“Tutta una vita” (finalmente), il tassello mancante dell’opera di Strati (rivieraweb.it)

di Francesca Frascà, del 8 Luglio 2021

Un romanzo inedito di Saverio Strati sarà presto donato ai lettori dalla fucina di Rubbettino Editore. L’ultima fatica dell’autore calabrese  è rimasta in un cassetto sin dal febbraio del 1991, nella forma di un dattiloscritto distribuito su 300 pagine A4 densamente scritte. Intorno al testo, ai margini del foglio, numerose postille correggono i dettagli di stile e testimoniano quell’attenzione scrupolosa che ha fatto di Saverio Strati uno scrittore iconico. Pubblicato con il sostegno di Palma Comandè, il romanzo “Tutta una vita” si appoggia, in tutta la sua grandezza letteraria, sulla prefazione di Vito Teti e la postfazione di Pasquale Tuscano.

Lo scenario

Il romanzo è un mosaico di eventi e di luoghi animati da emozioni carsiche; è la sintesi della capacità di Strati di descrivere gli ultimi e di narrare il mondo in transizione in cui, per scelta o per necessità, si trovano a vivere.

Il romanzo è un quadro astratto che ritrae sulla stessa tela i colori brillanti della costa jonica, quelli più tenui delle grandi città, quelli sbiaditi dei borghi abbandonati dell’entroterra, in particolare dell’amatissima Sant’Agata del Bianco, che tanto ha donato e – forse – altrettanto ha tolto, all’autore che ci ha vissuto.

Il romanzo è una galleria di ritratti, perché il genere umano, nella sua contraddittoria interezza, è sempre stato il protagonista dei libri di Strati. L’autore, che già negli anni Settanta aveva avuto la lucidità di individuare nella modernità che iniziava il pericolo di una crescita selvaggia e criminale, adesso restituisce allo sguardo del lettore la realtà di cosa significhi vivere un territorio al contempo terrorizzante e terrorizzato; una realtà puntuale e spesso incredibilmente crudele.

Il romanzo è la saga di un’epoca raccontata da un angolo di mondo: non solo la Calabria, ma l’Italia intera. Strati è stato in grado di tracciare un parallelo perfetto tra due tipi di modernità: quella delle grandi città del nord, che Vito Teti definisce “facile e felice”, e quella dei piccoli centri del sud, più stentata, più compromettente, più criminale.

Strati, da acuto osservatore, non dimentica l’ala sotto cui questa criminalità è cresciuta: con discrezione e audacia, denuncia la connivenza dello Stato e la responsabilità della politica, accende i riflettori sulla Lega e sul nord separatista, punta  il dito contro chi ha condannato la Calabria a essere un territorio povero e senza futuro.

Inevitabilmente, i personaggi di “Tutta una vita” sono dei vinti: sono donne in bilico tra il desiderio di emancipazione e il legame alla società patriarcale; sono uomini che bramano un riscatto sociale; sono migranti che cercano una seconda possibilità; sono poveri che acquistano una ricchezza effimera e illecita sacrificandovi l’anima e l’etica.

Che sud – che Calabria – viene fuori da queste pagine? Certamente una Calabria che ha superato l’antica immobilità: Strati ne vede la giusta allegoria nelle “marine”, prolungamenti costieri dei paesi interni, doppi che nascono in sordina e crescono in fretta, che hanno acquisito la velocità indefessa dei tempi moderni ma, di contro, hanno perso l’ “anima” meridionale, quella schietta, generosa, accogliente umiltà che ancora caratterizza l’interno e che non ha più il suo contrappunto nel nuovo modo di vivere. I nuovi ricchi, ancorati alla retorica dell’apparenza, possiedono case, terreni, ambizioni e una famelica voglia di riscatto, che li porta lontano dagli antichi princìpi. I nuovi poveri, sempre più poveri, subiscono la modernità con apprensione e languore, ultimi e inconsapevoli custodi di valori andati a male. Fra questi due mondi, l’intercapedine di una generazione che non si rassegna alla sconfitta e, rifuggendo sia dalla modernità scellerata che dalla tradizione superata, cerca un approdo nella nuova Italia che sorge al nord.

La trama

Di questa scuola di pensiero fa parte il protagonista del romanzo: Pino, un uomo che ha deciso di voltare le spalle al tipico destino che attende il maschio del sud. Tutte le sue scelte fanno discutere: quella di trasferirsi a Milano e di studiare architettura, quella di fidanzarsi con una settentrionale conosciuta in vacanza in Calabria, quella di mostrare in famiglia, tra il generale rimprovero, che convive con lei.

Niente più obbedienza cieca agli ordini del padre, niente più rassegnazione alla propria sorte, o alle aspettative della famiglia, o ai dettami della società: Pino si ribella. E nel pieno della sua consapevole ribellione, rimane completamente solo: l’amore delle compagne che si succedono al suo fianco, la sicurezza di avere alle spalle una famiglia che lo sostiene, l’affetto dei suoi parenti sono sentimenti intermittenti, che spesso si fanno sentire ma ancora più spesso lo abbandonano, lasciandolo impigliato in una terra di mezzo da cui non sa come evadere, perché non ha gli strumenti per andare avanti e ha perso la voglia di tornare indietro. E così il protagonista si sente spaesato, estraneo com’è in ogni luogo che conosce: a Milano, dove sente la nostalgia del mare, della frutta di campagna, della vita semplice; in Calabria, dove gli manca quell’ordine civile e misurato che ha imparato al nord.

Cosa resta da fare, dunque? Per non soccombere a questo stato incerto, occorre fare proprio un altro stato, più certo, anche se meno solido: Pino sceglie di essere libero.

A questa grande perdita di ideali e di identità cui anche la nostra generazione va incontro, Strati trova la soluzione più agognata, più desiderata e, in fondo, più semplice: convivere con la mancanza di quello che si è perso, riconoscere la propria casa nel luogo in cui ci si trova, sognare – seppure da lontano e in modo astratto – una nuova condizione e, mentre la si immagina, essere coerenti con i propri bisogni.

La particolarità di questo “romanzo dei tempi moderni” è che tutti, in qualche modo, sono sconfitti, ma nessuno perde; tutti sono sognatori e nessuno è un idealista; tutti sono qualcuno e nessuno ha un’identità. La genialità dell’autore sta nell’essere riuscito a raccontare questa fluidità in uno scenario che intreccia eventi, immagini e paesaggi ed aver descritto, nel lontano 28 febbraio 1991, una società che in trent’anni non è cambiata, se non per pochi dettagli, e che ora come allora cerca, senza trovarlo, un luogo che possa sintetizzare la voglia di riuscita e la nostalgia di una vita tranquilla, lontana dalla frenesia dell’ambizione.

Nell’ultimo, magistrale lavoro, venuto a risvegliare le coscienze sopite, Strati si fa portavoce di una generazione confusa, rimasta impigliata in tempi che fatica a comprendere e che, forse per questo, ha sempre più bisogno di riflettere.

Leggere per credere.