Lo scudo di cartone. Diritto politico e riserva parlamentare (Consulta on line)

di Lara Trucco, del 4 Gennaio 2016

Giampiero Buonomo

Lo scudo di cartone

Diritto politico e riserva parlamentare

Da Consulta on line

Recensione a GIAMPIERO BUONOMO, Lo scudo di cartone. Diritto politico e riserva parlamentare, Soveria Mannelli, Rubbettino Editore, 2015,
I.
Il Libro di Giampiero Buonomo, dal titolo enigmatico “Lo scudo di cartone” verte su di un tema, l’immunità parlamentare, come ricorda, tra l’altro, la stessa Corte costituzionale, «frutto di un particolare bilanciamento e assetto di interessi costituzionali» nell’ambito, della «complessiva architettura istituzionale, ispirata ai princípi della divisione dei poteri e del loro equilibrio» (sent. n. 262 del 2009).
L’Autore, profondo conoscitore della materia, anche nella sua dimensione pratica, oltre che in quella teorica (essendo consigliere parlamentare ed avendo lavorato a lungo, tra l’altro, pure nella Giunta delle elezioni del Senato), svolge, nel Volume, un’analisi a tutto tondo dell’istituto, anche in una prospettiva di tipo comparatistico, con la volontà di rinvenirne le origini e di ritracciarne, altresì, il senso e la funzione, nei secoli…sino all’epoca attuale. Così che, quasi come in un viaggio nel tempo, il lettore è introdotto e coinvolto nella ricerca dello “scudo” all’interno della “Storia” e dei “modelli delle immunità parlamentari” (v. l’Introduzione).
Il Libro si apre dunque nel contesto dell’Inghilterra di fine XIV secolo, «quando la Camera dei Comuni approvò una legge che denunciava lo scandaloso dispendio di risorse finanziarie compiuto dal re» ed «il parlamentare che era all’origine dell’iniziativa legislativa contro il re e la sua Corte, fu posto sotto processo e condannato a morte per tradimento». Fu, infatti, da quell’episodio drammatico che la Camera dei Comuni inglese forgiò il potere di tutelare i suoi componenti nel loro diritto di discutere in completa autonomia e libertà, senza alcuna interferenza da parte della Corona, secondo modi e forme presi scrupolosamente in considerazione nel Libro.
Del pari, dettagliatamente descritto è l’«ambiente giusfilosofico» francese nel quale «cadde l’incriminazione del deputato Lautrec», ed in cui il monarca cercò«di sgomberare il Terzo Stato dalla sua reggia di Versailles», mentre il 26 giugno 1790, ai delegati appariva necessario «garantire non solo i movimenti da e per l’assemblea rappresentativa e il luogo delle riunioni, ma anche tutelare, più in generale, le loro persone da iniziative coercitive, più o meno mascherate da esercizio dell’azione penale e delle relative misure cautelari». Sarebbe stato proprio l’istituto dell’inviolabilità che, come evidenzia Giampiero Buonomo, a differenza di quella inglese che sarebbe rimasta «aliena all’istituto», avrebbe caratterizzato la fisionomia dell’immunità parlamentare di origine rivoluzionaria, contribuendo in epoca liberale a sancire la posizione di superiorità che l’Assemblea nazionale ed i suoi componenti avevano conquistato, nel corso della Rivoluzione, nei confronti degli altri poteri.
Così, mentre la natura consuetudinaria del sistema anglosassone avrebbe portato a configurare un sistema di protezione dei membri del Parlamento (e dei suoi funzionari) di tipo «pretorio» a basso tasso di tipicità e consistente, in ultima analisi, in «un procedimento penale parlamentare che contemplava, in astratto, anche la possibilità di disporre l’arresto del trasgressore»; diversamente, la configurazione storica dell’inviolabilità nell’accezione continentale “alla francese”, si sarebbe mostrata da subito più ampia, in quanto meno legata alle specificità del caso concreto, e dotata «di un’alta valenza sostanzialistica e di una precettistica assai tipizzata». Tra i due “modelli” sarebbe stato quello rivoluzionario francese a fare da base per l’elaborazione costituzionale continentale, con l’esito di un’«influenza predominante» del binomio irresponsabilità-inviolabilità in ordine alla forma di governo, non senza che da una simile traiettoria evolutiva venisse escluso anche il nostro Paese, così da risultarne riguardato dapprima lo Statuto albertino (art. 45) e, quindi, la stessa Costituzione repubblicana (art. 68).
