Un racconto in cerca di giustizia (azione.ch)

di Federica Alziati, del 12 Settembre 2022

Tutt’altro che imperfette, verrebbe da dire, le indagini di Andrea Paganini. Nella sua ultima, ponderosa opera, lo scrittore poschiavino ricostruisce con cura investigativa e sorprendente attenzione al dettaglio un fatto di cronaca, ancora oggi velato di mistero, occorso al confine tra Valtellina e Grigioni, nella turbolenta primavera che mise fine al secondo conflitto mondiale. Entro lo sfondo intricato della lotta partigiana al crinale fra Italia e Svizzera, prende così vita un racconto corale in cui si ricompongono le voci e i punti di vista contrastanti di ribelli e fascisti in fuga, passatori e delatori, commercianti e contrabbandieri, osti ed alpigiani, esuli e ospiti, religiosi, avvocati e procuratori. Al centro di questa caleidoscopica comunità umana, la figura seducente e sfuggente di una donna, Bianca Fabbri Krauss: elemento catalizzatore della vicenda, che più di ogni altro incarna l’ambiguo limitare di innocenza e colpevolezza. La sezione conclusiva, Dialoghi con i lettori, mette in scena persino l’autore-narratore, a colloquio con un manipolo di lettori trasformati a loro volta in personaggi, con i quali egli discute le possibilità di risoluzione postuma del caso, la fedeltà della propria ricognizione e la natura stessa del libro che si ha per le mani. Proviamo a inserirci a questo punto, per prolungare idealmente il confronto con Andrea Paganini sulla sostanza e gli esiti del suo lavoro.

La prima definizione che si affaccia alla mente è quella di «romanzo storico», che tenta di rendere ragione degli equilibri tra la libertà della narrazione romanzesca e la serietà della restituzione dei fatti e del loro contesto di ambientazione. La categoria richiama inevitabilmente l’archetipo dei Promessi sposi ma mi pare che sul fronte manzoniano un modello ancor più influente possa essere la Storia della colonna infame, per la quale si è coniata la definizione peculiare di «romanzo-inchiesta»…
L’accostamento a Manzoni – fatte ovviamente le dovute distinzioni – non può che farmi piacere. Con la Storia della colonna infame poi, dove la vera infamia è quella commessa dai magistrati, avverto una particolare sintonia, non da ultimo per il desiderio di mettere a nudo l’impudenza e i soprusi di certi iter giudiziari, nonché di riscattare le vittime di sentenze ingiuste. Se c’è una cosa che non sopporto è l’ingiustizia mascherata da giustizia, accompagnata dalla complicità della gente «per bene». Troppe volte accade «che anche le buone ragioni diano aiuto alle cattive» e che una verità rilevante venga tenuta nascosta da chi potrebbe approfondirla e rivelarla. Le indagini imperfette è certamente un romanzo storico, ma forse non nel senso «classico», poiché abbatte le pareti divisorie tra i generi intesi come compartimenti stagni: è in tutto e per tutto narrativa, ma è anche una ricostruzione storico-documentaria assai dettagliata. E non racconta solo la storia di indagini più o meno imperfette, ma propone ai lettori di svolgere nuove indagini su un caso che chiedeva insistentemente di essere risolto.

Manzoni ripercorse la vicenda dell’infame processo agli untori proprio per indagare i limiti della giustizia umana e riabilitare la memoria degli innocenti che ne furono vittima. Le indagini imperfette, pur concedendosi un respiro più romanzesco, perseguono (fin dal titolo) il medesimo obiettivo. Può la letteratura gettare una luce veridica sul passato e rendere giustizia a chi non l’ha avuta?
Questo dovrebbero dirlo i lettori. Io ci ho provato, ammesso che la mia sia letteratura. Comunque sì, credo nella letteratura che unisce etica ed estetica. Mi piace pensare che il mio romanzo possa raccontare una storia vera in un modo bello, e magari pure facendo del bene alle persone di cui parla e a coloro che lo leggeranno.

Nella ricostruzione di eventi appartenenti a un passato ancora prossimo, quanta parte hanno avuto, rispettivamente, la ricerca libresca-documentaria e i resoconti diretti dei testimoni superstiti? Come riesce, un narratore, a gestire la varietà (o disparità) dei racconti che gli vengono affidati, e a preservare al contempo la peculiarità di ciascuno di essi?
Tutto è partito da una corrispondenza che ho trovato in una vecchia soffitta e che, intrigandomi, mi ha stimolato a indagare su una vicenda incredibile risalente agli anni Quaranta. Da lì la ricerca s’è allargata a cerchi concentrici, in vari archivi, con atti processuali, giornali, saggi, testimoni dell’epoca… Pian piano tutte le informazioni raccolte sono venute a incastrarsi. Ovviamente c’è stato un lungo lavoro di scavo e di discernimento, ma quando dico che è stata la storia a cercare me e non viceversa, non uso un artificio retorico: i tasselli del puzzle si sono quantomeno fatti trovare come i fiori in un prato. Poi la storia che mi si è svelata, essendo piena di atmosfere particolari, emozioni, sorprese clamorose… si prestava bene a essere narrata in forma romanzesca e così, spero, a far entrare i lettori con la mente e con il cuore in un momento cruciale del nostro passato. E a stimolarli a indagare per conto proprio, giacché la realtà non inizia e finisce in queste pagine, ma continua fuori dal libro, da dove anzi proviene. I personaggi poi, con le loro caratteristiche, non sono solo personaggi, ma persone, e io sento di voler bene a ciascuno di loro.

Uno degli aspetti più interessanti del libro è la rievocazione della convivenza, forzata o felice, tra esuli italiani e ospiti svizzeri, in contesti appartati come la frontiera alpina. S’impone l’esperienza di don Felice Menghini: sacerdote confrontato ai drammi dei fuggiaschi, ma anche intellettuale-poeta beneficato dalla ricchezza degli incontri favoriti dalle circostanze (da Giorgio Scerbanenco a Piero Chiara e Giancarlo Vigorelli). Don Menghini è coinvolto in modo singolare nella vicenda che qui si racconta, e persino lui, ancorato alla Verità della fede, appare inquieto al momento di valutare le verità degli uomini: quanto di inedito o meno noto, della sua personalità e biografia, emerge da Le indagini imperfette?

Penso parecchio. Posso dire che anche la figura di don Felice – uno dei personaggi con cui mi sono immedesimato maggiormente – è stata ritratta con la fedeltà richiesta a una biografia. Può darsi che in qualche pagina l’abbia rappresentato come un padre Brown sui generis, ma credo di non aver calcato troppo la mano. La sua sete di verità – oltre che di Verità – emerge in modo incontestabile dalle fonti che ho trovato, anche sul delitto attorno al quale ruota il romanzo.