La battaglia di Franca (L'Unità)

di Jolanda Bufalini, del 14 Luglio 2014

Da L’Unità del 12 luglio

Questa è la storia di una voce. Voce politica, voce di donna. Scritto a quattro mani da Franca Chiaromonte e Antonia Tomassini, Il Parlamento non è un pranzo di gala (Rubbettino, 143 pagine, 13 euro) è anche la storia di un percorso che ha mutato, umanamente e politicamente, entrambe.
L’ll settembre 2004 Franca non sentì il treno piombargli addosso. Pensava fosse una crisi di asma più forte delle altre. Invece, la corsa dell’ambulanza verso l’ospedale sarebbe stato l’inizio di un lungo viaggio nel coma, nel silenzio, nei sogni indotti dalla ventilazione meccanica. Quando si è risvegliata, Franca non aveva più la parola. La tranvata (così si dice a Roma da «tram», il treno di cui parla Franca) ha fracassato lo switch che traduceva in parole la sua brillantissima intelligenza, sicché quelle hanno cominciato a scoppiettarle sulle labbra senza volersi mettere in ordine.
Cosa fa una giovane parlamentare senza più voce? Il rapporto con Antonia è nato così, le ha prestato la voce: ma per dire le idee di un’altra, per prendere la parola al posto suo, ci vuole un’intesa speciale, bisogna essere una speciale assistente parlamentare. Dunque il libro è anche la storia della crescita nella conoscenza reciproca e nei meccanismi della democrazia. Ed è la storia di una battaglia in parte vinta, in parte persa. Vinta in commissione sanità. Presidente l’omonimo di Antonia, Antonio Tomassini di Forza Italia. Presidente del Senato Renato Schifani. Entrambi si sono fatti parte attiva nel risolvere il problema. Persa, invece, per l’Aula, perché «Possono parlare in Aula esclusivamente i senatori…». Anche nella sconfitta, tuttavia, la battaglia non è stata inutile per la forza degli argomenti che potranno, in futuro, allargare la breccia aperta da Franca. Anche la legge elettorale, ad esempio, non permette che si voti al posto di un altro ma fa delle eccezioni: “i ciechi, gli amputati delle mani” esercitano il diritto elettorale con l’aiuto di un altro elettore scelto come accompagnatore». Il Parlamento non è un pranzo di gala è stato presentato, qualche giorno fa, al Maxxi, da Giovanna Melandri, Letizia Paolozzi, Walter Veltroni. Veltroni ha notato come Franca abbia vinto la sua battaglia in assoluto rispetto delle regole istituzionali ma con un esito rivoluzionario, ampliando anche per il futuro i diritti dei portatori di handicap. Franca Chiaromonte, per un verso, è erede della grande tradizione della «destra comunista» e, dall’altra, è curiosa e innovativa, femminista coerente nell’associazione Emily: rispetto degli avversari e forti battaglie di sinistra. Il senso dell’umorismo, l’allegria le sono serviti ad affrontare i momenti più duri, come quando si trovò con Bossi nella stessa clinica svizzera: «Lo incontravo davanti all’ascensore, appiccicato al braccio dell’accompagnatore. Stava con il sigaro spento. Non accennò mai un saluto».
Brissago, racconta Franca, è un «posto bellissimo… nel bar della casa di cura ho potuto accendere qualche sigaretta e bere qualche birra». E aggiunge: «una grande differenza con la Santa Lucia a Roma». «Che c’entrava il divieto di bere birra con la riabilitazione». «Perché – sottolinea anche Giovanna Melandri, nel presentare il libro: «A volte i pazienti diventano carcerati, gli si fa vivere senza ragione un’esistenza di castigo». Recuperata la parola attraverso Antonia, Franca partecipa ai lavori sul testamento biologico, intrecciati alla tragedia di Eluana Englaro. Altro tema, la discriminazione delle donne sul lavoro. Antonia descrivere un incontro fra operaie Fiom e parlamentari Pd dopo l’accordo di Marchionne: «La differenza estetica era insopportabile. Molta semplicità da una parte, troppo oro dall’altra». Poi i racconti: «Tempi così stretti da impedire a una lavoratrice, durante Salva il ciclo mestruale, di andare in bagno a cambiarsi». Franca e Antonia, con Anna Maria Carloni, vorrebbero, ma non ottengono, una commissione in cui le operaie parlino, protette dall’anonimato, per capire se quelle condizioni dure incidano sulla fertilità, e se i permessi per maternità impediscano loro di ottenere il «bonus produttività».

Di Jolanda Bufalini

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