Politici comparse nelle mani dei boss (Il Fatto Quotidiano)

di Enrico Fierro, del 18 Marzo 2013

Da Il Fatto Quotidiano del 17 marzo 2013

La zona grigia non è un’invenzione dei giornalisti, ma è un dato di fatto strutturale e non transitorio. Essa ha funzionato come un sistema di copertura e di protezione della ‘ndrangheta. Senza di essa gli ‘ndranghetisti non avrebbero avuto una storia così lunga. Eppure, contro ogni evidenza, c’è chi sostiene la tesi che la zona grigia è una invenzione di intellettuali, di magistrati in cerca di notorietà, e che la borghesia mafiosa altro non è se non un teorema – uno dei tanti – che non spiega niente”. È la chiave di lettura che Enzo Ciconte, scrittore e docente di Storia della criminalità organizzata all’Università di Roma Tre, ci offre per capire la lunga vita, tanto lunga da potersi considerare al limite dell’eternità, dell’organizzazione mafiosa più potente d’Italia, d’Europa e del mondo intero: la ‘ndrangheta. Una multinazionale del crimine che ha radici antichissime in Calabria, ma ramificazioni ormai consolidate nell’Italia produttiva e finanziaria, in Europa e nel resto del mondo.
E allora, è la tesi di Ciconte nel suo ultimo libro “Politici (e) Malandrini”, (Rubbettino editore), “chi sostiene ciò non ha compreso le ragioni profonde della lunga vitalità della ‘ndrangheta e si preclude la possibilità di comprenderne la modernità e capacità di riprodursi in contesti ben diversi da quelli dove è nata”. Nelle quattrocento pagine del libro si nota lo sforzo, quasi l’ossessione del professor Ciconte, di sgomberare il campo da una narrazione della ‘ndrangheta folkloristica, la moda del momento, tutta concentrata sui miti di Osso, Mastrosso e Carcagnosso, e sui riti violenti di una Calabria arcaica nei costumi e aspra nei paesaggi. No, la forza dei boss calabresi e delle loro famiglie – sempre le stesse, sempre gli stessi cognomi, non da ieri, ma dall’Ottocento – sta tutta nei rapporti con la zona grigia, professionisti, uomini ricchi, politici, massoneria, e, quando è necessario, con lo Stato. È del 1869 il primo scioglimento per mafia del Comune di Reggio Calabria. “Gli elettori furono chiamati a votare nuovamente perché c’erano stati brogli elettorali che avevano provocato l’annullamento delle elezioni”.
Neppure il fascismo riuscì o volle frenare il potere dei mammasantissima. In Calabria non ci fu un prefetto di ferro. “In provincia di Reggio Calabria le squadre fasciste della prima ora – scrive Ciconte ricordando gli studi dello storico Antonio Marzotti – erano guidate personalmente da mafiosi notissimi… mafiosi e campieri aiutarono gli squadristi a mettere a ferro e fuoco Crotone… campieri e ma- fiori in camicia nera insieme ai carabinieri sparano a Casignana sui contandini che avevano occupato le terre”. Fascismo e ‘ndrangheta, destra eversiva e boss negli anni Settanta-Ottanta del secolo scorso, il legame, ci ricorda Ciconte con ampia documentazione processuale, si proietta nel corso dei decenni e arriva fino ai giorni nostri con la ricostruzione dell’inchiesta sui finanziamenti alla Lega Nord.
Politica e ‘ndrangheta sono ‘mbiscate, mischiate. Sempre. Negli anni della Repubblica, la ‘ndrangheta è democristiana, socialista e finanche comunista. Odoardo Ugolini, un pesarese inviato nell’ottobre 1947 dalla direzione nazionale del Pci a riorganizzare la Federazione di Reggio Calabria, era molto critico anche con le camere del lavoro che sono “in mano a gente bacata e legata alla mafia”. Il Pci impiegò anni per recidere definitivamente il legame con la ‘ndrangheta e pagò prezzi altissimi con l’uccisione di suoi dirigenti locali, l’opposizione alla mafia. Negli anni Duemila i rapporti tra mafia e politica non si sono affatto affievoliti. Chi dà le carte, il politico o il mafioso? Scorrendo le pagine del libro c’è la risposta nel paragrafo che racconta i candidati in ginocchio dai capibastone. Elezioni regionali 2010, a casa del boss Giuseppe Pelle, “c’è un via vai di candidati che cercano sostegno”. I mafiosi non sono tanto contenti di riceverli. E poi le elezioni e le candidature sono una cosa che “dobbiamo gestire noi – dice un boss -, nel paese nostro dobbiamo gestircela noi, no che la gestiscono loro”. Insomma, “la signoria territoriale” è della mafia, gli altri, i politici, sono solo comparse.

Di Enrico Fierro

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