Un governo debole è un governo immorale Parola di Huntington

di DINO COFRANCESCO, del 28 Febbraio 2013

Il Giornale del 28 febbraio 2013

Nel dicembre 2003, cinque anni prima della sua morte (2008), Samuel P. Huntington venne definito da Serge Halimi, in un articolo suLeMondeDiplomatique, come lo scienziato politico che «celebrava Lenin», per aver scritto che il fondatore dell’URSS aveva creato uno stato forte, in grado di governare. Per chi ricordava i durissimi attacchi ai quali il liberalconservatore nordamericano era stato sottoposto come coautore della Crisidella democrazia, la definizionenonpotevanonmeravigliare. Anche perché il denso saggio al quale si riferiva Halimi, Ordine politico e cambiamento sociale -ora riproposto dall’editore Rubbettino, nella splendida traduzione di Federica Tavernelli, con due illuminanti prefazioni di Francesco Battegazzorre e Francis Fukuyamada un lato, veniva (polemicamente) contrapposto al pensiero liberal, ispiratore delle politiche di J. F. Kennedy, di J. Carter e di B. Clinton, dall’altro, era consigliato ai responsabili del Dipartimento di Stato, che, in Afghanistan e in Irak, «non si preoccupano affatto delle istituzioni politiche, non cercano di creare un’autorità nazionale legittima, ma si affidano a tribù o fazioni, si adattano al caos, subordinano il futuro -e la pace civile- a un aleatorio sviluppo economico dei paesi che occupano». In realtà, che Huntington fosse, personalmente, un conservatore era innegabile, ma lo erano, altresì, Gaetano Mosca eVilfredo Pareto che vengono ricordati non per le loro idee politiche ma per il loro contributo alla scienza e alla sociologia politiche. E quello di Huntington è stato così elevato da far considerare, fin dal suo apparire ne11968, Ordine politico e cambiamento sociale come un classico del pensiero politico, accanto ai lavori di Max Weber, di J. A. Schumpeter, di Carl Schmitt. La sua tesi, nuova e, insieme antica, si rifà a una tradizione “realistica” occidentale che gli studiosi sembrano aver rimosso da molto tempo; così la riassume da Battegazzorre: «più della forma del governo, conta la sua forza, il grado in cui esso sa governare con efficacia», un governo debole è «immorale nello stesso senso in cui lo sono un giudice corrotto, un soldato vigliacco o un insegnante ignorante». l’approccio “istituzionalistico” che vede nelle “istituzioni” non il fiat che crea dal nulla la ricchezza della società civile (economia, cultura, scienza, religione etc.) ma la sua “messa in forma”, i solidi argini d el fiume che imp ediscono alle acque di inondare i campi e trasformarli in sterili acquitrini. Ignorare le istituzioni come variabili indipendenti significa aderire a quell’ingenuo modo di pensare, così diffuso tra i progressisti, per il quale «L’assistenza economica promuove lo sviluppo economico e lo sviluppo economico a sua volta promuove la stabilità politica». Sennonché, avverte Huntington, «il problema principale non è la libertà ma la creazione di un ordine pubblico legittimo. Ovviamente gli uomini possono avere ordine senza libertà, ma non possono avere libertà senza ordine». Si potrebbe dire, con una facile metafora, che un poliziotto, molto professionale, se può trasformarsi in un “gorilla” al servizio di spietati dittatori, resta indispensabile in uno stato civile che protegga la vita e le libertà dei cittadini.
È il momento “hobbesiano” della riflessione huntingtoniana così ben sottolineato da Battegazzorre: prima di essere qualcosa-democratico o liberale, conservatore o socialista-bisogna “essere”, bisogna poter contare su un apparato d’ordine in grado di trasmettere i comandi dell’autorità e di farli rispettare, garantendo la stabilità delle leggi e della loro osservanza. È una lezione salutare per un paese come il nostro, in cui, «l’espansione della partecipazione politica» attivata da partiti e da movimenti che rispecchiano i valori e gli interessi di una società civile sem-pre più variegata- non si accompagna affatto allo «sviluppo di istituzioni politiche più forti, più complesse e più autonome»: col risultato che l’effetto della partecipazione politica è quello di «destabilizzare le istituzioni politiche tradizionali e ostacolare lo sviluppo di istituzioni politiche moderne» sicché la modernizzazione e la mobilizzazione sociale si traducono in decadenza politica. In parole povere, gli attori politici, da noi, hanno sempre avuto di mira il successo della propria squadra ma non si sono mai occupati di tener in ordine il campo da gioco, di renderlo forte e sicuro: si mette il “nostro uomo” a capo di una banca, di un’impresa, di una redazione e interessa assai poco che banca, impresa e giornale non ottemperino più ai loro fini istituzionali specifici, diventando fonti di sperpero di denaro pubblico e uffici di collocamento clientelari.I grandi statisti del passato -Charles De Gaulle o Margaret Thatcher- hanno fatto le loro fortune riformando o rafforzando le istituzioni a essi affidate dal voto popolare: lo riconobbero con grande onestà il socialista Franois Mitterand, sedendo sulla poltrona già appartenuta al Général e Tony Blair, entrando in Downing Street numero 10, nei cui corridoi campeggiano i ritratti di Winston Churchill, di David Lloyd George e di… Margaret Thatcher.

Di DINO COFRANCESCO

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