Nel manoscritto, che si apre con l’Autorevole Prefazione di Augusto Cerri, ci si rifà dunque ad una tale, ormai familiare, “doppia faccia” dello “scudo” esaminandosi nella prima parte l’istituto dell’insindacabilità (cap. 1), e portandosi, poi, in un secondo momento, l’attenzione sull’inviolabilità (cap. 3). Oltre all’Introduzione di cui s’è detto, a far da cornice a queste due parti, che costituiscono “il cuore” del Volume, vi sono due altri capitoli dedicati, rispettivamente, alla “Prerogativa e procedura” (cap. 2) ed alle “Proposte de jure condendo” (cap. 4).
Last but not least, a corredo del lavoro è possibile ed utile, anche a fini pratici, consultare una Tabella indicante i “Conflitti aventi come parte da un lato un organo della Magistratura e dall’altro una o ambedue le Camere del Parlamento”.
II.
Il Libro entra dunque subito nel vivo, portando il lettore a riflettere su tematiche del più grande rilievo, come quelle denunciate sin già dal sottotitolo, del “diritto politico” e della “riserva parlamentare”, ma anche e, ancora più ampiamente, quelle dello “stato di diritto” e del rapporto tra principi, rispettivamente, di “sovranità parlamentare” e “di sovranità popolare”…nonché, in ultima analisi, sul senso stesso del diritto, e particolarmente del diritto costituzionale, “come limite alla politica”. Nella consapevolezza della delicatezza del compito di recensire uno studio vertente su questioni tanto delicate e complesse e senza in ogni caso volerne qui anticipare più del necessario i contenuti, né tanto meno indagarne risvolti ed implicazioni, si osserva come sia con lo sguardo e la confidenza di chi ha avuto modo di “maneggiare” la materia anche sul piano operativo che, Giampiero Buonomo, nel suo Libro esamina i profili di ordine procedurale per farla valere.
Con riguardo alla giurisprudenza parlamentare, l’Autore si sofferma su quello che reputa un «fallimento dell’approccio “internista”» che avrebbe voluto rinviare al regolamento parlamentare la definizione di buona parte delle modalità di esercizio della prerogativa (rilevandone una certa efficacia solo in punto di “turpiloquio”) e che invece sarebbe stato “sconfessato” dalla c.d. “legge Boato”, specialmente nella parte in cui questa reca la “tipizzazione” dei vari atti parlamentari in grado di attivare la copertura immunitaria. Più in generale, il punto più critico di questa strada sembra essere la pressione «elevatissima e oltre misura impropria» sulle Presidenze delle Assemblee a cui porta, nonché della poca propensione delle stesse Camere a farla propria. L’attenzione viene così spostata sulla giurisprudenza resa dalla Corte costituzionale e particolarmente sullo spinoso tema delle dichiarazioni rese extra moenia da parte di parlamentari. È così che, nel viaggio alla scoperta del perché dello “scudo di cartone”, viene presa in considerazione la “svolta” impressa dalle «sentenze Sgarbi» (n. 10 e n. 11 del 2000) alla stessa giurisprudenza costituzionale. Ed infatti, sarebbe stata la presa d’atto del modesto valore deterrente nei confronti dell’abuso dello scudo immunitario del criterio della c.d. «verifica esterna» (avviata dalla lontana sent. n. 1150 del 1988), a portare lo stesso Giudice costituzionale ad estendere il proprio sindacato anche alla sussistenza dei presupposti, e, particolarmente, alla verifica della riferibilità dell’atto alle funzioni parlamentari (c.d. “nesso funzionale”). Si aprono qui le pagine più esplicative del Volume, in cui, nel considerarsi le principali pronunce rese in materia, vengono messi a fuoco i criteri di valutazione utilizzati dalla Consulta per la valutazione della sussistenza del suddetto “nesso funzionale” (in sintesi estrema: la corrispondenza delle dichiarazioni rese dal parlamentare rispetto ai contenuti di atti resi in precedenza, nell’ambito di un medesimo contesto temporale, inerenti specifiche forme di esercizio di funzioni parlamentari), così da potersi affermare la legittimità della “levata di scudi”. Si scopre così che il vaglio del nesso funzionale va sempre più traducendosi «in un inseguimento tra il gatto e il topo, in cui il parlamentare è portato a “cautelarsi” preventivamente con un’incombenza meramente formale (la previa presentazione dell’atto di sindacato ispettivo o, al più, l’intervento in aula), per poi correre subito in sala stampa per dare alle agenzie le sue dichiarazioni» (!)
III.
