La Padrina: storie di donne sospese tra il desiderio di emancipazione e l’attaccamento “malato” alle radici familiari (reggiotoday.it)

di Roberta Pino, del 28 Giugno 2021

Vicende conflittuali di donne nate e cresciute in ambienti di ‘ndrangheta nel terzo libro di Palma Comandè, presentato a Spazio Open dall’avvocato Patrizia Morello

Una voglia di raccontare il vero, una ricerca prepotente della verità, di arrivare al cuore delle cose. E’ il leit motiv della terza fatica letteraria di Palma Comandè, insegnante di lettere vocata alla scrittura “creativa”, che non può essere frenata al pari di un fiume che scorre inesorabile, come ama sottolineare la stessa autrice. “La Padrina” è il titolo del libro, edizioni Rubbettino, presentato in un luogo simbolo di cultura, Spazio Open, nelle sue molteplici vesti di libreria, sala conferenze e luogo dove il sapere, nella sua accezione più ampia, è il motore di ogni tempo.

I padroni di casa, Franco Arcidiaco e Antonella Cuzzocrea, “dopo un anno difficile a causa della pandemia”, sono ben felici di riaprire le porte di Spazio Open alla cultura che, in questo caso, ha dei forti richiami con la nostra terra. L’incontro è stato promosso da Nicodemo Vitetta, presidente Club per l’Unesco di Gioiosa Jonica, che sottolinea come la bellezza di questo libro risieda proprio nella verità degli argomenti trattati.

Relatrice d’eccezione è Patrizia Morello, avvocato penalista e docente di diritto penale che attua una critica appassionata, articolata, elegante fondata su dimensioni letterarie, socio-antropologiche e umane. Due donne realizzate, ognuna nel proprio campo di azione, una scrittrice ed un avvocato, che si conoscono e mettono a fattor comune i loro talenti e il risultato è un sodalizio letterario unico e affine che emerge dall’incontro di sabato
pomeriggio a Spazio Open.

E di donne si parla anche nel romanzo di Palma Comandé (nipote di Saverio Strati, al quale ha dedicato il libro “Prima di tutto un uomo”), del loro ruolo nella ‘ndrangheta che, pur non essendo in prima linea, è determinante nelle scelte più strategiche delle ‘ndrine. L’autrice analizza così gli ambienti, i comportamenti, i motivi che spingono a determinate azioni di odio e di vendetta all’interno di famiglie appartenenti all’organizzazione criminale più potente al mondo. Alla radice del romanzo c’è il desiderio antropologico, umano, da parte della Comandè di comprenderne i meccanismi contraddittori, cosa spinga le donne della ‘ndrangheta da un lato a dare la vita e dall’altro a sacrificarla, consapevoli di farlo, spingendo all’odio e alla vendetta i propri stessi cari.

Nel romanzo di Palma Comandé, due sono le donne attraverso le quali si snodano tutte le altre vicende narrate, la bisnonna Menù (la Padrina), che manifesta il suo infinito e indiscusso potere matriarcale e patriarcale insieme, alla quale è affidato il destino delle vite dei suoi discendenti e la pronipote Mirià, l’io narrante del libro, alla ricerca di spazi di libertà dei propri desideri, spazi altri a lei negati per genesi, a causa delle sue radici di appartenenza.

“E’ un romanzo che sarebbe riduttivo definirlo di ‘ndrangheta – esordisce l’avvocato Patrizia Morello – è certamente calato nella storia complessa di una famiglia di ‘ndrangheta ma è una storia di ambivalenze, di conflitti interiori, tra la ribellione e il soccombere, la rassegnazione e il silenzio. E’ un libro che ogni calabrese dovrebbe leggere perché lascia un messaggio forte e profondo. La sua bellezza è che aiuta il lettore a scavare a fondo, di guardare il bagaglio complesso dei personaggi che appartengono alla ‘ndrangheta loro malgrado”. Patrizia Morello parla da lettrice ad altri lettori.

“E’ un privilegio mettere a disposizione degli altri ciò che mi ha consegnato questo scritto. Ci sono libri che, al pari dei fantasmi, nel senso etimologico, appaiono nella loro bellezza senza alcuna essenza, passione. Altri libri, invece, sono anime, perché consegnano l’essenza, il respiro, il soffio vitale dei personaggi che lo popolano. A me La Padrina ha dato l’impressione di un’anima perché è popolato da una molteplicità di protagonisti che parlano di un mondo complesso”.

