Vaticano. I conti in tasca (Brescia Oggi)

di Giuseppe Anti, del 29 Aprile 2013

Da Brescia Oggi del 26 aprile 2013

Era nei segni, prima dell’annuncio fatto da papa Francesco (lo Ior «necessario fino a un certo punto»). I segni andavano letti come ha fatto un esperto, lo storico del Medio Evo e della Chiesa Franco Cardini. Ne ha parlato a Badia Polesine il 18 aprile, al caffè letterario Antica Rampa. «Papa Francesco ha detto di volere la Chiesa “povera per i poveri”. Ha scelto di portare una croce di ferro, non più d’oro». Gesto simbolico? «Ma la cristianità parla da sempre attraverso i simboli», spiegava lo storico, «e nel vangelo non c’è differenza tra mitos — il racconto, la storia — e kèrygma, l’annuncio». Quindi? «Tremo alle conseguenze annunciate dal gesto. Lo Ior, per esempio. Se la croce di ferro è significante, il papa lo dovrebbe trasformare in un motore di banche eque e solidali». Lo Ior, Istituto opere di religione, la «banca del Papato» che fu del controverso cardinal Marcincus e che ha avvelenato fino alla fine il pontificato di Benedetto XVI (vedi l’articolo in basso). Trema chi ha a cuore il papa, perché queste non sono scelte indolori. Fare i conti in tasca al Vaticano (SCV, Stato della Città del Vaticano: la holding della Chiesa mondiale) interessa in fondo a tutti gli italiani, che la pagano con le tasse (50 euro a testa ogni anno). Ma è un mestiere che esige specializzazione. Benny Lai, vaticanista di lungo corso, raccoglie documenti dagli anni Settanta, aggiornati di recente in Finanze vaticane (Rubbettino). Non fa sconti, ma è imparziale: Avvenire, giornale della Conferenza Episcopale Italiana (CEI, una delle controllate, fino a un certo punto, della holding SCV) ha usato il libro per smentire il Guardian, quando il giornale inglese credeva di far rivelazioni su «soldi di Mussolini» al Vaticano. Non erano finanziamenti del fascismo, ma il saldo a liquidazione della «questione romana»: 750 milioni in lire del 1929 a risarcimento per la perdita di Roma, conquistata militarmente dal Regno d’Italia nel 1870. Il Papa del 1929, Pio XI, fu anche generoso, e lo fece mettere a verbale: l’unilaterale «legge delle guarentigie» (italiana, mai accettata dal detronizzato Pio IX e dai suoi successori) aveva promesso, subito dopo la breccia di Porta Pia, anche di più. Bisogna partire da lì, per arrivare ai conti d’oggi. Partire dal Concordato del 1929: oltre all’una tantum, istituì la congrua mensile ai preti, altra forma di risarcimento. Dal 1994, con la revisione firmata da Bettino Craxi e studiata dal cardinal Attilio Nicora, si è passati al finanziamento con l’otto per mille. SCANDALOSO lo giudica l’ex parlamentare radicale Massimo Teodori nel suo saggio Vaticano rapace (Marsilio): «Con il prelievo forzato sul reddito IRPEF di tutti i contribuenti, i due terzi circa degli italiani sono vittime di un’estorsione fiscale a favore della Chiesa. Difatti solo un terzo di coloro che presentano la dichiarazione dei redditi firmano ogni anno volontariamente per il sostentamento alla Chiesa cattolica, mentre i restanti due terzi dei contribuenti, pur restando silenziosi, sono costretti anch’essi a finanziare la CEI sulla base di un meccanismo truffaldino. Se fosse rispettata la volontà degli italiani, la Chiesa cattolica non incasserebbe ogni anno 1,2 miliardi di euro, ma solo 400-450 milioni di euro mentre i residui 750-800 milioni resterebbero nelle casse dello Stato». Per l’autore, un «trucco legalizzato» che porta alla Chiesa centinaia di milioni di euro «al di là da ogni ragionevole necessità di retribuzione dei sacerdoti» creando «un intreccio perverso fra società d’affari e politica, che inquina la religione non meno che la democrazia». Le finanze vaticane sono una giungla in cui papa Francesco sta facendo luce: l’Amministrazione patrimonio della sede apostolica (APSA) che dovrebbe funzionare come ministero del Bilancio e Corte dei conti; il Governatorato (amministrazione dello SCV); l’Obolo di San Pietro (pertinenza diretta del papa, nato dalle offerte raccolte tra i cattolici in tutto il mondo dopo il 1870 pro papa «prigioniero dell’Italia»); l’Istituto opere di religione (IOR, la «banca» vaticana). Eppoi la CEI, con i suoi Istituti diocesani e interdiocesani per il sostentamento del clero. Teodori considera le dimissioni di Benedetto XVI «un segno della situazione insopportabile esplosa anche all’interno della Chiesa». Da parte italiana, l’autore rileva quanto i rapporti «tra Stato e Chiesa, condizionati dall’ossequio alle gerarchie ecclesiastiche di gran parte del ceto politico di destra, centro e sinistra, hanno segnato in maniera diversa le stagioni della Repubblica. Nel 1947 l’inserimento del Concordato nella Costituzione, voluto da democristiani e comunisti, è stato un vero e proprio vulnus per il carattere liberale della nuova democrazia post-fascista». Negli anni berlusconiani si sarebbero poi aggiunte altre forme di finanziamento indiretto, come l’esenzione (parziale) dall’IMU. Massimo Teodori si chiede «fino a quando gli italiani sopporteranno quel che lo stesso pontefice Benedetto XVI non ha potuto sopportare rassegnando le inaudite dimissioni» e invoca «un nuovo patto nella più totale trasparenza». Perché ci sono gli affari, ma «la Chiesa è un’altra cosa». Questo non è nel pamphlet del radicale, l’ha detto papa Francesco.

Di Giuseppe Anti

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