Pandemia e web, dialogo con Domenico Talia (mtdagostino.wordpress.com)

di Maria Teresa D'Agostino, del 12 Maggio 2020

Domenico Talia

La società calcolabile e i big data

Algoritmi e persone nel mondo digitale

Siamo in una situazione “surreale” che solo sino a pochi mesi fa neppure avremmo immaginato e che coinvolge le nostre vite praticamente in tutti gli aspetti. Vogliamo qui approfondire i temi legati al web e alle tecnologie avanzate: la comunicazione sui social, le app, la privacy e le questioni legate alla salute e alle limitazioni della libertà. Per evidenziare lo scenario emergenziale attuale, facciamo cenno alla grande pandemia del Novecento, la Spagnola, che imperversò tra il 1918 e il 1920. Un confronto che vede l’epoca contemporanea completamente mutata con l’arrivo dirompente delle tecnologie. Quali riflessioni possiamo fare? La situazione è molto differente, è passato un secolo ma è come se fosse passato un millennio. Le paure probabilmente erano uguali a quelle di oggi, i rischi più o meno uguali, la diversità sta nella società che un po’ cambiata, ma l’impatto maggiore, la vera differenza la fanno le tecnologie, l’innovazione, la medicina e l’informatica. Il mondo vive una situazione surreale e noi ci siamo rifugiati nel virtuale che però ci permette di rimanere “connessi”, di sentirci una comunità.

Sicuramente allora le persone erano molto differenti, non avevano le opportunità che abbiamo oggi. Le comunicazioni erano molto lente e di conseguenza pure le informazioni. Oggi le informazioni sono immediate e questo, pur nell’eccesso di notizie da cui veniamo travolti, è un bene. Anche i rapporti interpersonali vivono grazie alla “connessione”, mentre allora il distacco dovuto all’isolamento e alla quarantena era molto forte. Oggi la tecnologia ci sta aiutando a mantenerci comunità, a mantenerci gruppo. Il mondo digitale è diverso da quello fisico, ma di fatto, almeno per tutto il periodo del lockdown, lo ha sostituito. E di fatto lo sostituirà sempre più, perché la scoperta di questo spazio che chiamiamo “virtuale” ma che, in realtà, è un luogo “fisico” nuovo che ci ha dato delle opportunità e probabilmente questa cosa non la dimenticheremo facilmente.

Nel suo saggio, La società calcolabile e i Big Data (Rubbettino), tradotto anche all’estero, descrive e analizza come, in seguito al grande afflusso di informazioni che ciascuno di noi rilascia in rete, l’individuo viene “tracciato” e anche, in qualche modo, “incasellato”. Come si colloca in questo contesto l’app che il governo ha scelto per tracciare e limitare il contagio? Ci sono i rischi di cui si parla già in questo saggio, i rischi di essere “monitorati”. Ci sono stati in passato, ci sono oggi e ci saranno ancora di più in futuro. Credo però che l’app, di cui ancora non conosciamo nel dettaglio il funzionamento, tenga in considerazione i rischi di violazione della privacy, che sono appunto rischi concreti, ma di cui pare si sia tenuto adeguatamente conto.

Come dovrebbe funzionare? Ognuno di noi dovrebbe scaricare questa app che, quando siamo in movimento, è in grado di rilevare, in forma anonima, tutti i contatti (più o meno vicini) con persone che hanno la stessa app sul cellulare. Questi dati vengono ovviamente “conservati” e, nel momento in cui uno di questi contatti dovesse risultare positivo al covid-19, tutte le persone che, in un certo lasso di tempo, si sono trovate a interagire con lui saranno “avvisate” e dovranno quindi verificare tramite i medici se sono stati contagiati. Se molti italiani decidono di aderire, scaricando l’app, dobbiamo riconoscere che dal punto di vista sanitario sarebbe un’ottima cosa.

E sul piano della privacy, invece? Quante violazioni in più ne deriverebbero rispetto alle nostre vite quotidiane, già “tracciate” attraverso social, siti web, acquisti online? Se opportunamente gestita, questa app non dovrebbe svelare i nostri dati personali, perché ognuno di noi verrebbe registrato con un identificatore non associato a nome e cognome, in forma del tutto anonima. Anche nel caso di notifica di un contagio, l’identità rimarrebbe anonima. Per come è stata pensata, l’app a mio parere risponde agli standard di sicurezza e riservatezza codificati dalle norme italiane ed europee. Sarebbe un esempio importante di come si possa avere una tecnologia molto utile per i cittadini e che al tempo stesso garantisce il loro diritto alla privacy, cosa che non accade di frequente con tutte le app di vario genere che noi quotidianamente scarichiamo.

In generale, con i nostri “percorsi” in rete, come veniamo studiati? Come consumatori? Come potenziali elettori? Sicuramente veniamo studiati da tutti i punti di vista, prima di tutto come consumatori, perché ci sono pressioni ed evidenti interessi da parte delle aziende ad incamerare le “preferenze”, che esprimiamo in rete più spesso di quanto pensiamo, per indirizzare la pubblicità nei nostri confronti. Ci sono però pure casi di controllo politico, “Cambridge analitica” lo ha rivelato in modo molto evidente. A volte bastano dei like per “individuare” un orientamento politico. È molto facile essere tracciati. Ogni app che scarichiamo ci chiede i nostri dati e di fatto poi li vende facendoci diventare “obiettivo commerciale”.

