La rivincita del cinepanettone. Ora lo studiano all’università (Il Giornale)

di Pedro Armocida, del 27 Marzo 2013

Da Il Giornale del 27 marzo 2013

Ora che il cinepanettone è morto – viva il cinepanettone! – possiamo finalmente iniziare a farci veramente i conti. Dopo che buona parte della critica, nel migliore dei casi, l’ha bellamente fatto a pezzi o neanche l’ha considerato, ecco arrivare in libreria per Rubbettino (nell’ormai imprescindibile collana di cinema diretta da Christian Uva), a trent’anni dal capostipite Vacanze di Natale di Carlo Vanzina, un volume dall’impegnativo titolo Fenomenologia del cinepanettone. Che, diversamente dall’illustre predecessore (Umberto Eco e la Fenomenologia di Mike Bongiorno) non si pone mai in termini ironici e sarcastici rispetto al tema trattato. Forse perché, e non è certo un dettaglio, l’autore del volume, Alan O’Leary, 45 anni, non è italiano ma è uno studioso irlandese dell’università inglese di Leeds. Non si spiegherebbe altrimenti l’ammissione di aver «imparato a ridere guardando i cinepanettoni», di trarre piacere «come maschio eterosessuale dal cattivo comportamento dei maschi eterosessuali in questi film» e di avere «un’empatia fenomenologica per il suo pubblico». Cosa che invece nessun critico italiano è riuscito a dire, salvo eccezioni (Marco Giusti, Steve Della Casa, Silvana Silvestri giustamente intervistati nel capitolo conclusivo che tiene conto anche di voci critiche come quella di Cristina Borsatti). Così Alan O’Leary ha gioco facile nel ricordare interventi, ai limiti dell’abiezione al contrario, come quello di Francesco Piccolo, grande sceneggiatore ma altrettanto grande radical chic, che nel descrivere il pubblico «di un altro mondo», incontrato il 26 dicembre 2005 all’Adriano di Roma per Natale a Miami, arriva a condannarlo moralmente dall’alto in basso: le donne hanno la pelliccia e alcune sono addirittura obese! Il passo successivo, naturalmente, è stato l’accostamento tra i cinepanettoni e il berlusconismo, tanto che il deludente, al botteghino, Vacanze di Natale a Cortina nel 2011, nei giorni della caduta del governo, è stato così descritto da Curzio Maltese su La Repubblica: «È forse il primo e più clamoroso segno della fine dell’epoca berlusconiana. Il cinepanettone sta al ventennio berlusconiano così come i telefoni bianchi stanno al ventennio fascista». Che poi le recenti elezioni abbiano smentito i toni apocalittici è un dettaglio (così come la rivalutazione critica dei telefoni bianchi) mentre l’unica cosa certa è che De Laurentiis ha deciso di non produrre più quei film. Da qui il provocatorio epitaffio di O’Leary sulla tomba del cinepanettone: «È stato per alcuni movimentati anni il cinema nazionale italiano per antonomasia». Addirittura? Sì perché è stato l’unico nostro prodotto pensato industrialmente, perché è un cinema legato alle festività e quindi con un rituale «carnevalesco» e liberatorio».
L’autore poi smonta l’accusa di sfruttamento dell’immagine del corpo femminile quando invece, a essere in evidenza, sono più che altro «le nudità grottesche del corpo maschile» come in Anni ’90 o come quelle molteplici di Boldi. Mentre il personaggio di Concy (Anna Maria Barbera) in Chistmas in love è quello di una donna in sovrappeso che «comanda l’uomo e ama il suo stesso corpo schiettamente» e quello di Sabrina Ferilli, autoironica sull’utilizzo della chirurgia estetica, celebra un corpo femminile che afferma «sia la propria desiderabilità sia il proprio diritto a desiderare». E forse proprio «una certa mancanza di coraggio nella rappresentazione di donne grottesche o indisciplinate» è per l’autore l’origine del minore successo del filone negli ultimi anni. Altro capitolo è quello sulla presa in giro ossessiva degli omosessuali che rivelerebbe però il paradosso della «debolezza del maschio italiano eterosessuale». In realtà «questi film svelano apertamente la fragilità dei modelli normativi di mascolinità» proprio come accade a Christian De Sica che in Vacanze di Natale rivela di essere gay. E anche le istituzioni basilari vacillano come quando, sempre nello stesso film, l’irascibile capofamiglia (Riccardo Garrone), chiamato a fare il discorso dopo lo scambio dei regali, sbotta in un liberatorio: «Anche questo Natale se lo semo levate dalle palle». Chi non l’ha pensato almeno una volta scagli la prima pietra.

Di Pedro Armocida

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