Serve ancora la bioetica? (Zenit.org)

del 5 Giugno 2013

Da Zenit.org del 31 maggio 2013

Intervista a Pablo Requena, autore di un recente saggio sulla sacralità della vita
Il concetto di sacralità della vita viene tradizionalmente associato alla dottrina cristiana, eppure spesso si dimentica che questa nozione era presente, in modo diverso, già nelle religioni primitive, mentre il divieto per il medico di praticare aborto ed eutanasia risale addirittura al Giuramento di Ippocrate.
In un’epoca caratterizzata dal dilagante relativismo etico, abbiamo parlato di sacralità della vita con Pablo Requena, medico e professore di Teologia Morale alla Pontificia Università della Santa Croce, nonché autore del libro La sacralità della vita. Serve ancora per la bioetica? (Rubettino).
Il Suo libro sulla sacralità della vita ha come sottotitolo una domanda: “Serve ancora per la bioetica?”. Ci potrebbe dare la risposta, in poche parole?
Requena: Se si comprende bene ciò che si intende per sacralità applicata alla vita e se ripercorriamo le tappe del suo uso lungo la Storia, la risposta non può che essere affermativa. Non intendo dire che questo sia l’unico modo per fondare una bioetica, tanto filosofica come religiosa. Ci sono, infatti, altri concetti basilari nell’etica, come per esempio la dignità umana, su cui si sono sviluppate diverse proposte interessanti. Ma oggi risulta sempre più chiaro che se la bioetica non si fonda su qualcosa di stabile, su un concetto di persona non riduzionista, allora difficilmente sarà in grado di compiere la sua missione. A quel punto, ci si potrebbe chiedere se “serve ancora la bioetica”, domanda che è sempre più presente nelle pubblicazioni accademiche del settore.
Che cosa significa affermare che la vita dell’uomo è sacra?
Requena: Vuol dire che la vita ha qualcosa di misterioso che sfugge alla nostra possibilità, non soltanto di comprensione, ma anche di manipolazione. Il termine “sacro” è stato inventato dall’uomo per riferirsi a realtà che andavano oltre l’ordinario, il comune, il profano. In senso etico, serviva a indicare che le persone, ma non solo, sono inviolabili. Gli studi fatti sul sacro, soprattutto nella seconda metà del XIX secolo e nella prima metà del XX, hanno evidenziato che si tratta di qualcosa presente nella cultura umana di tutti i popoli. I nomi utilizzati sono diversi, ma c’è sempre quel senso che Rudolf Otto chiama numinoso e che viene presentato come mysterium tremendum et fascinans. Leggendo attentamente alcuni autori dell’ambito sociologico, fenomenologico ed ermeneutico, si scopre che il sacro è presente nella vita dell’uomo, in particolare durante la nascita, la procreazione e la morte.
Ribadisce, quindi, che il sacro non è solo una prerogativa della religione cattolica…
Requena: Certamente. È chiaro che le diverse religioni applicano alla vita umana un proprio concetto di sacralità, ciascuna in maniera differente. Ma è importante sottolineare che questo concetto non è il “modo cattolico” per contrastare l’aborto o l’eutanasia. Alcuni autori di bioetica contemporanei criticano l’uso della nozione di sacralità come se fosse un’ingerenza della religione nella bioetica, ma basta conoscere un po’ di storia delle culture per rendersi conto che tale posizione è una semplificazione sbagliata.
La dottrina cristiana aggiunge qualcosa al concetto di sacralità?
Requena: Sì, aggiunge moltissimo. Ho scritto questo libro soprattutto per far vedere ai cristiani, sulla scia dell’enciclica Evangelium Vitae del Beato Giovanni Paolo II, il valore e la grandezza della vita umana, in quanto partecipazione alla Vita di Dio. Per un cristiano dire che la vita è sacra significa che in quella vita c’è qualcosa della Vita di Dio. Non siamo stati creati soltanto ad immagine e somiglianza di Dio (cfr. Gen 1,26). Il Verbo si è incarnato perché “abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza” (Gv 10,10), cioè il farsi carne del Figlio di Dio, il farsi vita umana, ha una pregnanza teologica molto grande che dà enorme valore a qualsiasi vita umana, sia maschio o femmina, giovane o anziana, sana o malata. Per questo motivo gli attentati contro la vita sono così gravi. Tuttavia, la sacralità della vita non consiste solo nel vietare l’uccisione dell’uomo, ma spinge anche a trattare ogni persona nel modo migliore, specialmente gli ammalati. Ciò apre al discorso sulla virtù della carità in ambito sanitario.
Come coniugare la dottrina sulla sacralità della vita con la bioetica?
