L’INTERVISTA – ‘Il cielo di Sonia che comincia dal basso’ (catanzaroinforma.it)

di Laura Cimino, del 3 Settembre 2018

Sonia Serazzi è autrice di ‘Il cielo comincia dal basso’, Rubbettino. Un libro che racconta un piccolo paese del Sud e che si fa notare da un pubblico nazionale. L’autrice racconta il dietro le quinte del suo lavoro.

Rosa Sirace, che impara a profumare lì dove può. Suo padre, operaio in pensione, ribattezzato il conte di Verolea, e Verolea è ‘un pendio scosceso dove Guido Sirace da anni guarda gli ulivi crescere e dare il frutto che possono’. Nicca Fiori, che sbarcò in Calabria dalla Sardegna con ‘le sue unghie lunghe e inquiete, la sigaretta accesa e i capelli lunghi sulle spalle’. E poi cominciò ‘a chiudersi nel gabinetto a leggere Grazia Deledda. E a forza di romanzi, mamma diventò la Baronessa di Babbomannu’. Antonia Cristallo, e Rosasua.

Ogni personaggio in ‘Il cielo comincia dal basso’ di Sonia Serazzi, edito daRubbettino, è un’istantanea. Una fotografia. La scrittura è semplice, realistica, scarna, intensa, ironica, commuove e si impone sulla trama semplice, la vita di tutti i giorni di un paese, le sue liturgie, i vicoli che ne custodiscono le vite, una famiglia intorno a un tavolo, una ragazza che torna al Sud dopo essersi laureata altrove.

‘Sui binari c’era mio padre, immerso in un mare di voci alte, di risate larghe e di occhi più vivi che altrove. Intorno a noi passi strascicati e dubbiosi si sveltivano scorgendo un volto amato: le facce sono il vero arrivo’. Il libro si sta facendo notare da un pubblico nazionale. Eppure è il prodotto di un’autrice che non è neppure sui social a pubblicizzarlo.

Sonia Serazzi, in un passo del libro si legge: ‘Ma uno che non inventa, può scrivere lo stesso?’ E’ una specie di dichiarazione di poetica? Lei quando scrive che ispirazione segue? 

Io penso che la scrittura debba essere al servizio della realtà. Ma in un modo poetico. Potrei dire che mi piace tentare di acchiappare le cose che racconto. Amo tantissimi scrittori, ho sempre letto moltissimo, ma non ho mai cercato un modello, ho sempre cercato solo la mia voce. Ogni scrittore è prima di tutto un lettore, ma quando poi scrive, secondo me, deve: tacere, dimenticare le altre voci che ha amato, ‘digerirle’ e cercare la sua. Io sento la voce degli scrittori, il ritmo del loro fiato. Ma ho sempre desiderato raccontare un pezzetto di mondo dall’angolino che mi è stato concesso. Con la mia voce e con l’umiltà’.

Il libro è un racconto del Sud. Sarebbe stato lo stesso racconto anche da un altro angolo del mondo?

Dico sempre che ho scelto di vivere al Sud, non mi ci hanno condannato. Non è importante troppo dove sia stato scritto. In fondo è un libro che racconta sentimenti, amicizie, relazioni. Anche se credo che la potenza di certi luoghi che vivo si riconosca dal mio sguardo si di loro. Poi il lavoro è la cosa con cui si dà forma al mondo.

Il lavoro di scrittore? O intende qualsiasi lavoro?

Qualsiasi lavoro è il nostro modo di dar forma al mondo. E’ un dovere. Chi fa il muratore non può permettere che le case crollino, chi fa il fornaio non può consentire che il pane si sgonfi. Ci vuole umiltà nel lavorare. E poi quello dello scrittore è un lavoro complesso.

Quanto lavoro c’è dietro la scrittura di un libro? 

Flaubert riscriveva le cose sette volte. Figuriamoci tutti gli altri! Io penso che riscrittura sia il vero lavoro dello scrittore.

Come è nata questa storia narrata?

E’ sgorgata come un fiume impetuoso. Una voce che mi dominava e doveva uscire da me. Ma poi il lavoro di ‘potatura’ della pianta è stata essenziale. Occorreva soprattutto stare attenti a non ‘spezzare’ la fluidità. L’ho riletto in modo scrupoloso.

Quanto gratifica sapere che ciò che si scrive rimane in qualcuno ed emoziona? 

E’ bellissimo ed emozionante. Certo è bello leggere le recensioni di chi stimo, ma posso assicurare che mi rimangono più certe voci, certi volti. Quello di una donna che fa un lavoro faticoso e che mi ha raccontato di essere andata a comprare il mio libro, compiendo una spesa davvero extra rispetto a quelle solite.

Quanto c’è di autobiografico? Rosa Sirace è un po’ Sonia Serazzi? 

Rosa Sirace è la parte migliore di me. Non sono così bella, così ironica, sempre sulle barricate della vita.

In realtà in Rosa ci sono molte creature femminili assai belle che ho conosciuto. Mi sono liberamente ispirata al reale. Amos Oz diceva che in un personaggio c’è come un pupazzetto delle fiere, nel quale ognuno infila la sua faccia. Il lettore deve potersi riconoscere. Chi scrive crea una casa, e vuole che la gente possa entrarci.

E come vuole essere la sua casa, la sua scrittura?

La mia casa vuole essere sobria. In una casa troppo piena il lettore non troverebbe spazio. Io quando ho scritto questo libro volevo fare un aeroplano leggero ed appuntito. Che potesse volare.

Appuntito perchè c’è anche tanta ironia 

L’ironia è un tratto del mio modo di essere che devo sempre anche controllare perchè non mi piacerebbe divenisse amaro sarcasmo.

Quando si racconta l’esperienza universitaria altrove di Rosa, si racconta l’esperienza di tanti, un po’ un pezzo di Italia 

Nella città in cui Rosa studia riesce a costruire la stessa affettività del suo paese del Sud. Io credo l’uomo debba portare la sua umanità ovunque sia.

In questa storia di sentimenti, qual è quello che sente di più?

Sento molto quello della gratitudine. Penso che niente ci è dovuto, ed ogni gesto di gentilezza, di cordialità, di tenerezza che riceviamo dagli altri è un dono. Il segreto della felicità è la gratitudine. In un mondo che si intossica di antidepressivi, provare a cercare i contatti reali della vita, piuttosto che contemplare sui social le star televisive di turno.

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