Con un lessico sbagliato meno diritti per tutti (Avvenire.it)

di Antonio Patuelli, del 29 Giugno 2015

Da Avvenire.it del 27 giugno

Credit crunch, spread, default, ticket, spending review, austerity… Ma siamo proprio sicuri di non poter esprimere questi concetti con parole del nostro vocabolario? Crediamo di fare più effetto, di generare maggiore impressione nel nostro interlocutore attraverso questi anglicismi? Una cosa è certa: moltissime persone non comprendono di cosa parliamo e questo rischia fortemente di acuire le sensazioni di distanza fra gli “specialisti” e i cittadini. E tutto ciò non fa bene a nessuno.
Non credo, infatti, che il rafforzamento dell’Europa e dell’europeismo passi per la omologazione dei linguaggi o, peggio, per il loro imbarbarimento. Rimango, quindi, sempre molto scettico nel leggere le opinioni di chi ritiene che il linguaggio unico, la lingua comune sia, al pari della moneta, un obiettivo da perseguire. Credo esattamente il contrario: il linguaggio è lo specchio culturale di un Paese e del suo popolo, lo specchio della sua tradizione giuridica e quindi sociale, valoriale che va preservata, valorizzata.
Due esempi emblematici di quotidiana confusione civica e semantica: quando sentiamo citare “Premier”, con il nome dell’italiano che è Presidente del Consiglio, e “Governatore” di una Regione, si commettono gravi errori perché in Italia non c’è nessun “Premier”, ma esiste un Presidente del Consiglio. Il “Premier” è soltanto il primo Ministro di Sua Maestà Britannica. Le due figure giuridiche sono radicalmente diverse. Inoltre, nell’ordinamento italiano vi è solo un Governatore, quello della Banca d’Italia: i Presidenti delle Regioni non sono Governatori. I Governatori sussistono negli Stati Uniti d’America, dove guidano i singoli Stati.
Le differenze sono abissali: non si tratta solo di imbarbarimento della lingua, ma di diseducazione alle diversità che sono la ricchezza delle consapevolezze e della libertà del vivere civile. Anche nell’ambito economico e finanziario, in questi anni, la confusione concettuale è cresciuta fortemente. La questione non è solamente di eleganza linguistica, ma soprattutto giuridica. Quando in un documento economico in lingua italiana ci sono intervallate delle parole anglo-americane, il problema non è solamente di eleganza della forma e di sua comprensibilità, ma è un problema di diritto e di responsabilità. Infatti, quando in un testo italiano vi è un concetto giuridico anglo-americano non tradotto e non viene tipicizzata la fattispecie giuridica italiana, viene simulato un concetto che il più delle volte non è identico. Pertanto, un concetto giuridico mutuato da sistemi di common law, come sono quelli della cultura e della tradizione anglo americana, ha poco a che fare con la tradizione romanistica esistente in Italia, modernizzata da Zanardelli in poi. Il problema è molto simile a quello del Trattato di Uccialli dal quale poi discesero le sfortune dell’Italia di fine Ottocento in Africa Orientale, ovvero di testi che dovevano essere identici nelle diverse lingue, ma avevano delle difformità dalle quali scaturirono conflitti.
Il diritto italiano è linguisticamente autosufficiente, non è di derivazione estera, ha una sua elaborazione autosufficiente anche quando l’Italia recepisce normative europee: ciò avviene con apposita legge ordinaria. Di conseguenza occorre capirsi meglio nell’Italia dei contratti, nei rapporti fra banche, imprese e cittadini, con il massimo della trasparenza. Uno dei problemi più complessi emerso in questi ultimi anni è quello dei derivati finanziari, soprattutto nei rapporti con le amministrazioni regionali e locali. Gran parte del contenzioso è avvenuto per la scarsa comprensione della contrattualistica che era stata sottoscritta fra le parti. Nel diritto dell’economia, in Italia, il diritto italiano prevale e ci deve essere una totale trasparenza di rapporti.
È più solida una società capace di comprendere sé stessa, mentre è più fragile una società che fa delle fughe dalla realtà, anche in termini di comprensione, di dialogo. Occorre perseguire con tenacia quindi, in Europa, la identità dei diritti, delle condizioni di accesso alle opportunità, pur nella possibile diversità delle matrici storiche dei sistemi giuridici nazionali e dei contesti sociali in cui si sviluppano.
Il linguaggio, i linguaggi sono fonti inesauribili di ricchezza culturale, semantica, sociale e vanno curati come un bene prezioso.

Di Antonio Patuelli

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