Il cielo in una stanza (Il Corriere della Sera)

di Peppe Aquaro, del 2 Maggio 2016

Marina Ciampi

Forme dell’abitare

Un'analisi sociologica dello spazio borghese

Da Il Corriere della Sera del 30 aprile

Cletto Arrighi e quella sua mansarda bohémien milanese. Se lo sapessero i protagonisti della Scapigliatura, il movimento culturale della seconda metà dell’Ottocento, come sono diventati di tendenza quei loro ex tuguri. Ma andiamo con ordine. Due secoli prima dello scontento dei ribelli scapigliati, a Parigi, l’architetto Frangois Mansart (nomen omen), faccia e baffetti alla Cartesio, aveva rivoluzionato l’abitare in soffitta. E anche qui, ne avrebbe da ridire il suo rivale di abbaino, Pierre Lescot, il quale, già a metà del ‘500, per il palazzo del Louvre, aveva creato una innovazione, «denominata ‘comble brisé’, e che consisteva nell’utilizzare un’orditura del tetto quasi verticale nella parte inferiore cui veniva sovrapposta una sorta di capriata», scrive Augusto Rossari nel suo bel saggio, Architetture nel cielo. I tetti da Mansart a Le Corbusier. Continuando: «Due secoli dopo, in pieno i800, arrivare in soffitta significa percorrere simbolicamente i vari strati della società industriale, avere di fronte tutti i livelli di merito che essa riserva a chi è buon produttore, sottomesso alle regole della convivenza sociale», racconta la sociologa Marina Ciampi, autrice di Forme dell’abitare (Rubbettino editore), evidenziando la distanza tra una fruizione tardo ottocentesca del sottotetto rispetto all’attuale, «in cui la mansarda è assurta a vera e propria abitazione, funzionale e accogliente, oltre che radical chic», aggiunge la studiosa.
«In Italia, in pieno boom economico, chi decide di acquistare una casa, non sale mica fino all’ultimo piano: preferisce il primo, quello dei signori, nonostante sia passato un secolo dall’invenzione dell’ascensore», osserva Francesco Florulli, architetto milanese «specializzato nella trasformazione dei sottotetti», come lo stesso progettista, con ironia, sì autodefinisce. Ma è stata la luce la vera svolta trendy nell’interpretazione della mansarda dei giorni nostri, grazie alla performance dei materiali: su tutti, le finestre.
E se ogni regione d’Italia ha le sue misure da rispettare per le dimensioni dei sottotetti, l’importante è che la luce zenitale attraversi l’ambiente e faccia star bene. «La luce zenitale, che arriva dall’alto è la più suggestiva. Ci puoi quasi dialogare in fase progettuale: per questo, ho sempre cercato di costruire con la luce naturale, utilizzando coperture trasparenti sul tetto», spiega Fabio Capanni, progettista e studioso del rapporto tra luce e spazio architettonico.
Tanto le finestre fanno il resto, purché garantiscano «Ventilatio» e «Lux», due espressioni latine che formano l’acronimo Velux, la multinazionale danese specializzata nei serramenti per sottotetti. «Li ha inventati l’ingegnere Villum Kann Rasmussen, nei primi Anni 40 del secolo scorso», spiega Marco Soravia, responsabile tecnico dell’ufficio progettazione Velux Italia, una parte consistente della casa madre, la quale ha redatto recentemente un rapporto sul comfort perfetto delle abitazioni, Healthy Homes Barometer. Una sorta di percezione europea della buona casa. La risposta da parte degli intervistati è stata unanime: «Ambienti ventilati e illuminati sono più importanti del mangiare sano per la salute».
E che una vita sana inizi tra le quattro mura di casa, lo sa bene l’architetto Florulli. La sua abitazione-mansarda milanese in via Paolo Sarpi è un omaggio alla trasparenza, concetto base per Velux. L’architetto ne ha utilizzate ben 36 di finestre made in Danimarca, tra un portale e l’altro in semi lamellare fatto su misura. Per quelli che amano la cronologia della mansarda, «all’inizio del Terzo millennio, l’efficienza energetica porta i progettisti ad affrontare il tema dell’isolamento termico delle coperture», ricorda il responsabile ufficio progettazione Velux. Come ovviare al troppo caldo e al troppo freddo? «Con una finestra inclinata in triplo vetro, intercapedine di Kripton (gas inerte), e otto volte più isolante delle normali finestre verticali», risponde Soravia, parlando del modello GGL 62. Certo, questo tocco finale da fantascienza sarebbe perfetto per finire in pasto ai tradizionalisti amatori delle finestre verticali con uh classico: «Niente di nuovo all’orizzonte». Che parlino pure, tanto qui su, in mansarda, conta la luce allo Zenit: il doppio di quella orizzontale.

di Peppe Aquaro

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