Il ritorno della ‘ndrangheta e la conquista dell’Europa

di GIOACCHINO CRIACO. Parlare di, del 27 Giugno 2012

Da qualche giorno la ’ndrangheta è tornata. Non che se ne sia mai avvertita la mancanza ma sembrava essere scomparsa dal dibattito pubblico e dai media troppo presi da affari vaticani, europei di calcio e poco più. E, invece, da qualche tempo i giornali hanno ripreso a raccontare nuovamente il fenomeno mettendo in evidenza quanto sia insidioso (e insidioso effettivamente lo è, se è riuscito persino a infiltrarsi all’interno della Lega Nord) e che capacità abbia di penetrare all’interno dei mercati e dei traffici internazionali leciti (almeno all’apparenza) e illeciti.
Qualche giorno fa Repubblica ha dedicato un lungo articolo dal titolo significativo: “Pizzo, coca e megahotel: i boss della ‘ndrangheta comandano in Europa” (clicca qui p.1p.2 per leggere l’articolo).
Abbiamo allora voluto chiedere un commento a GIOACCHINO CRIACO, autore Rubbettino di alcuni significativi romanzi (ultimo in ordine di pubblicazione “American Taste”) sulla ‘ndrangheta e, in particolare, del best seller “Anime nere”, tradotto in Francia per i tipi di Metaillè e del quale è in preparazione il film per la regia di Francesco Munzi.
Ecco di seguito il testo di Criaco. Il brano è liberamente riproducibile citando la fonte.

LA FALANGE ASPROMONTANA , L’ONORATA SOCIETA’ E LA ‘NDRANGHETA VERA.  SPIEGARE LA ‘NDRANGHETA FRA SEMPLIFICAZIONI E AZZARDI

