Il Salone del Libro di Torino e la libertà di parlare: AAA Sinistra liberale cercasi (Agenziaradicale.com)

di Luigi O. Rintallo, del 22 Maggio 2023

Eugenia Roccella, ministro per la Famiglia, durante la presentazione del suo nuovo libro Una famiglia radicale (Rubbettino ed.) al Salone del Libro di Torino, è stata aspramente contestata da gruppi di attiviste di alcuni movimenti (Extinction Rebellion, Non una di meno ecc.).

Assalti e grida che hanno reso impraticabile il confronto fra l’autrice ed Anna Bernardini De Pace sul libro, che ricostruisce il percorso di una biografia che prende le mosse dal partito radicale (di cui il padre Franco Roccella fu storico esponente) ed approda alle attuali posizioni in difesa della famiglia e di contrasto alla maternità surrogata.

L’incidente in sé sgradevole, che ripropone la pratica “squadristica” già vista in occasione di un convegno dello scorso ottobre alla Sapienza, quando collettivi studenteschi impedirono il convegno cui partecipavano l’on. Fabio Roscani (FdI) e l’ex radicale Daniele Capezzone ora giornalista de «La Verità», merita qualche considerazione per le successive polemiche che ne sono scaturite. Ma soprattutto permette di svolgere anche qualche osservazione sulla direzione che va prendendo il PD con la segreteria di Elly Schlein.

Prima ancora di affrontare la polemica seguita all’episodio di Torino, va però rilevato un duplice aspetto. È significativo che l’intolleranza delle componenti più estremiste a sinistra si manifesti contro figure contraddittorie ma comunque provenienti dal mondo radicale, quasi che esse siano individuate come le più urticanti proprio perché maggiormente destabilizzanti del fondamentalismo fanatico di cui gli estremisti si nutrono.

D’altro canto, pare evidente che questo tipo di azioni – in gruppo e aggressive – tendono a prodursi contro bersagli più esposti e meno, diciamo così, “tutelati”: se a presentare il libro al Salone di Torino fosse stata per esempio la premier, si sarebbero ugualmente verificate? Crediamo di no, e la cosa si spiega sia per la natura sempre vile di chi attacca in branco e sia per il differente “alone mediatico” che circonda le personalità di Eugenia Roccella e Giorgia Meloni.

Ma veniamo alla polemica sollevatasi dopo che era stata sabotata la presentazione presso il Salone del Libro. Il suo direttore, Nicola Lagioia, chiamato ad intervenire, ha dapprima cercato di esonerarsi, sostenendo che l’evento era “nella programmazione della Regione, non del Salone” – nel più classico stile del “non mi compete” del burocrate pigro – dopo di che ha imbastito un elogio della contestazione come esercizio del “gioco democratico”. Peccato che all’invito a un confronto diretto sul palco, i contestatori abbiano replicato così: “Noi del loro pensiero ce ne freghiamo”, usando perfino lo stesso lessico di quel fascismo solo a parole avversato ma in realtà loro tratto distintivo.

Qui si è palesata la scaltrezza da agit prop (e non certo da “libero intellettuale”, come vorrebbe far credere) del direttore del Salone: Lagioia, infatti, ha deviato il riflettore dalla prevaricazione subita da Eugenia Roccella per lamentare presunte mortificazioni nei suoi confronti ad opera dell’onorevole Augusta Montaruli. E così l’azione squadrista è spacciata per manifestazione di dissenso, mentre la difesa dell’aggredito diventa un atto intimidatorio verso l’intellettuale di opposizione.

Un piccolo capolavoro, nel segno di quella “cultura del piagnisteo” trent’anni fa descritta da Robert Hughes, alle cui coordinate si ispira lo pseudo-progressismo di chi interpreta il lavoro culturale in termini di occupazione esclusiva e di boicottaggio contro chiunque non si allinea (oggi è stato il caso di Eugenia Roccella, ma due anni fa durante la pandemia toccò ad esempio a Cacciari e ad Agamben).

A tale linea ha subito aderito la segretaria del PD, Elly Schlein che ha confermato di confondere fra prepotenti e dissidenti, giungendo ad accusare di autoritarismo il ministro aggredito e i suoi collaboratori. Parlando al talk show de La7, In onda, ha dichiarato: “Non so come si chiama la forma di un governo che attacca le opposizioni e gli intellettuali ma quantomeno mi sembra autoritaria”. Un totale rovesciamento che si spiega con il calcolo – a nostro giudizio miope e opportunistico – che soprassiede la politica intrapresa dall’attuale leadership cosiddetta democratica.

Pare evidente che anziché direzionare il PD nel senso di fargli assumere il ruolo di “partito di governo” di una sinistra moderna, si è scelto di farne il punto di raccolta delle posizioni antagoniste contraddistinte da forme di ribellismo, spesso sterili o funzionali al blocco di ogni iniziativa davvero riformatrice.

È un disegno di corto respiro, volto a vincere la concorrenza del partito di Giuseppe Conte e capitalizzare un incremento elettorale significativo nel voto europeo che, com’è noto, è proporzionale. Ma di certo in questo modo non si costruisce alcuna seria alternativa di governo e di progetto per il Paese.