Racconti di dolore e tradimento (Il Quotidiano della Calabria)

di Dante Maffia, del 6 Novembre 2012

Da Il Quotidiano della Calabria – 4 novembre 2012
C’è un luogo comune, un pregiudizio difficile da eliminare nei critici letterari: gli scrittori calabresi parlano sempre della Calabria, nel bene e nel male, non sanno uscire dall’involucro che li tiene serrati dentro gli archetipi e li costringe a muoversi negli scenari di una realtà cupa e immobile. C’è stato perfino chi ha visto in un’opera di Antonio Altomonte ambientata a Cuba una Cuba calabrese. E invece da qualche tempo le cose sono cambiate e narratori come Rocco Carbone, Mario Fortunato, Gangemi, Teti hanno dimostrato che, senza tradire gli umori sostanziali delle radici, si può raccontare il mondo libero dagli incalchi. Lo fa molto bene anche Massimo Felice Nisticò con il romanzo intitolato Carne, un noir che ci porta all’interno della sconvolgente realtà del traffico degli organi umani evitando in modo assoluto di irrorare di pietà l’argomento e trattarlo, quindi, con partecipata obiettività.Dico partecipata obiettività perché Nisticò è medico e ha saputo accompagnarci, anche se talvolta con troppa insistenza rallentando l’azione e il ritmo narrativo, passo dopo passo dentro la malattia di Claudio. L’affresco creato da Nisticò ha una bella ariosità e si apre agli scenari con una disinvoltura che è tipica di certa narrativa americana, di Philip Roth, per fare un nome, non nascondendosi mai dietro il paravento della letteratura paludata. Egli narra con il piglio del parlato e gli avvenimenti si snodano con fluidità, con resoconti precisi e con un intreccio avvincente. Nisticò mostra una consistente conoscenza non solo della sua professione ma anche dei meccanismi che regolano il mondo odierno e può quindi spaziare da un luogo all’altro (Roma, Londra, la Moldavia), dalle analisi sociologiche a quelle politiche, dalla musica alla pittura, dalla poesia alla geografia. La storia è molto articolata e se all’inizio sembra essere una delle tante storie borghesi della Roma bene, descritta con puntigliosa verità, poi si trasforma in un intreccio ossessivo che prende strade inusitate.

Può sembrare a volte che tutto sia pianificato e organizzato secondo flash giù visti che si sono consumati sullo schermo, invece la felicità espressiva di Nisticò rinverdisce gli stereotipi e assegna loro una dimensione completamente inedita, tanto da dare l’impressione di trovarsi per la prima volta al cospetto di una canaglia come il baronetto inglese Williams McAllis o al fidato collaboratore Phil. Quel che più affascina del libro è la silente indignazione dell’autore nel trattare la materia incandescente. Non sono mai espressi dei giudizi e tutto resta sul piano narrativo, tuttavia la condanna e il giudizio si sentono nel fondo, senza sciupare il piacere della lettura. Ancora un’annotazione. La galleria dei ritratti, da Claudio a Carlotta, da Valerio a Martina, a Fulvio, a Rashid, a Napùra, a Patrizia, ad Andrej Petroff, non è mai convenzionale e vive del rapporto con gli altri creando quella dinamica necessaria che occorre per rendere armonico lo svolgimento della trama. Mi pare che Nisticò sappia muoversi con disinvoltura nel creare gli intrecci, nel dosare le interpretazioni delle parti creando un affresco della realtà odierna davvero molto convincente. Un elogio particolare va alla scrittura limpida e senza orpelli, utilizzata con perspicacia, e dosata con equilibrio quando si toccano le corde della scientificità e quelle dei sentimenti. Dono, questo, non indifferente in un narratore che ha affrontato temi così scottanti che vanno dall’amore all’avventura, dall’amicizia al dolore, dalle scappatelle alla malattia, dalla condizione degli ospedali italiani a quelle delle cliniche all’estero, dai tradimenti amorosi all’abnegazione dell’ amicizia e dell’amore. Un altro medico che dall’interno dei fatti narra, e sa narrare, l’amore, la malattia, il tradimento e la morte.

Di Dante Maffia

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