BOLOGNA – Una giustizia che vada oltre le logiche del carcere come strumento repressivo e punitivo, che esca dalla dimensione della vendetta per trovare pieno compimento nella restituzione alla vittima, al reo e a tutta la società la possibilità di un futuro, di una ripartenza, di un cambiamento. È il pensiero al cuore di “Verso Ninive. Conversazioni su pena, speranza e giustizia riparativa”, il nuovo libro di Paola Ziccone, direttore presso il Dipartimento di giustizia minorile e di comunità del ministero della Giustizia, da decenni impegnata nel mondo carcerario e nella pratica della mediazione penale. Il testo verrà presentato in anteprima nazionale mercoledì 15 settembre alle 18 a Bologna presso la Biblioteca Salaborsa, alla presenza dell’autrice, del cardinale arcivescovo di Bologna Matteo Maria Zuppi e di Adolfo Ceretti, professore di criminologia all’Università di Milano-Bicocca, che del libro ha firmato la postfazione.
“La pandemia è stata un’occasione straordinaria per ragionare di libertà, anche insieme a chi non ha idea di cosa voglia dire essere rinchiusi in una cella – afferma Paola Ziccone –. L’oggetto principale della giustizia riparativa è proprio quello di riuscire a capire la condizione dell’altro, e non mettersi a giudicare qualcosa che non si conosce. Il lockdown è stato un periodo di costrizione che per una volta ci ha accomunato tutti: un momento di sofferenza e paura planetaria, che ha condotto miliardi di persone a vivere contemporaneamente un’esperienza di separazione e segregazione, com’è quella del carcere. Un’opportunità per riflettere e far conoscere il carcere a persone che non ci sono mai entrate”.
La parte centrale del libro è costituita da un dialogo tra Ziccone e il cardinale Zuppi, punto di riferimento per la città di Bologna, che ha iniziato il suo cammino partendo proprio dagli ultimi, e in particolare dai carcerati. I loro incontri sono avvenuti durante il periodo del lockdown nella primavera 2020: in quelle occasioni i due hanno approfondito il tema della giustizia ripartiva, una giustizia che si apre alla speranza e al fiorire di nuove possibilità.
“La giustizia ha il compito di porre rimedio al male e di combatterlo – ricorda Zuppi nel libro –. Non deve essere confusa la giusta pretesa punitiva dello Stato, con la vendetta. Possiamo però, chiederci: ‘Quando la giustizia si sottomette alla logica della vendetta, è realmente in grado di vincere il male?’. Se la giustizia si limita a essere solo retributiva, rimanendo legata alla logica cieca e senza prospettive della rabbia e della violenza, non credo riesca a porre termine alla spirale del male, sia dal punto di vista di chi commina la pena sia di chi la subisce. Solo l’uscita dall’idea della restituzione del male ricevuto fa sì che la giustizia si apra alla speranza e diventi capace di aprire prospettive di futuro e di rinnovamento”.
I temi della pace e della riconciliazione sono quanto mai attuali in un tempo come quello che stiamo vivendo, del quale i recenti fatti del carcere Santa Maria Capua Vetere, con le violenze da parte della polizia penitenziaria, rappresentano solo una delle espressioni tragicamente visibili. “Si pensa che al di là del muro ci siano persone con 10 braccia e 20 occhi – continua Ziccone –. Dietro le sbarre ci si immagina qualcosa di mostruoso, che non si deve vedere, che si preferisce addirittura sopprimere. Questo serve a noi per sentirci migliori, ma la verità è che le persone che si trovano in carcere sono esattamente come le altre, un misto di bene e di male. Dividere i buoni dai cattivi non serve a capire e a risolvere i problemi”.
Quando parla di sé, Ziccone racconta di essere “praticamente nata in carcere”, visto che suo padre faceva il suo stesso mestiere di direttore di carceri minorili in diverse parti d’Italia. È lì che è iniziata la sua esperienza all’interno del sistema penitenziario italiano, un sistema che ancora necessita di una profonda riforma. “Le strutture in cui sono rinchiusi i carcerati non sono all’altezza della dignità umana: è come se si volesse far sì che le persone soffrano – conclude Ziccone –. In un carcere orientato davvero alla giustizia riparativa servirebbero spazi più grandi e attrezzati: è indegno di un paese civile che ci siano solo 3 metri quadrati a testa per ogni detenuto. Mancano luoghi per incontrare i propri cari e per vivere la propria affettività. Poi, sarebbero necessari molti più educatori: nel carcere di Bologna ce ne sono solo cinque per centinaia di detenuti. Inoltre, non ci sono sufficienti psicologi, e il disagio mentale aumenta tantissimo. Questo è segno evidente della disumanità che si vuole continuare a mantenere negli istituti penitenziari: le risorse ci sarebbero, questa è una scelta politica che vive molto della volontà dei cittadini. Se non cambia la mentalità diffusa, e se le persone non capiscono che non è né utile né giusto segregare e punire in questo modo, non potranno mai davvero cambiare le cose”.