Oltre il carcere: un saggio di Salvatore Ferraro (Panorama.it)

del 25 Marzo 2013

Da Panorama.it del  21 marzo 2013

Il carcere, almeno in Italia, è ormai al fallimento se non già miseramente fallito. Non soltanto per i numeri scandalosi (circa 68 mila detenuti con un sovraffollamento scandaloso), ma anche per la totale, dimostrata incapacità di offrire ai suoi ospiti involontari il minimo percorso rieducativo. Certo, esistono sporadici, clamorosi casi positivi, e viene in mente il carcere diBollate (Milano) dove i 1.100 reclusi possono lavorare, ma la media delle strutture penitenziarie italiane è purtroppo un vero disastro.
Quali possono essere le soluzioni? C’è chi propone di aumentare il numero delle prigioni, chi sostiene la necessità di introdurre pene alternative. Salvatore Ferraro, giurista ed ex detenuto (è stato condannato a 4 anni di reclusione per favoreggiamento nell’omicidio, colposo, della studentessa romana Marta Russo), ha un’idea diversa, sicuramente opinabile, ma che merita di essere ascoltata. Nel saggio La pena visibile (Rubbettino, 185 pagine, 12 euro), Ferraro ipotizza una teoria innovativa dell’esecuzione penale, legata al modello di un percorso sanzionatorio cui partecipano il reo, la vittima del reato e la società.
«Bisogna mettere da parte il carcere» scrive Ferraro «e individuare un nuovo mediatore con caratteristiche ed elementi strutturali diversi, che assecondino l’esigenza di chiarezza, di un’afflizione redimente, nonché la co-partecipazione pubblica al percorso della pena».
Ferraro ipotizza, insomma, la fine del carcere dove il condannato fisicamente scompare. E sostiene che invece il reo potrebbe essere assegnato a un ambiente specifico per scontarvi pubblicamente la sua pena, per renderla «visibile»: per esempio un ospedale, dove la sua libertà verrebbe compressa in determinati ambiti fisici.
Il comportamento del «detenuto visibile», ovviamente, verrebbe sottoposto a continue valutazioni, dalle quali dipenderebbe la durata della pena.
Com’è ovvio, questo regime penitenziario si applicherebbe, secondo Ferraro, esclusivamente ai condannati non pericolosi, che però rappresentano attualmente una quota elevata, il 94,5%, degli ospiti delle strutture carcerarie. Costoro, alla fine di ogni giornata trascorsa a espiare la «pena visibile» dovrebbero dormire nella propria abitazione, agli arresti domiciliari, oppure in strutture d’accoglienza pubbliche.
La vittima del reato trarrebbe un vantaggio dal lavoro del reo, che grazie al lavoro obbligato avrebbe il denaro per un risarcimento.
Venato forse da qualche intellettualismo e forse un po’ troppo teorico, il saggio di Ferraro ha comunque il merito di analizzare un sistema penitenziario che ha dimostrato di non funzionare (e continua anzi a dimostrare la sua negatività sociale con la clamorosa recidiva di chi vi passa attarverso) e di proporre una soluzione. Una soluzione che avrebbe sicuramente un punto di forza nei ridotti costi economici. Va ricordato, peraltro, che oggi un detenuto costa in media 150 euro al giorno, e che negli ultimi dieci anni il sistema penitenziario nel suo insieme è costato agli italiani 29 miliardi di euro.

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