E molteplici sono anche i protagonisti del libro. “La Padrina è un personaggio che campeggia con una forza tragica – prosegue Patrizia Morello – con ferocia immobile e indiscutibile, una sorta di burattinaio dietro le scene che muove le fila di tutti. E’ certamente un personaggio centrale del libro, una figura che l’autrice ci consegna seduta su una sedia di vimini, che non abbandona a favore di una seduta più comoda. E’ un’immagine che mi rievoca i fili intrecciati, quel giunco, di memoria dantesca, che si piega ma non si spezza.

La Padrina è una donna umile, che viene dalla terra, con un passato doloroso e complesso, alla quale è stata tolta la vita, scaraventata in quell’humus, da cui storicamente si è originata la ‘ndrangheta. E’ una donna che da quella miseria decide di uscire con un gesto di consegna di odio e vendetta, che il lettore scoprirà nel libro. Una donna focale dalla quale si dipanano e dipendono le storie personali degli altri personaggi. Eppure, malgrado ciò, non è lei la protagonista di questo libro, nonostante la forza cruciale e la tenerezza espresse nel testo.

L’anima de La Padrina è la pronipote, la voce narrante, una donna di ‘ndrangheta non per scelta” chiosa la relatrice. E dalle sue parole vengono fuori due immagini di donne appartenenti a quel contesto: la matriarca che consegna odio e vendetta a tutela dell’onorabilità della famiglia e le donne educate all’obbedienza, silenziose ma attive ugualmente malgrado la loro apparente passività.

“E’ un libro che non parla di ‘ndrangheta ma di esseri umani – afferma ancora Patrizia Morello – dell’estrema conflittualità che vive questa donna, la nipote, in tensione tra gli affetti della famiglia, le sue radici che non le consentono di spiccare il volo verso le sue ambizioni e la rabbia nei confronti di quel mondo. Questa ambivalenza è uno dei tratti maggiormente caratterizzanti il libro di Palma Comandè”.

E l’ambivalenza, la conflittualità è il filo conduttore anche negli altri personaggi narrati dall’autrice. “E’ un libro corale, a volte si incontrano storie apparentemente brevi che sembrano concludersi in se stesse, ma che lasciano messaggi profondi che mirano a costruirne l’architettura complessa”.

C’è Lisa, la ragazza che trova la morte insieme al fidanzato, “in cerca di una via alternativa pacifica”, sulla strada in cammino verso la propria realizzazione. C’è la madre che, col capo chino, forzatamente si rassegna al dolore della perdita tragica della figlia. “Una donna – dice Patrizia – immersa nel mondo sbagliato della ‘ndrangheta e che si ritrova sola, a subire gli abbracci di cordoglio di coloro che quella morte hanno armato. E la conflittualità, l’ambiguità, l’ambivalenza continuano nelle persone, nelle vicende, nei luoghi”.

Emblematico, a proposito di luoghi, è l’incipit del libro stesso “la montagna è là che ti aspetta”. “Una immagine che mi ha colpito – rivela la relatrice – man mano nella lettura vedevo questa montagna personificarsi che con i suoi alberi rappresenta anche un abbraccio ammalato, che soffoca, che toglie quel soffio vitale, la montagna che toglie e che dà, come la ‘ndrangheta che ritiene di dare ma in realtà toglie”.

E la relazione appassionata dell’avvocato Morello prosegue soffermandosi su altri personaggi evocativi come Mara Rosa, una donna di ‘ndrangheta che voleva sposarsi con un appartenente alle Forze dell’Ordine, scatenando la ferocia della nonna. Un gesto di ribellione che non riuscirà a compiere. Distorsione, ambiguità, dualismo, ambivalenza sono solo alcune delle note che percorrono il libro. Altri aspetti riguardano la religiosità distorta, la solitudine “che, storicamente è quella del popolo calabrese”, in cui si cerca una via di emancipazione.

“Nella parte finale del libro si coglie un gesto salvifico di emancipazione – rivela la relatrice – come la Padrina si piega ma non si spezza, anche la nipote compirà un gesto di vendetta, non nel senso di forza della donna che sceglie di essere generatrice di vite spezzate, ma nel senso giuridico, come gesto simbolico per redimere, per ridonare la libertà. E’ un gesto liberatorio opposto a quello compiuto dalla nonna, è un gesto che dona la vita”.

“Ho analizzato questo ambiente così tragico e conservatore – giunge alla conclusione Palma Comandè – per cercare di capirne la profondità delle sue contraddizioni. C’è una forza che spinge oltre, tra il desiderio di emancipazione e la forza conservatrice che tiene saldamente legati al passato. E’ una dicotomia che fa sì che l’individuo viva in un sorta di conflitto interiore. E’ un ondeggiare continuo tra il bisogno di distanziarsi e quello che tiene la pronipote saldamente ancorata alla famiglia, finché, alla fine, quando lei crede di aver toccato definitivamente il fondo, di aver perso la sua strada, è lì, invece, che si ritrova”.