Requena: Come dicevo prima, la bioetica sta attraversando un momento difficile, perché ha voluto rispondere a molti interrogativi che la tecnologia e lo sviluppo delle scienze pongono all’uomo di oggi. Nel far questo ha eliminato, però, alcuni principi che durante i secoli hanno sostenuto la riflessione di filosofia morale e di etica medica. Puntando sul principio di autonomia, l’etica ha finito col superare molti degli argini che si era posta proprio per proteggere l’uomo. Lei menzionava prima il Giuramento Ippocratico che, per 25 secoli, ha dato delle indicazioni molto precise. In quel testo il medico ha imparato che in nessuna circostanza uccidere un paziente è un’opzione terapeutica. Al contrario, per una certa bioetica quel principio, oggi, non esiste più. Il problema è diventato individuare casi e circostanze in cui eutanasia o suicidio assistito possano essere accettabili.
La clonazione è un altro prodotto di una bioetica senza solidi fondamenti. Dopo l’annuncio della nascita della pecora Dolly, tutti si affrettarono a condannare la clonazione umana. Poi fu inventata la distinzione tra clonazione terapeutica e clonazione riproduttiva, per condannare la seconda e permettere la prima. Ma se andiamo a vedere le motivazioni, anche il secondo tipo di clonazione potrebbe diventare, in determinati casi, un’opzione “ragionevole”.
Nel libro Lei scrive dei tentativi di “desacralizzazione” della vita umana da parte di alcuni filosofi e bioetici di impostazione utilitarista, che criticano la visione cristiana e, al posto della sacralità, mettono al centro la qualità della vita. Secondo Lei questa sostituzione è parte di un processo irreversibile a favore del relativismo, tanto in bioetica quanto nella società?
Requena: Penso che sia abbastanza chiaro che il clima di relativismo morale presente nelle nostre società abbia influenzato non poco la riflessione in bioetica. Va segnalato, comunque, che il concetto di qualità della vita non è in contraddizione con quello di sacralità, anzi, sono complementari, stanno su due livelli diversi del discorso morale. Un cristiano deve difendere la sacralità della vita, così come deve battersi perché quella vita si trovi nelle migliori condizioni possibili, sia nella salute che nella malattia. In quest’ultimo caso è importante mitigare il dolore e combattere tutti quei sintomi che fanno soffrire il paziente. Non ha senso dire che una vita non è più degna di essere vissuta perché non arriva a una certa qualità, questo discorso è valido per la produzione industriale, per le cose, non per le persone. L’atteggiamento adeguato davanti a un ammalato è riconoscere il mistero che c’è dietro a quell’individuo in quella data situazione (riconoscere la sua sacralità) e, di conseguenza, tentare di aiutarlo facendo tutto il possibile (e si può fare molto) per migliorarne la qualità di vita fino alla fine.
Tra gli altri temi che tratta nel suo libro, quali pensa che siano di particolare interesse, oggi?
Requena: Aggiungerei due argomenti. Il primo si riferisce all’importanza di definire bene i diversi tipi di azione, così da evitare inutili discussioni o fraintendimenti della dottrina cristiana sulla vita. Un esempio è la definizione di eutanasia, termine spesso usato per riferirsi ad azioni con cui non ha niente a che fare. Quando non si ha un concetto chiaro, si può pensare che la condanna netta della Chiesa sia troppo esigente, mentre se si comprende bene di che tipo di azione si tratta, ci si rende conto della ragionevolezza della dottrina. Un altro tema importante, oggi, è il dibattito sulla distinzione tra uccidere e lasciare morire. Anche qui, è necessario specificare i diversi tipi di azione, per non incorrere in valutazioni morali affrettate.
Nell’enciclica Evangelium Vitae Giovanni Paolo II definisceaborto ed eutanasia delle uccisioni volontarie. Ritiene che le persone siano sufficientemente informate sul valore della vita nel Cristianesimo e sulla gravità morale di azioni ad esso contrarie?
Requena: Come si legge nel secondo capitolo dell’enciclica Evangelium Vitae, la dottrina cristiana dà grande valore alla vita dell’uomo. Da ciò emerge con chiarezza la malvagità dell’uccisione volontaria di un altro essere umano. Giovanni Paolo II si è soffermato concretamente su aborto ed eutanasia perché nella nostra società vengono a volte presentati non come uccisioni, bensì come segni di libertà, manifestazione di sviluppo sociale o addirittura come modi di azione compassionevoli. Sarebbe lungo spiegare, ora, il perché, ma nel terzo capitolo dell’Evangelium Vitae si possono trovare delle risposte. Tra le tante cose per le quali siamo debitori di Giovanni Paolo II c’è sicuramente il suo Magistero e la sua testimonianza a favore della sacralità della vita… che può avere ancora un ruolo per la bioetica.

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