Di GIOACCHINO CRIACO. Parlare di ‘ndrangheta diffondendo i numeri e i dati prodotti dagli organi inquirenti di mezzo mondo è un modo per informare, per denunciare il fenomeno, per dare risalto a quel magistrato o poliziotto. Riportare le notizie è ovviamente utile, e pare sia diventato la stella polare del giornalismo moderno che non è più d’inchiesta, di valutazione critica e autonoma ma un mezzo di supporto a chi indaga. La scelta è ovviamente legittima ma priva l’opinione pubblica di un elemento di terzietà rispetto a ciò che accade. Il giornalismo cinico di un tempo, alla ricerca di una verità propria e alternativa, ha ceduto il passo a un’informazione militante e di riporto che si limita a supportare verità di tipo giudiziario, quasi sempre limitate al momento investigativo puro e nemmeno suffragate da pronunciamenti definitivi. Dire, a esempio, che la ‘ndrangheta controlla il 30% del traffico di droga, che possiede un tot numero di pacchetti azionari, che è proprietaria di innumerevoli locali commerciali, che è presente in decine di nazioni etc.., è utile a definire le dimensioni del fenomeno, ma poiché i dati provengono dalle polizie giudiziarie, sarebbe sufficiente dare massimo spazio ai comunicati delle procure. Capirlo e poi spiegarlo il fenomeno è altra cosa, analizzarlo nella sua complessità potrebbe portare elementi utili al suo contrasto. E occuparsi di ‘ndrangheta basandosi solo sui numeri è come voler spiegare la matematica partendo direttamente dagli integrali senza conoscere le quattro operazioni fondamentali. Datazione, contesto, origine, antropologia, evoluzioni della ‘ndrangheta, quanti di quelli che se ne occupano hanno approfondito i temi di un fenomeno che non è solo criminalità pura? Quanti sanno che la ‘ndrangheta non è solo una e che addirittura ce ne stanno due? Quanti riescono a distinguere fra grandi criminali calabresi che appartengono o non fanno parte della ‘ndrangheta? Quanti comprendono la differenza sostanziale fra una ‘ndrangheta radicata da secoli in un pezzo limitato della provincia di Reggio Calabria e una para-‘ndrangheta che si è diffusa oltre il suo luogo di origine negli ultimi vent’anni? Chi conosce il principio strategico della “tragedia” vero motore della ‘ndrangheta? Chi sa distinguere tra ‘ndrangheta e brigantaggio? Chi parlando dell’affare principale della ‘ndrangheta, la droga, ha chiaro in mente la dinamica di produzione e diffusione dell’eroina o della cocaina? Bisognerebbe saper spiegare che la ‘ndrangheta fino al Settanta si chiamava “onorata società” e che sostanzialmente si reggeva sulla sua capacità di controllare il territorio, impediva i sequestri, il traffico di droga, limitava i reati, e gli affari li riservava ai capobastone; teneva in pochissime mani le relazioni col potere e chiudeva nell’ambito dei paesi l’orizzonte dei suoi affiliati. Una ‘ndrangheta cattiva e spietata ma che aveva nel quieto vivere e nel silenzio le armi della sua prosperità. Dal ’68 al ’75, l’onorata società venne fatta materialmente fuori da un’organizzazione nuova, l’uccisione di don Antonio Macrì ne decretò pressoché la fine. Il mostro in agonia assunse il nome di ndrangheta della “santa”, il male nuovo si chiamò “vangelo”. Le mafie hanno convissuto fino a qualche anno fa. La nuova mafia invece di inabissarsi fece della notorietà dei crimini il suo punto di forza, fondando il suo impero sui sequestri, gli omicidi, la droga. Mentre la vecchia ‘ndrangheta si relazionava con certi ambiti statuali in base al mantenimento di una certa pace; la nuova e un nucleo di intelligenze esterne a essa, contrapponevano ricattatoriamente la loro capacità di trasformare la Calabria in una polveriera. Accanto a queste forze è nato un terzo polo criminale, equidistante da entrambe le ‘ndranghete, che inizialmente era animato da un certo ribellismo e che è finito per diventare di puro tipo criminale. Questa terza forza, composta di cani sciolti e autodefinitasi delle “anime nere”, è quella che in realtà si è trasformata in una falange aspromontana che ha conquistato i mercati criminali dell’Europa centrale fra gli anni Ottanta e Novanta. Dagli anni Duemila il panorama è mutato: le “anime nere” per morte galera o scelta sono sparite dal panorama criminale, anche perché è finita la spinta terribile data loro dalle condizioni di vita dell’Aspromonte, il massiccio calabrese ormai totalmente disabitato. “L’onorata società” continua ad agonizzare restando rinchiusa nel territorio calabrese, legata a riti di folklore, pur restando una forza criminale non ha grande impatto sociale e la sua è un’esistenza di testimonianza più che di sostanza. La “seconda ‘ndrangheta” invece muta continuamente pelle e si adatta ai tempi, sempre più in relazione, se non osmosi, con forze esterne punta a ribadire l’impossibilità di controllare il territorio senza la sua opera. Questa alza il tiro e i morti eccellenti e le stagioni delle bombe ne sono una prova. A questa ‘ndrangheta, la sola realmente pericolosa, e ai suoi amici il clamore fa gioco, così la sua sopravvalutazione che costituisce lo specchietto per le allodole da affiliare. Questa ha ottimizzato al massimo il motore della “tragedia” e forma false realtà che producono crimini e dolori veri. Innesca guerre che poi si propone di risolvere, aizza e accende animi e poi si offre di spegnerli. Crea conflitti che dirime attraverso prebende che un potere centrale debole continua a concedergli. Diffonde la confusione e l’insicurezza che mantengono cosmicamente immobile la società calabrese e affianca il sistema immunitario di un corpo in agonia che attacca ogni organo nuovo in grado di ridargli vita. Ecco, sono tante le cose che bisognerebbe conoscere per contrastare la ‘ndrangheta. E, paradossalmente, amplificare numeri e dati risulta come buttare benzina sul fuoco.

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