Quel non luogo idealizzato e cercato (Quotidiano della Calabria)

del 13 Marzo 2014

Dal Quotidiano della Calabria del 13 marzo

Utopia. Credo che Franco Cimino non avrebbe potuto trovare titolo più efficace per il suo libro, che raccoglie ottanta suoi articoli che coprono un arco di tempo che va dall’aprile 2005 al novembre 2013. “Utopia”, egli la lega ad un altro monstrum della cultura umana: la Politica, e lo fa non ad integrandum, bensì ad opponendum.
È chiaro che il fatto politico nel cammino della civiltà umana, ivi compresa anche la componente cristiana, ha sempre occupato una posizione rilevante, anche pur se graduata e differenziata a seconda delle fasi e delle vicende storiche, così da essere còlto (circoscritto, anche) nell’ambito dell’ecclesiologia, oppure del diritto pubblico ecclesiastico e così, via, fino alla metà del secolo scorso, allorché cominciò a farsi strada una riflessione oggettiva e positiva sulla realtàpolitica, recuperandola dalle nicchie dell’aspetto soggettivo (opus operantis) della spiritualità dell’uomo.
Le ragioni di questa svolta vanno ricercate sia nella presa di coscienza d’una realtà che si andava progressivamente politicizzando, sia nella maturazione di una concezione, certamente oggettiva e individuale, dell’evento cristiano, ma anche comunitaria e storica. La verità cristiana, infatti, è mirata su uomini che vivono nella storia reale e non in un “nonluogo” dove di certo non si realizzano progetti e scelte di liberazione.
Eccomi, dunque, a parlare del secondo termine del binomio: “utopia”, cioè etimologicamente, “non-luogo”, luogo inesistente. E forse proprio per questo idealizzato, cercato, sognato, raccontato e descritto nei secoli in una nobile tradizione filosofico-letteraria (che certamente il prof. Cimino non ignora), come localizzazione di un luogo “ideale” dove l’uomo ha costruito uno stato “ideale”: da Platone, a Bacone, a Campanella e, soprattutto, a Tommaso Moro, che proprio così chiamò il suo libellus pubblicato in latino nel 1516.
Però, a questo punto, mi preme fare una citazione ispiratami proprio dal Cimino e dall’accezione che ha attribuito al termine-concetto di utopia. Eccola: «Siede arbitro il Caos; / e con le sue decisioni raddoppia ancora il contrasto / per il quale regna; a lui presso governa / supremo il Caos». È una piccola parte de il Paradiso perduto, di John Milton, connazionale di Tommaso Moro ma vissuto circa un secolo e mezzo (1667) dopo. Anche qui emerge una contrapposizione (“il contrasto”), identificata e materializzata nell’allitterazione “Caos” – “Caso” pensata dal poeta. Ma perché l’ha voluta? Soltanto perché il concetto utopistico è talmente affascinante (e lo è!) da condizionare la creatività di poeti e romanzieri, oppure perché l’utopia, o la visione utopistica, permette di immaginare e poi, magari, costruire una società diversa, senza dubbio migliore di quella reale dove cattive abitudini e vecchi privilegi corrompono i costumi e falsificano la natura dell’uomo? Probabilmente Cimino, anche lui come milioni di persone, non è insensibile alle fascinazioni che all’utopia si richiamano. D’altronde, perfino Marx ed Engels riconobbero al comunismo utopistico (quello “prima” del loro “Manifesto”) il merito di aver attaccato tutte le basi della società borghese- capitalistica e di aver fornito elementi di grandissimo valore per illuminare le coscienza degli operai.
Eppure Cimino, l’Autore, almeno così mi è parso, accostando alla “Politica” il concetto-parola “Utopia” tende a minimizzarla, a presentarne le insoddisfacenti soluzioni alle crisi di varia natura: etica, sociale, economica eccetera fino all’ingovernabilità. Ma sotto questa angolazione non è del tutto esatto, mi pare, credo, parlare di politica tout court, bensì dell’uso della politica, di sistemi politici, di asservimento della politica ad altri principio, meglio ancora, asservita ai “poteri”. Ciò capita – e capita a molti, a ciascuno di noi, spesso – quando per qualche motivazione, magari psicologica – non si separa nitidamente di ogni concetto l’essenza dall’aspetto, l’idea dalla sua realizzazione, qualunque possa essere. E asserire che «la politica è passione, è bene che si lega ad altro bene, è individuo che diventa persona», lungi dal risolvere il dilemma lo aggroviglia dipiù, in quanto egli usa dei predicati nominali, cioè degli addenda, anziché andare al centro dell’obiettivo: definire, ossequiare la politica ma ben tenendo a mente che il vocabolo è polisemantico e perciò ridurlo a monosemantico è una contraddizione e una violenza che gli si fa.
Allora, dopo aver stabilito la cornice entro cui muoverci, tutto assume una luce diversa. Gli ottanta articoli (ai quali – comunque – il concetto politico fa da scenario, da phil rouge, od anche da coro del teatro greco), vengono a riproporsi come delle istantanee di pagine di storia contemporanea in tutte le sue implicazioni documentarie, le osservazioni, le critiche, i suggerimenti, i “mal di pancia”, i sentimenti di un professore di filosofia e di scienze umane (sociologia, in primis) prestato al giornalismo, il cui «sguardo è lungo, come i suoi “racconti” perché i suoi occhi sono nella politica, alla quale ha dedicato tutta una vita, spesa coerentemente», come si legge nella zia di copertina. L’affresco orripilante e fosco fa venire a mente Guernica, il celebre dipinto di Picasso, dove la desolazione, la distruzione, il senso di tragedia e di impotenza