Il “futbol” e “Altre stelle uruguayane” (Il quotidiano della Calabria)

di Nicola Fiorita, del 19 Giugno 2013

Da Il quotidiano della Calabria del 19 giugno 2013

Oggi esce ufficialmente in libreria Altre stelle uruguayane, esordio narrativo di Stefano Marelli, edito da Rubbettino. Avevo incrociato l’autore al Salone del libro di Torino e avevo ascoltato una pezzo della presentazione del suo lavoro, scoprendo con divertimento e curiosità che si trattava di una storia di futbol e amicizia ambientata in Sudamerica nei primi decenni del secolo scorso. Insomma, un libro irresistibile per chi come è cresciuto a Pane e Football (scritto all’inglese, come il titolo di un altro libro appena pubblicato, quello di John Irving) e ama disperatamente tutti i posti che non ha visitato.
Ancora prima di leggerlo, insomma, il libro di Marelli cominciava già a rimescolare emozioni e ricordi. E tra i ricordi più intensi che conservo, un posto speciale continua a mantenere la serata trascorsa alcuni anni fa con un parlamentare cileno, Rodrigo Rivas, rifugiatosi dopo il golpe di Pinochet a Milano, dove fu tra i fondatori di Radio popolare. Eravamo in Toscana, ospiti di un’associazione che organizzava un festival letterario, e tra un bicchiere di Chianti e un Vin Santo, ci trovammo concordi nella descrizione del calcio come metafora della società. Un equipo può vincere solo quando un popolo, un nazione, una città sono felici, mi sussurrò con convinzione alcolica a un certo punto della notte. Era il 1998 e lui pensava alla recente liberazione del suo Paese da Pinochet, pensava a Zamorano e Salas e al Cile che tornava dopo tanti anni a partecipare ai mondiali. Io, invece, pensavo al fascismo e ai due titoli mondiali vinti da Pozzo nel ’34 e nel ’38 e lo guardavo con aria dubbiosa, ma poi mi spostavo sul mio Catanzaro, su quei primi anni ’70 in cui la mia città diventava capoluogo e approdava in serie A, sulle filastrocche che univano i due eventi e li caricavano di gioia e speranze e mi dicevo che sì, il futbol è proprio lo specchio di un posto e di un tempo, è la sintesi in 90 minuti dei capitomboli e delle emozioni della vita reale.
Eravamo in un paesino della Lunigiana e quindi, banalmente, a un certo punto l’incanto ebbe termine, andammo a dormire con il nostro cerchio alla testa, ci svegliammo a fatica e tenemmo con un certa stanchezza la nostra relazione al convegno a cui eravamo invitati. Poi tutto finì. Non eravamo in Sudamerica, insomma, dove l’incanto dura all’infinito e dove non solo tutto può accadere, ma dove tutto può continuare ad accadere senza soluzione di continuità. Il libro di Stefano Marelli, per l’appunto, è ambientato in Sudamerica e l’incanto dura dalla prima all’ultima pagina, senza soluzione di continuità.
Stefano Marelli è ticinese, scrive in italiano ma è il nome nuovo degli scrittori sudamericani. Con quella genìa condivide la capacità di raccontare storie improbabili nelle forme più fantasiose senza mai dare l’impressione stonata che qualcosa sia fuori posto. Come per gli altri sudamericani le categorie del vero, del verosimile e del falso non servono a interpretare il suo libro, perché la storia che viene raccontata è insindacabilmente vera per tutto il tempo che dura, ma solo per quel tempo.
I protagonisti di Altre stelle uruguayane sono un giovane italiano, Sauro, bloccato da qualche vicissitudine in un paesino sudamericano dove, nel tempo che gli resta tra una birra e l’altra, sopravvive scrivendo sottotitoli per le telenovelas, una ragazza affascinante che lo raggiunge più o meno casualmente, un vecchio stregone che racconta loro la storia segreta e misteriosa di uno dei più grandi giocatori di futbol di tutti i tempi: Nesto Bordesante. Ma i veri protagonisti del libro sono la magia della vita e l’atmosfera che inchioda il lettore al racconto e che rende tutto possibile. La magia della vita, quello di un orfanello che diventa l’idolo delle folle con il nome di un altro e con i piedi che gli ha dato Dio, che sfiora i campi di pallone come sfiora le dittature, che sfugge alla banalità del successo con la stessa leggerezza con cui sfugge alle cadute della propria esistenza. La magia della vita, con i suoi colpi di scena, con i suoi cambi di gioco improvvisi, con la consapevolezza che anche nel recupero tutto può ancora accadere. Proprio come in un partita di futbol.
Ho sempre pensato che un libro sia solo un libro. Che non sia giusto chiedere ad una storia di cambiare niente, figurarsi il mondo. Un libro è un buon libro semplicemente se piace a chi lo sfoglia, se è affascinante da leggere, piacevole da regalare, entusiasmante da raccontare o ricordare. Altre stelle uruguayane è un gran bel libro e questo è già tanto. Quasi tutto, direi. Resta solo da aggiungere che con questa storia Stefano Marelli ha vinto un premio letterario, Parole nel vento, che ha sede in Calabria e che il libro è stato pubblicato da Rubbettino, ricevendo già grandi elogi da alcuni importanti critici.
Non cambierà niente dunque, questo libro. Altre stelle uruguayane non è stato scritto pere cambiare niente, ma se renderà più noto un premio letterario calabrese e darà il suo piccolo contributo all’ulteriore rafforzamento del principale editore calabrese non potremo che esserne tutti contenti. Quasi come se un ticinese avesse segnato in rovesciata il gol della vittoria per il Catanzaro in una sfida giocata contro una di quelle importanti squadre del Nord piene di soldi e di trofei in bacheca, ma così povere di magia e di incanto.

Di Nicola Fiorita

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