Un economista innamorato della verità (Il Corriere del Ticino)

di Carlo Lottieri, del 11 Aprile 2016

Da Il Corriere del Ticino dell’11 aprile

La cultura del Novecento annovera alcune figure eroiche: studiosi che, nonostante lo spirito del tempo li spingesse ad abbracciare autoritarismo e statalismo, hanno difeso la libertà individuale e il mercato, anche a costo di essere ritenuti sopravvivenze di un passato indifendibile. Uno di questi resistenti fu senza dubbio Ludwig von Mises, di cui ora le edizioni Rubbettino hanno pubblicato l’opera maggiore (L’azione umana), un imponente trattato di economia scritto tra gli anni Trenta e Quaranta – la versione definitiva, in inglese, è del 1949 – al fine di offrire una difesa della scienza economica e della società aperta.
Nato nel 1881 a Leopoli, una città dell’impero asburgico ora in Ucraina, Mises fu uno dei principali interpreti della Scuola austriaca dell’economia: un orientamento che aveva goduto per decenni di notevole prestigio (da Carl Menger a Eugen von Biihm-Bawerk), ma che in seguito fu considerato démodé per tutta una serie di ragioni. A partire dagli anni Venti, in effetti, a questi studiosi fu rimproverato il rigetto del positivismo (imperante nell’economia accademica, innamorata dell’econometria) e anche quell’impostazione liberale che li ha sempre contraddistinti.
Nella Vienna successiva al crollo dell’impero, così, a Mises non fu possibile trovare un posto in università, ma attorno a lui – che lavorò per anni alla locale Camera di commercio – si costituì un formidabile circolo di studiosi, che egli riuniva nel suo leggendario seminario privato per discutere questioni di metodologia, filosofia politica ed economia: da Hayek a Machlup, da Haberler a Morgenstern, da Kaufmann a Schtitz. E anche quando lascerà l’Europa per gli Stati Uniti a causa delle persecuzioni antisemite, egli terrà seminari assai fecondi alla New York University pur senza avere una posizione ufficiale ed essendo sostenuto solo da una fondazione privata.
Nel corso della sua lunga esistenza (morirà all’età di 92 anni), Mises ha sviluppato una riflessione che ha abbracciato molti ambiti e non tutti usuali per un economista: dal nazionalismo alla guerra, dalla burocrazia alla mentalità anticapitalistica, dal diritto di secessione alla moneta, dal socialismo al liberalismo. Questa sua curiosità si ritrova pure ne L’azione umana, che è in primo luogo un’esplorazione dell’economia (circa mille pagine) e, al tempo stesso, un geniale tentativo di difendere le ragioni della proprietà, del mercato e della concorrenza in un’età che aveva rigettato tutto ciò. Questo lavoro poggia su quello che è stato forse il contributo scientifico principale di Mises: l’analisi sull’impossibilità del calcolo economico in un’economia collettivizzata con cui, già alla fine degli anni Dieci, aveva profetizzato il collasso del sistema sovietico. La sua tesi è che i prezzi di mercato, disponibili solamente dove vi è proprietà privata e quindi libera contrattazione, sono strumenti conoscitivi cruciali che trasmettono informazioni sintetizzate. Al contrario, entro un’economia nazionale gestita come una grande fabbrica grazie a piani quinquennali e direttive, chi deve assumere decisioni si trova senza riferimenti. L’esito inevitabile è che il sistema di produzione è caratterizzato da fenomeni di sovrapproduzione e penuria. La lezione di Mises mostrò come nessuna economia potesse rinunciare ai diritti di proprietà: non soltanto per gli incentivi che ne accompagnano la presenza, ma anche per la funzione che essi svolgono nel favorire la razionalità dei nostri comportamenti.
Per giunta, ne L’azione umana la difesa dell’ordine capitalistico muove da una visione dinamica la quale pone al centro l’imprenditore. In anni durante i quali gli economisti si dividevano tra una macroeconomia largamente deterministica (che riconduceva i dati economici a variabili quantitative reciprocamente condizionate) e una microeconomia non meno semplificatrice (basata su un modello di equilibrio generale mutuato dalla termodinamica), Mises richiama l’attenzione sul singolo individuo: su quell’azione umana, appunto, che è all’origine di tutto. Ne deriva una lettura del sistema produttivo come di un processo incessante e instabile, che nessuna fotografia è in grado di afferrare.
Riprendendo la lezione mengeriana, Mises sottolinea inoltre che le preferenze sono soggettive ed è questa essenziale disparità tra gli uomini che innesca il turbinio degli scambi: ognuno dei quali avvantaggia, nella loro soggettività, entrambi i partecipanti.
Per comprendere questa realtà costantemente in movimento, sono però fondamentali alcuni assiomi: come quello secondo cui gli individui – e solo gli individui – agiscono, decidono e intraprendono al fine di raggiungere specifici fini. Per giunta, tutto questo ha luogo entro un quadro caratterizzato da scarsità e varietà dei beni, oltre che da una preferenza temporale per il «prima» rispetto al «dopo». Gli uomini sono mossi dall’intenzione di passare da una situazione peggiore a una migliore e a partire da questa elementare verità è possibile costruire una teoria complessiva (e a priori) che può darci strumenti teorici per leggere la realtà empirica.
Su queste premesse molto semplici Mises costruisce una cattedrale concettuale assai solida, che indaga i diversi orizzonti entro i quali l’azione umana può dispiegarsi: in un quadro di libertà, oppure di totale pianificazione centrale, oppure – come nel sesto libro – di costante interferenza e regolazione. La riflessione sull’economia di taglio sovietico, infatti, non lascia indenne i nostri sistemi produttivi: caratterizzati da economie parzialmente private e basate sugli scambi, ma a più riprese disturbate da leggi arbitrarie, imposte, barriere doganali, privilegi provenienti dall’azione di gruppi di interesse e corporazioni.
In lingua italiana questo testo era già uscito nel 1959 per i tipi della Utet in una traduzione veramente infelice a cura di Tullio Biagiotti, che scrisse pure una pessima prefazione. Dopo molti anni di lavoro, però, oggi Nicola Iannello e Lorenzo Infantino ci hanno consegnato un testo prezioso e meditato, che rende onore alla genialità dell’autore e al carattere rivoluzionario della sua lezione sempre viva.
In questo senso è davvero sempre un’esperienza arricchente leggere i capitoli che Mises dedica al tema della moneta e contro le banche centrali. In questo nostro mondo caratterizzato da politiche monetarie espansive alla ricerca della «giusta inflazione» e da ricorrenti illusioni tecnocratiche (prigioniere del mito che qualcuno possa, dall’alto, correggere il mercato e sostituirsi agli attori che investono e rischiano le loro risorse), le riflessioni di Mises appaiono più attuali che mai. Il suo è stato l’insegnamento di un saggio innamorato della verità ed esso è tuttora importante proprio perché ha saputo sfidare le mode, combattendo al contempo l’errore e la violenza.
Fin da ragazzo Mises aveva adottato il motto virgiliano «ne cede malis» (non lasciarti vincere dalle avversità) e a quello spirito egli è rimasto fedele sino alla fine.

di Carlo Lottieri

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