contro le forze del male sono affidate ai neri, ai grigi, trai quali biancheggiano qua e là sprazzi vividi che stanno a significare le esplosioni delle bombe assassine. Per Cimino i “cavalieri dell’apocalisse” sono la corruzione, il malaffare, l’istinto rapinatore ed arraffatore del potere (che trova corpo nei politicanti, tra i quali un certo Cavaliere la fa da padrone), la continua offesa alla giustizia ed il reiterato disprezzo per la dignità della persona. C’è un articolo (de115 aprile 2013) dove tutto o quasi tutto questo squallido mondo viene personificato in due “p”: persone e potere. In un altro (de110 marzo 2012) egli fa un’amara disamina della situazione calabra, e scrive: «La Calabria […] sta morendo […]. Qualcuno deve dirle che sta morendo ». A questo serve la voce libera di un giornale, che non può tacere, ma deve «aprire una grande discussione per avviare la più grande mobilitazione popolare…».
Altro cruccio di Cimino è l’istinto rapinatore di uno Stato esoso ed ingiusto: ecco i suoi pezzi sull’ICI (del 12 maggio 2008) e sull’IMU («IMU, che brutta parola! ») del 5 maggio 2012; dove oltre tutto demolisce il mito che l’82% degli italiani possieda una casa, mentre l’autore dice – molto più saggia – mente-che è i170%. Se poi pensiamo ad un clamoroso fatto di cronaca dal quale abbiamo appreso che una certa signora possedeva 1300 appartamenti, beh, allora Trilussa che spiegava che cosa è la statistica aveva proprio ragione: altro che 82 per cento! Nel quadro sconsolato e sconsolante, l’Autore trova ed offre ai suoi lettori due spiragli di speranza: la cultura e la religione. Della prima prende ad esempio la passione di Roberto Benigni, che il 17 dicembre 2012 si rivolge dagli schermi TV agli spettatori e gli dice loro che «la politica è la più alta delle attività umane [per cui, non solo] va rispettata, va amata». Accenti dal pari commossi, addirittura consolatori li trova quando parla dei Pastori di romana Chiesa: del Concilio ancora da completare (18 novembre 2012), all’«addio di un uomo speciale, che si è fatto Papa […] un uomo buono, stanco di lottare inutilmente per quel rinnovamento nella tradizione, che pure timidamente aveva avviato» (11 febbraio 2013) e che ha ceduto “il trono” al successore, cioè Jorge Mario Bergoglio, «il nuovo Papa che desideravamo, con la sua vera immagine di Chiesa povera e deipoveri, libera per liberare gli uomini. Dal bisogno, dall’oppressione, dalla ricchezza dei pochi che si abbatte sull’immensità dei poveri come un insulto » (13 maggio 2013).
Ma tornando allo spaccato politico, mi pare che tale coerenza, diciamo pure fedeltà ad un’idea, se da un lato fa onore all’uomo, da un altro è limitativa della sua capacità euristica ed esperienziale. Mi spiego: essere così pervicacemente legato ad un partito che non c’è più, perché i suoi superstiti hanno dato luogo ad una diaspora pluridirezionale, fa pensare più al vecchio soldato, tornato gravemente ferito dal fronte delle operazioni belliche privo di una mano, “compensata” da una croce di guerra. Oltre tutto, richiamare un partito (magari confondendolo con una bella idea) storico, che può vantare “glorie” del tipo di La Pira, Dossetti, De Gasperi, Moro, porta a correre il rischio di confondere la grande storia con la piccola cronaca. Vagheggiare, sognare, vivere un’utopia può aiutare ad addolcire le amarezze del vissuto, ma difficilmente ci fa andare avanti.
Virgilio avrebbe detto: «Si parva licet componere magnis», se si potessero mettere sullo stesso piano cose importanti con altre di poco valore… Anche Cimino, in fondo, ne è consapevole, dal momento che scrive nelle sue “Conclusioni non conclusive”: «… in questo nulla, che è della Politica, naviga una casta che vuole mantenere privilegi, molti dei quali si sono rivelati dei furti. Di risorse, di dignità delle istituzioni, di speranza degli uomini. Di democrazia. In questo nulla annega il dolore della gente…». È, come ho già detto, un quadro crudo, spietato, e probabilmente non del tutto esatto, o per eccesso o per difetto: però, egli la vede così, e per lui la gente annega… Purtroppo la gente – potrebbe osservare il lettore – non “annega”, ma annaspa, cerca di restare a galla, sia per spirito di conservazione, sia perché spera in un nume vendicatore…
La gente cerca disperatamente di galleggiare, proprio come i “rari nantes in gurgito vasto” del già ricordato Virgilio. Un Paese come il nostro non merita una fine tanto indecorosa, L’Italia non vuole neppure più piangere i suoi eroi, cioè tanti suoi degni figli uccisi dalle mafie solo perché facendo il proprio dovere di servitori dello Stato, la mafia li ha eliminati.
E l’Italia non vuole neppure che dei sacerdoti degni venganomartirizzati: oggi si avrebbe un bisogno estremo di Puglisi e di tanti parroci come lui. Insomma, il libro si legge bene, perché è scritto bene. Certo, per i lettori de il Quotidiano della Calabria ciò che racconta non sarà una novità; poco importa: repetita iuvant. Il carissimo professore Cimino continui a sognare ed a coltivare l’utopia della buona politica con cuore retto, con costanza e senza smarrirsi neppure in questa crisi senza fine, rileggendo, ogni tanto, il versetto del Siracide: «O Dio, tu ci hai messo alla prova, ci hai purificato come si fa con l’argento» (Sal 66,10). Auguri.

+ Mons. Vincenzo Bertolone, arcivescovo metropolita di Catanzaro-Squillace

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