Il consiliarismo salverà la cultura (Artribune)

di Marco Enrico Giacomelli, del 4 Febbraio 2014

da Artribune del 4 febbraio

Si intitola Libertà di cultura. Meno Stato e più comunità per arte e ricerca (Rubbettino, pagg. 158, euro 10) il libro forse letteralmente più fondamentale della già copiosa produzione intellettuale di Luca Nannipieri. Il volume comincia in media res, ribadendo come la Costituzione – la nostra, come qualsiasi altro testo basilare per una comunità – sia il luogo del conflitto e quindi della libertà; un “detonatore di possibilità”. Ragion per cui non bisogna trattarlo come se fosse un oggetto intoccabile e quindi inutilizzabile. Ad esempio, l’articolo 9, quello che recita “La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione”, miscela in maniera interessante tradizione e innovazione. Li miscela ma non indica le quantità, e perciò non ha senso rifarsi ad esso per difendere a spada tratta solo il primo termine della questione. È il medesimo problema che discende in una dicitura lessicale corrente, ovvero ‘bene culturale’, la quale instilla la convinzione che “quel bene sia bene per sempre. Cioè che il tempo egli uomini passino e che il suo valore invece rimanga immutabile”. Ed è qui che entriamo a piè pari in un campo minato. Perché si scontrano la cultura del patrimonio da salvaguardare in una direzione tendenziale che porta alla “presepizzazione” del territorio (più o meno antropizzato, più o meno abitato) e quella sostenuta da Nannipieri, il quale si permette di parlare di valore d’uso dello stesso patrimonio: “La bellezza di un luogo la si accende quando la si consuma, perché la bellezza, come il patrimonio storico-artistico, non è un idolo da tributare, da onorare mettendolo a riparo da tutti: al contrario è una presenza da erodere con la nostra stessa esperienza”
E ciò vale, come si diceva, anche nel caso del paesaggio, che “non è un belvedere, non è uno scenario da cartolina. È un sentire partecipato. È un esserci, più che una realtà che ti sta di fronte e che è distinta da te”. Si pensi all’esempio di Venezia, consumata dal turismo di massa mordi-e-fuggi. Si dirà: proprio attraverso un uso così indiscriminato di un bene storico-artistico-culturale, quello stesso bene lo si sta distruggendo. Ma in realtà la questione può (deve?) essere vista da un’altra prospettiva: è la cartolinizzazione di Venezia che ha condotto la città a cessare di essere tale, a trasformarsi lentamente e inesorabilmente in un parco a tema; in altre parole, proprio il fatto che non fosse più usata dai propri abitanti, espulsi dalla logica del bene intoccabile, l’ha condotta a essere preda di un turismo selvazio e – questo sì – distruttivo. La soluzione sta forse nel chiudere definitivamente Venezia, proporre un contingentamento delle visite, o magari metterla sottovuoto e costruirne accanto una copia fedele, come a Lascaux? Vivere il patrimonio significa invece, ad esempio, porre un freno alla circolazione indefessa delle opere (come sostiene da tempo Tonriaso Montanari) e ricominciare a valorizzare i contesti in cui esse nascono. Ma anche in questo caso Nannipieri porta alle estreme conseguenze il ragionamento, arrivando a contestare la forma-museo (“struttura storica transitoria”) o almeno la sua accettazione supina: “Si tutelava la vita di queste opere asportandole dalla loro naturale collocazione e proteggendole dentro una vetrina, nella quale erano si fisicamente più preservate, ma il loro senso perduto”. È quella che efficacemente definisce una “tutela carceriera”.
E quindi, che fare? La proposta di Nannipieri per certi versi pare accogliere la riflessione sui beni comuni portata recentemente alla ribalta da Ugo Mattei, e che risale al concetto di comunità teorizzato e praticato da La Pira e Olivetti. Comunità come superamento della dicotomia fra pubblico e privato, fra Stato e individuo, dove “l’importante non è la proprietà, ma è ruso”. Significa perciò riavvicinare la cultura, in tutte le sue estrinsecazioni, alla comunità che le appartiene, reimmettendo vitalità e giustizia in un sistema – quello della tutela statale, ma è solo una fattispecie – “autoritario, rigido, escludente.”. Un sistema nel quale, va da sé, le soprintendenze diventano, al netto della competenza eventuale dei professionisti che ci lavorano, “uffici verticistici che, di fatto, staccano le comunità dal loro patrimonio”. Ciò che propone Nannipieri è dunque di rimettere nelle mani degli enti locali “il potere legislativo sul patrimonio di loro competenza, di comune accordo con le istituzioni autonome e indipendenti, le associazioni, le cooperative, che andranno di concerto a preservare, gestire, curare e render vivo il patrimonio che sentono tale”. Innescando in tal modo un circolo virtuoso che riporti alla comunità l’interesse per le “proprie” opere. Utopistica? Forse. Rischiosa? Indubbiamente. Ma almeno è una proposta concreta e argomentata, che fa discendere il “problema” della gestione del nostro patrimonio culturale da una filosofia politica limpida e lineare.”

di Marco Enrico Giacomelli

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