America Latina, un rinascimento lontano dai “yanqui” sognando l’unificazione (IlSole24ore.com)

di Paolo Migllavacca, del 9 Maggio 2012

Da IlSole24ore.com – 09 maggio 2012
Il “cortile di casa” degli Usa si è emancipato: invece di sprofondare in «un’inesorabile marginalizzazione… una funzione periferica e declinante, nonché il graduale assorbimento nei processi di globalizzazione politica ed economica orientati dal gigante statunitense», l’America latina è balzata «al centro di una molteplicità d’interessi sotto il profilo internazionale» che ne fa uno dei protagonisti più dinamici e interessanti della scena politica mondiale.La crisi economica internazionale nel continente si è sentita poco o nulla. Non a caso ben tre suoi Paesi (Argentina, Brasile e Messico) fanno parte del G-20: «II ruolo dell’America latina nel mondo ha potuto godere di un notevole rilancio» , sia economico sia politico. Oggi, come forse mai in passato, la democrazia rappresentativa e le sue istituzioni appaiono consolidate e, pur con qualche eccezione, godono di buona salute.

Questa rifioritura a tutto campo e le brillanti prospettive del continente sono minuziosamente analizzate da Marco Di Ruzza (diplomatico di carriera che ha seguito le vicende latino-americane alla testa della Direzione generale per la mondializzazione della Farnesina) in un corposo testo,

“L’America latina sulla scena globale”, edito da Rubbettino, destinato a diventare un punto di riferimento per gli specialisti delle vicende latino-americane. Il libro – scritto con grande scorrevolezza nonostante la mole (oltre 350 pagine) e facilmente consultabile grazie a un frazionamento ragionato per agili paragrafi tematici – mette a fuoco i principali fattori che hanno determinato la spettacolare ripresa in atto e gli scenari politico-economico-strategici che si delineano per il prossimo futuro.

La più rilevante novità è senz’altro la perdita d’influenza degli Stati Uniti nel continente («Alla fine della Guerra Fredda, la dottrina Monroe ha finito per scoprirsi improvvisamente obsoleta»), a favore di nuovi attori ambiziosi (su tutti la Cina, che ha superato gli Usa come primo partner commerciale, e la Russia), mentre l’Europa, al secondo posto tra i partner dell’area, fatica a sfruttare in modo adeguato l’occasione che le si presenta per l’ostinazione a non aprire il proprio mercato agricolo, ma resta un pilastro della cooperazione allo sviluppo e del consolidamento della democrazia.

Grande attenzione è naturalmente dedicata anche agli sforzi che l’Italia, pur con i modesti mezzi a disposizione, compie nel proprio continente elettivo, considerati gli enormi legami di sangue e cultura intessuti negli ultimi due secoli. Essa cerca di giocarvi con intelligenza le proprie carte fin da quando, nel 1966, Amintore Fanfani creò, attraverso l’Istituto italo-latinoamericano di Roma («unico caso in Europa di organizzazione con personalità giuridica internazionale dedicata completamente all’America latina»), un forum di dialogo permanente con il continente, rafforzato dal 2003 con le Conferenze nazionali bilaterali, tenute ogni biennio e diventate un appuntamento tra i più proficui della nostra politica estera.

L’Italia, ricorda Di Ruzza, ha molti atout da giocare nel continente, dalla presenza di decine di milioni di emigrati, molti dei quali pervenuti a posizioni di assoluto prestigio – tanto in politica quanto nell’economia, con innumerevoli grandi imprese locali dalla ragione sociale chiaramente italica-, alle comuni e solidissime radici culturali, che hanno permesso al nostro Paese di raggiungere una sorprendente leadership politico-economica, come testimoniano le circa duemila aziende italiane ivi insediate (da Telecom a Fiat, da Pirelli a Eni, da Enel a Impregilo), che generano un fatturato globale annuo di quasi 40 miliardi di euro.

È la riprova di un’internazionalizzazione che, con la deprecabile eccezione del settore finanziario (le nostre banche hanno una presenza sempre più debole nella regione), ha saputo guardare con lungimiranza all’America latina e ora si appresta a coglierne frutti rigogliosi in questa stagione di forte sviluppo. In ogni settore – sintetizza Di Ruzza – c’è una continuità d’indirizzo della nostra diplomazia mai messa in discussione dai governi di diverso colore e orientamento, tanto che si può parlare, caso probabilmente unico nella nostra politica estera, di una costante e concorde “politica di Stato” italiana verso il continente. La parte più originale e stimolante del libro di Di Ruzza è comunque quella che analizza gli sforzi per l’integrazione del continente. Un fenomeno che molti, fuori dal contesto latino-americano, continuano a ignorare o, nella migliore delle ipotesi, a sottovalutare, liquidandolo come una riesumazione velleitaria e anacronistica dei progetti unitari di Simon Bolivar. Ma se Bolivar (con l’eccezione del culto cui l’ha elevato, non senza interesse, il presidente venezuelano Hugo Chavez) resta un’icona appena visibile in controluce, attraverso due secoli di nazionalismi spesso molto accesi, di frequenti guerre per pochi metri quadrati di terreno non ben delimitato e di contenziosi e rivalità politico-culturali spesso feroci, resta il fatto che le “prove di integrazione regionale” (cosi s’intitola il capitolo in questione) sono tuttora un riferimento costante e sentito di tutti i Paesi continentali.

Tanto che anche il Brasile, in teoria il meno sensibile al mito (estraneo a esso per storia e cultura e staccatosi pacificamente dalla madrepatria portoghese, mentre il resto del continente dovette affrontare cruente guerre d’indipendenza guidate o ispirate proprio da Bolivar), ha inserito nella sua costituzione del 1988 un articolo (il 4.2) che individua, tra gli obiettivi d’interesse nazionale, «la ricerca dell’integrazione economica, politica, sociale e culturale dei popoli dell’America latina».

Di Paolo Migllavacca

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