Il lockdown ha prodotto una crescita esponenziale dell’uso del web e dei social. Manterremo nel tempo quest’uso preponderante o avremo bisogno di spazi fisici condivisi e di “vicinanza”? Subito a prevalere è il bisogno di relazioni concrete, di rapporti umani reali, su questo non c’è dubbio. Ma allo stesso tempo non possiamo non vedere che la rete sta dimostrando una certa forma di “potenza” anche grazie all’utilità che ora riveste per il lavoro, didattica a distanza, smartworking e tante altre forme di lavoro che hanno dimostrato di poter vivere anche nella distanza fisica dalle aule e dagli uffici, e questo sicuramente lascerà un segno. Nuovi lavori si costruiranno, nuovi sistemi di lavoro più attenti all’ambiente si formeranno. Stiamo imparando credo un nuovo modo di organizzare le attività.

La rete e in particolare i social producono pure “opinione”. Assistiamo a forti espressioni di “dissenso” verso una società un po’ statica e diseguale, è evidente un’esigenza di “mutamento”. Ma poi tutto questo non pare tradursi in azioni concrete. Perché? Di fatto i social hanno dato la possibilità a tutti di produrre contenuti, anche nelle forme più ingenue o più rozze, ma comunque sia ogni individuo è divenuto fonte di informazione. È cambiata l’antica simmetria per cui pochi producevano informazione (giornali, radio, tv, siti web pure) e il resto delle persone le fruivano. Con i social questo è mutato, ognuno si sente di poter produrre informazioni, pur non avendone spesso le competenze. In generale si esprimono opinioni politiche, ma sono in gran parte generate in maniera confusa, e non si riesce a dare continuità all’espressione politica sulla rete e i social. Non siamo ancora abituati a questi “luoghi” come spazi politici, siamo ancora legati a quelli tradizionali: le sezioni dei partiti, le piazze, le strade. A questi, che però vanno via via scomparendo, non siamo riusciti a sostituire nuovi spazi, nuovi luoghi, e questo è un problema di democrazia. I luoghi vecchi li abbiamo persi, quelli nuovi debbono ancora nascere.

Non c’è in questo anche una colpa della rete stessa, così preponderante e pervasiva da “frantumare” il dissenso spingendo verso quella società dei consumi che di fatto costruisce e solidifica giorno dopo giorno “tracciandoci”? Chiaramente la rete risponde alle esigenze delle grandi company, quindi ad esigenze di mercato. Non c’è un “governo” della rete che serva a promuovere la democrazia, i dibattiti, le collettività. Ovviamente la rete lascia ampi spazi a tutti, quindi, cercando, possiamo trovare momenti di confronto molto utili su vari temi. Ma la maggior parte delle persone, quasi in maniera inconsapevole, fruisce il web come spazio commerciale. Penso che la grande velocità con cui le nuove tecnologie sono entrate nelle nostre vite ha reso un po’ difficile farcele “digerire” e farle diventare quindi efficaci. Probabilmente lo faranno le generazioni future.

Se immaginiamo appunto uno scenario futuro, sarà la tecnologia a dominare l’uomo o viceversa? L’uomo riuscirà finalmente ad appropriarsi della tecnologia per farne strumento di “benessere”, di cambiamento sociale, per una società migliore? La tecnica e la scienza, nell’ultimo secolo, hanno avuto degli sviluppi enormi. Molto più di quanto si potesse immaginare anche a livello di fantascienza. Quindi l’impatto è esponenziale. Ora la scommessa è per l’individuo, ma anche per i sistemi economici e politici. La tendenza attuale è che, domani, saranno la scienza e la tecnologia a fare la politica e quindi il rischio è che il futuro sistema economico-sociale del mondo non sarà capitalistico ma tecnico-scientifico. Potrebbe accadere che i pochi che riusciranno a detenere la tecnologia, le sue innovazioni, cure per malattie gravi per esempio, potranno dominare il mondo. E questo genererebbe problemi seri. Noi, in questo momento, sembriamo fermi a causa della pandemia, ma le grandi compagnie non lo sono per nulla, anzi sono a lavoro freneticamente per proporre soluzioni e innovazioni, per approfittare della crisi stessa, quindi mi aspetto che l’emergenza sanitaria generi un’accelerazioni delle innovazioni tecnologiche.

La tecnologia ci aiuterà a ridurre i tempi della crisi economica seguente alla pandemia? Sono ottimista per tutti quelli che già fruiscono la tecnologia, ma diventerà un problema per tutti quelli che sono fuori da questi processi. L’Italia in questo non è nelle condizioni migliori, non è una nazione che accoglie molto bene la tecnologia. Siamo ancora al mondo delle due culture in cui gli scienziati si guardano in cagnesco con gli umanisti, non siamo molto aperti. decisamente più preparati sono i giovani e sono loro che davvero ne beneficeranno.

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