Con la testa nel pallone. Desiderio ci guida da Platone a Pelé (formiche.net)

di Gennaro Malgieri, del 15 Settembre 2018

Giancristiano Desiderio

La Selva

Un tentativo di serenità nel mezzo della tempesta

Un titolo ambizioso per un libro eccentrico e gioioso, eppure paradossalmente serissimo, che promette molto e tutto ciò che promette, fin dalle prime pagine, mantiene. Eccolo: Essere e gioco da Platone a Pelé. Il sottotitolo rivela il contenuto: Il senso del calcio e della condizione umana. L’autore è altrettanto eccentrico e gioioso, allettato dalla possibilità di costruire una Repubblica dei filosofi, ma frenato dallo scetticismo che anima la sua “ragion pratica”. È Giancristiano Desiderio, autore tra l’altro di una splendida biografia (forse la più bella apparsa nell’ultimo mezzo secolo) di Benedetto Croce. L’ha pubblicato una casa editrice specializzata in opere che hanno ad oggetto lo sport: Ultra (pp.287, €19.50). Ma avrebbe potuto trovare posto anche in un catalogo di filosofia teoretica senza sfigurare, anzi arricchendo una materia che si presta alla somma speculazione: il calcio, appunto.

Il volume, scritto da un competente di tattiche e schemi che sembra uscito da un giornale sportivo (dove peraltro non è mai entrato) e allo stesso tempo filosofo par time appassionato di paradossi intellettuali, come dimostra questa sua ultima opera, rivela nel profondo e al di là delle controverse appartenenze ai campi della teoretica e del football i personaggi che mette in fila; mostra tutta la ragionevole adesione di Desiderio al club dei risoluti pessimisti (i soli realisti, secondo la felice intuizione di Malraux) circa le possibilità che la natura umana possa essere sottomessa alla filosofia.

Non per questo ripone la sua ostinazione nel cassetto degli oggetti inservibili e s’ingegna addirittura a voler dimostrare, consapevole della forzatura, come il primato dell’azione sul pensiero puro sia filosofia a tutti gli effetti ed il calcio ne è la prova più lampante. Poi, nel privato – e chi lo conosce bene può testimoniarlo – Desiderio resta un seguace, figlio della scuola di Elea, della logica platonica, aristotelica, hegeliana, crociana e di altre amene eppur ruvide congetture volte a mutare incessantemente i destini dell’uomo senza che nessuno lo ammetta mai ed è pur vero che un’azione ben combinata è ispirata da un soffio intellettivo che mai si mostra, ma che solo si avverte al momento del compimento attivo di una decisione, di moto apparente, di una giocata evidente.

Desiderio, per dimostrare il suo assunto scomoda Parmenide ed Eraclito, Socrate e Democrito, oltre alla sterminata legione dei “prossimi” (da Ockham a Derrida), ma sono soprattutto Pelé e Maradona, Cruyff e Falcao, Mazzola e Rivera gli “eroi” del pensiero che si fa atto – e forse in questo fa capolino perfino Gentile (non il calciatore, bensì il filosofo) – ed assumono le fattezze dei protagonisti dell’Essere o, per meglio dire, del cimento morale di cui il calcio è il paradigma ludico eppur veritiero, tragico e imprevedibile come tutte le esistenziali vicissitudini, glorioso e decadente non meno delle parabole dei condottieri, ma non dei filosofi che vivono e muoiono senza la speranza della resurrezione con le loro opere. Qualcosa di più, insomma, della trita definizione di Sartre secondo il quale il football è la metafora della vita. E ci voleva tanto a capirlo? Non occorreva che si scomodasse il capofila degli esistenzialisti francesi appollaiato eternamente al Café Flore, a Saint-Germain, per rendere noto ciò che tutti sanno e praticano, perfino i bambini di Elea, a pochi metri dal mare e dai ruderi che testimoniano la presenza dell’antica scuola in quella che fu la città-aeropago del Mediterraneo all’ingresso della terra aspra e gentile ad un tempo del Cilento. “I ragazzini – scrive Desiderio – giocano dalla mattina alla sera, macinano chilometri em percorrono la strada del Giorno e la strada della Notte. Giocano all’ombra o, meglio, alla luce dell’antica Elea e sorvegliati dallo sguardo di Parmenide. Loro, i ragazzini, neanche sanno chi sia Parmenide… ma poco importa, perché i nipotini di Parmenide proprio attraverso la scuola del calcio apprendono cosa insegnava la scuola filosofica di Elea. Non ci potrebbe essere migliore allenamento per il corpo e per lo spirito, per l’anima”.

