salutandomi.Mi fece una carezza, dopo aver notato che le sue parole mi avevano messo in soggezione. Si mostrò meravigliata di sapere che non vivevo in una grande città.
Posò con me in tantissime foto. Al contrario di Mel Gibson. In occasione della conferenza stampa organizzata per presentare il film, il suo agente mi avvicinò per concordare il cachet grazie al quale sarei potuto rimanere vicino all’attore americano, beneficiando dell’attenzione dei giornalisti. Il mio sguardo gli fece capire cosa pensassi di lui e della sua assurda richiesta.Non solo:mi alzai immediatamente e presi posto, lontano da Gibson, dall’altra parte del tavolo.
Tutt’altro stile ha un mito del cinema internazionale: Robert De Niro.
È la semplicità personificata. Con garbo, educazione, stile soprattutto, conquista la scena senza fatica. Ogni gesto, anche una semplice stretta di mano, lo colloca naturalmente al centro dell’attenzione.
La classe, come si dice, non è acqua! Ho avuto il privilegio di consegnargli il Taormina Awards alla carriera, la mia creazione raffigurante i pupi siciliani con cui vengono omaggiati i vincitori della prestigiosa kermesse.

Brooke Shields
Ci siamo frequentati per un lungo periodo; in senso artistico, sia chiaro! Una volta venne in Italia e praticamente non la lasciai un attimo. A New York mi restituì la cortesia. Organizzò una festa alla quale erano presenti famosi attori. Pensavo fosse un’occasione come un’altra, in cui il mondo del cinema s’incontra, invece era una serata in mio onore.Me ne resi conto solo quando Brooke, a un certo punto, mi presentò ai suoi amici parlando dei miei gioielli come di capolavori senza pari. Si era innamorata di un cagnolino bianco. Sembrava un batuffolino di lana, tanto era piccolo e delicato. Il giorno dopo le feci trovare quel simpatico animaletto in uno scatolo infiocchettato. Era così minuto che lo teneva all’interno della camicetta, accarezzandolo continuamente. Era una scena simpaticissima che Brooke rese ancora più divertente: “Stai buono. Non sai come sei fortunato! Chissà quanti vorrebbero trovarsi al tuo posto!”.

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