Rinascita del Mezzogiorno, meglio puntare sulle avanguardie (Il Mattino)

di Florindo Rubbettino, del 22 Aprile 2014

da Il Mattino del 19 Aprile

Il dibattito promosso da Il Mattino sul Mezzogiorno ha il merito di riportare sulla grande stampa una questione da troppo tempo messa in soffitta. Credo però sarebbe utile anche un punto di vista che provi a immaginare un salto di paradigma. Quando ragioniamo di Mezzogiorno poniamo sempre la questione in termini di divario, ritardo, arretratezza. Tutte categorie utili, naturalmente, a definire la situazione attuale del Mezzogiorno rispetto al resto del Paese. Ma che a mio avviso tradiscono una visione che presuppone la risoluzione dei problemi del Sud nell’allineamento al resto del Paese, eliminando, appunto, i divari e colmando le distanze. È inutile sottolineare quanto questo sarebbe un risultato di portata storica e la fine della questione meridionale. Ma oggi, forse, serve qualcosa di più e di diverso. Ciò che è certo è che il Sud è un malato grave all’interno di un paese malato. E se l’Italia è un paese malato, che non cresce, che non innova, che perde capitale sociale, ha senso augurarsi per il Sud un semplice allineamento con il resto del Paese? Non si tratterebbe, in fondo, di un obiettivo a ribasso rispetto a quello cui il Sud oggi concretamente potrebbe ambire? Non avrebbe più senso pensare a un modello alternativo, pensare a scavalcare o comunque a creare un percorso laterale che non debba necessariamente essere l’allineamento e l’adesione a ciò che è il resto del Paese. Non sarebbe preferibile pensare al Sud come a un luogo che si pone sulla frontiera dell’innovazione sociale, economica e culturale?

Per far questo il Mezzogiorno dovrebbe rifiutare di allinearsi all’Italia, dovrebbe essere avanguardia, diventare quello che tutto il Paese non è mai stato: meritocratico, innovativo, liberale, oliarchico, in grado di valorizzare risorse, talenti, valori, in grado di costruire una società aperta dal basso, garantendo uguaglianza delle opportunità e permettendo a tutti di costruirsi il proprio sogno di vita. Bisognerebbe, in sintesi, che scommettesse su tutto ciò che oggi l’Italia mortifica. È questo il cambio di paradigma che potrebbe porre il Mezzogiorno sulla frontiera più avanzata. Per arrivare a un tale risultato occorrerebbe una forte discontinuità, occorrerebbe non reclamare più aiuti, garanzie, dipendenza. Servirebbe avere fiducia nell’innovazione (come hanno fatto paesi come la Corea, l’India, l’Islanda) e non rincorrere al ribasso un paese fermo. Naturalmente partendo dalle proprie specificità. Nessuno, ad esempio si può illudere di fare a meno dell’industria. Ma è anche sotto gli occhi di tutti che il modo di fare impresa, di fare produzioni sta cambiando, si sta destrutturando. E sulla frontiera c’è il mondo delle autoproduzioni, dei makers, di coloro che utilizzando il proprio saper fare divengono autoproduttori. Il Sud ha una chance da giocare su questo terreno. Ha i saperi del fare artigianale, della creatività e delle manualità. E ha la sensibilità per la bellezza, in un momento in cui il design e il valore estetico dei prodotti sono le componenti più importanti nel valore dei prodotti stessi. E ha il capitale umano, la cultura dell’accoglienza, la centralità logistica nel Mediterraneo, una partita tutta da giocare sull’energia. Con tutto questo il Sud potrebbe scavalcare il resto del Paese anziché rincorrerlo, ma dovrebbe avere il coraggio di essere e di fare quello che l’Italia oggi non è e non fa.

Ovviamente perché questo funzioni occorre andare tutti simultaneamente nella stessa direzione, serve spirito critico, serve una leadership che sappia infondere fiducia nelle opportunità e non nella sicurezza, che sappia creare le condizioni perché affermarsi dipenda dalle proprie idee e dal proprio lavoro e non dalle relazioni, serve investire nell’innalzamento dei livelli di istruzione, condurre una battaglia culturale che riguarda la fiducia in se stessi e negli altri, scardinare la cultura del sospetto e dell’opportunismo (e qui ritorna l’importanza del capitale sociale). Serve uno sforzo immane. Ma forse è più facile di quanto possa sembrare, visto che l’alternativa è il baratro..

di Florindo Rubbettino

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