Non ne sapeva niente neppure Pelé che era inafferrabile perché giocava con tutto il corpo; lo ignorava Garrincha che grazie ad un difetto fisico valorizzò il suo estro di danzatore amazzonico sbaragliando le difese agguerrite e guardinghe; se ne fregava Maradona che riusciva a vedere come un’aquila la preda lontana ed innescare l’azione che avrebbe brucato la schiera dei terzini e dei mediani mastini; non se curava Cruyff che da un portiere all’altro portava lo scompiglio nelle file avversarie non meno che nelle sue e da queste partivano geniali giocate che qualcuno chiamò “calcio totale”. Il pensiero nell’azione; l’anima nella corsa verso la vittoria anche quando la sconfitta piomba sui desideri frustrandoli; la resa mai ammessa; la prostrazione che glorifica lo spazio della caduta e ne fa un campo inviolabile, quasi religioso. Il calcio è vita, altro che metafora. Ma la vita può essere mai come il calcio?

L’interrogativo resta anche dopo aver letto le righe di Desiderio: “Il calcio è questo: la messa in opera della nostra esperienza del mondo. Hegel, che con la dialettica si divertiva come un matto a dribblare gli avversari e a cambiare di posto soggetto e predicato, direbbe: Platone è il calcio e il calcio è Platone. E se nel Rinascimento si usava dire ‘il divino Platone’ noi, senza far torto a nessuno, possiamo ripetere ‘il divino Pallone’. Come Platone ci mostra l’essenza della verità, così il Pallone ci rivela la condizione umana”.

Insomma, tra gioco del calcio ed esperienza del mondo non v’è alcuna differenza. E come una partita di calcio si può giocare, osserva Desiderio, “perché nessuno è padrone del gioco”, così la vita è libera perché, nonostante tutte le restrizioni possibili ed immaginabili che sperimentiamo, nessuno può governarla in modo totale. Anche per questa via il calcio è liberatorio più delle teorie: esso apre alla comprensione dell’antitotalitarismo.

Non so se i filosofi che hanno amato e spesso praticato il calcio si siano mai calati nella realtà “intima” del gioco come ha fatto Desiderio. Resta il fatto che Heidegger, tifoso accanito del Bayern Monaco e di Beckenbauer, sia stato una buona ala sinistra, Derrida un discreto centravanti, Camus abbia difeso la porta del Racing di Algeri e Giovanni Paolo II un portiere di qualità… Vuol dire qualcosa? Forse sì. E il “qualcosa” va oltre la passione. E’ l’inconscia consapevolezza che il calcio è metafora di ben altro: del controllo e dell’abbandono. Prima la palla si conquista, la si lavora, la si tiene e poi la si lascia, la si indirizza, la si smista, la si deposita laddove non c’è nessuno possibilmente: nella porta avversaria. Come l’umana esistenza che rotola fino alla metà estrema da aggredire con gioia o, almeno, con la certezza di aver fatto il possibile per tentare un gol.

Ce n’è di fascino nell’intricarsi tra Socrate e Socrates, Parmenide e Platini, Anassimandro e Zeman. E tornare alle pagine iniziali di questo libro bello ed intellegente, ad una frase di Bill Shankly che fu allenatore del Liverpool e, a suo modo, filosofo come Jürgen Klopp: “Alcuni pensano che il calcio sia una questione di vita o di morte. Non sono d’accordo. E’ molto, molto di più”.

Inesorabile, tuttavia, la vita preme. E Desiderio non si limita ad osservarla. Ma la penetra. Le sue riflessioni le ha affidate a La selva. Un tentativo di serenità nel mezzo della tempesta (Rubbettino, pp.203, €12,00). Il libro assevera il pessimismo- realismo dell’autore: l’inesistenza di un rifugio per ripararsi dalla tempesta. Eppure un rifugio c’è, ma pochi lo vedono: è la nostra anima, l’unica regione che dovremmo tenere al riparo quando calano le tenebre e il sentimento primordiale della sopravvivenza diviene insopprimibile fino a diventare insopportabile agli spiriti deboli che non hanno voglia di uscire dall’effimero nel quale hanno hanno ritenuto di tenersi lontani dalle tragedie incombenti. La selva è un manuale di esistenza nel turbine della modernità stracciona. Va letto, magari per riconoscere una via diversa rispetto a quella che ci indica la demoniaca propaganda dell’inutilità. E con il quale acquistare un po’ di coraggio accarezzandosi l’anima sofferente.

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