È a questo punto che il Libro assume un taglio più di attualità, prendendo l’Autore in considerazione alcune delle vicende più scabrose in cui lo “scudo” dell’insindacabilità è stato chiamato (impropriamente) in causa: il processo per la compravendita di un senatore al fine di deviarne l’attività politica; la vicenda di un presidente di un consiglio regionale, le cui presunte attività intimidatorie avevano orientato le nomine e le attività di un’amministrazione; i casi, più in generale, di “voti dati” a seguito della stipula di patti collusivi e corruttivi; ed ancora – ma l’elenco potrebbe continuare a lungo…– il caso di un direttore di un giornale che aveva pubblicato le dichiarazioni infamanti di un parlamentare… Si affrontano così talune delle questioni più intriganti e dibattute circa la legittima “levata di scudi”, concernenti le attività “prodromiche” all’espressione del voto in aula, la sottile linea che separa la «parlamentarità» dalla «politicità» della condotta del parlamentare stesso, nonché la delicata questione della punibilità dei compartecipi. Che ne è, ad esempio, dei casi di riscontrato aggiramento dei “voti dati”? …e delle attività in grado di incidere sino a determinare l’esercizio della funzione? In particolare, come si pone in questo quadro l’attività di partito? Fino a che punto si spinge il “lobbismo” e quando invece diventa intimidazione? E’ coperta dall’insindacabilità la campagna elettorale del parlamentare? Sono responsabili sul piano civile terzi estranei che abbiano concorso col parlamentare nel diffondere, a mezzo della stampa, il contenuto di atti lesivi dell’altrui reputazione? Lasciando che siano le pagine del Libro a dare risposta a simili interrogativi, ci si limita ad osservare come dalle stesse (e particolarmente dall’esame della giurisprudenza costituzionale e di legittimità in esse contenuto) risulti confermata la predominanza della concezione che vuole che, con riguardo allo scudo dell’insindacabilità, a venire in rilievo sia, esclusivamente, il nesso funzionale, restando pressoché in ombra la qualificazione giuridica che del fatto potrebbe essere data. Di qui, in particolare, la considerazione della esenzione da responsabilità del parlamentare per la insindacabilità delle opinioni espresse alla stregua di una semplice causa soggettiva di esclusione di punibilità, non in grado (come tale) di incidere sulla illiceità del fatto (con la conseguenza, tra l’altro, di non mandare precluso l’accertamento della responsabilità di terzi estranei che abbiano concorso col parlamentare nel diffondere il contenuto degli atti lesivi dell’altrui reputazione). Laddove il rischio è che un simile esito, nel rivelare un certo volto della insindacabilità, e cioè a dire, per l’appunto, non l’ esercizio di un diritto (con la correlativa attivazione di una scriminante oggettiva), ma una causa soggettiva di non punibilità (talmente stretta da essere letta come inidonea a scriminare anche l’omesso controllo), potrebbe prestarsi ad esibire in quello stesso volto i tratti del privilegio. Ma, al di là delle interpretazioni che possono determinare il sempre controvertibile immaginario collettivo è un dato oggettivo a rendere ragione dell’idea di Giampiero Buonomo che l’insindacabilità sia diventata un “scudo di cartone”: il fatto, cioè, come viene bene evidenziato nel Libro, che in oltre vent’anni di conflitti tra Camere e Giudici in tema di insindacabilità, a tutto l’ottobre 2014 delle 115 volte in cui i conflitti sulle insindacabilità sono stati «vinti» da Camera e Senato, 101 casi erano vittorie in rito (per errori nel ricorso o difetti di notifica); laddove, delle 86 volte in cui hanno avuto la meglio i giudici, solo due sono stati i casi in cui la Corte costituzionale ha dato a questi ragione per motivi diversi dal merito. Così, secondo l’Autore, lo «scudo di cartone» mostrerebbe «la sua vera, e più profonda vulnerabilità» in ragione «dell’abuso della prerogativa»…che porterebbe la giurisdizione «ma verrebbe fatto di dire, la società» a reagire, comportandosi, oramai, «come se tutte le insindacabilità fossero arbitrariamente riconosciute dalle deliberazioni parlamentari». Si apre qui la parte per così dire “propositiva” dello studio (cap. 2) in cui, nell’auspicio di un rilancio dell’istituto immunitario, reputato garanzia imprescindibile per il libero esercizio delle funzioni parlamentari, rileva la strada seguita nell’ordinamento inglese e, per certi versi, per il Parlamento europeo, volta alla valorizzazione dell’esercizio del diritto di critica, con una sua “intensificazione” specie quando ne risultino coinvolti gli stessi parlamentari. Ciò, nel quadro di un più stretto «coordinamento tra poteri» e di una tendenziale parificazione delle (due) procedure che concernono la materia: la delibera di (in)sindacabilità del parlamento (concernente l’eventuale attivazione dell’elemento ostativo alla punibilità), da un lato, e l’accertamento giudiziale circa l’illiceità della relativa condotta (e quindi dell’esercizio del diritto), dall’altro, ferma restando la ricorribilità dinanzi al giudice dei conflitti tra poteri dello Stato (in quei casi in cui si ritenga necessario appurare la sussistenza del nesso funzionale). Anche se poi una tale soluzione pare scontrarsi con quella recente – ma al momento minoritaria – giurisprudenza costituzionale, che (proprio nell’esaminare «l’attuale stato dei rapporti tra attribuzioni dell’autorità giudiziaria e tutela della prerogativa») ha reputato l’insindacabilità «una immunità di ordine sostanziale, e non già una esenzione dalla giurisdizione», confermando, nel contempo (in linea col sistema prefigurato dalla menzionata sentenza n. 1150 del 1988), che l’accertamento concreto dei fatti e della loro illiceità possa essere effettuato «soltanto nell’ambito del giudizio da cui il conflitto trae origine», solo, si noti, «laddove il potere parlamentare sia stato male esercitato» (v. Corte cost., sent. n. 332 del 2011). Per cui, se dovesse prevalere un simile approccio l’irrobustimento della componente sostanziale dello scudo immunitario dovrebbe passare per il recupero dell’accertamento dell’esercizio del diritto da parte del parlamentare nell’ambito della (e combinatamente alla) verifica della sussistenza del nesso funzionale, nelle varie fasi e da parte di tutti i soggetti a tal fine riguardati.
IV.
Se, pertanto, la fisionomia dell’insindacabilità risulta da noi ancora lontana dall’essersi stabilizzata, non meno precaria è quella in cui versa l’altra faccia dello “scudo”, vale a dire, l’inviolabilità (di cui ai commi 2 e 3 dell’art. 68 della Costituzione) su cui Giampiero Buonomo porta la propria attenzione nella seconda parte del Volume (cap. 3). Il lettore viene così (re)immerso nelle vicende che, all’inizio degli anni Novanta, a seguito degli abusi e dell’abuso che se ne fece, portarono l’istituto a mutare almeno in parte la propria fisionomia, con la caducazione della necessità in via generale dell’autorizzazione a procedere da parte della Camera di appartenenza per la sottoposizione del parlamentare a procedimento penale, ed il mantenimento del solo «nocciolo duro» autorizzatorio concernente le misure cautelari ed i c.d. “atti invasivi”.
In quest’ottica, particolare attenzione è riservata, dall’Autore, alla dialettica, tra Parlamento e Giudici e, particolarmente, al trend che, nell’ambito della stessa giurisprudenza parlamentare, ha portato al superamento, nel tempo, dell’idea della natura esclusivamente “politica” dell’istituto e della relativa “riserva parlamentare” della scelta se accordare o negare l’autorizzazione a procedere, a favore di un maggiore controllo anche dall’esterno (in particolare, da parte della Corte costituzionale)…in un processo, pertanto, di progressiva «giuridicizzazione» dell’istituto in cui determinante, nel senso di giustificare la “levata di scudi”, è divenuta la dimostrazione della sussistenza del c.d. “fumus persecutionis”.
Lasciando, dunque, alle stimolanti pagine del Volume per l’approfondimento delle varie definizioni che del c.d. “fumus persecutionis” son state date, nonché dei “vari gradi” in cui se ne è ravvisata la sussistenza (a seconda del livello di gravità della persecuzione stessa), e delle relative questioni che tutto ciò ha posto, è soprattutto la parte dedicata ai c.d. “atti invasivi” – attinenti alla persona, al domicilio ed alla corrispondenza del parlamentare – a suscitare il più grande interesse, rilevandovi la non “estensibilità” di un siffatto criterio a quanto residuato oggi dell’istituto: vuoi «per le caratteristiche con cui fu costruito», vuoi per la sostanziale incompatibilità dello stesso con una prospettiva che miri a valorizzare, in principio, la leale collaborazione tra poteri.
In luogo, dunque, di un simile criterio all’atto del rilascio delle autorizzazioni alle misure cautelari personali, l’Autore avanza la proposta di utilizzare quello del bilanciamento dell’interesse cautelare con quello dell’integrità del plenum (in linea, del resto, con la soluzione individuata dalla Camera dei Deputati durante la XIII legislatura ed applicato, da ultimo, anche nel corso della XVI Legislatura).
Sicché solo la dimostrazione della sussistenza di esigenze cautelari di eccezionale rilevanza, ovvero l’esistenza di gravi indizi di colpevolezza per reati di particolare gravità, potrebbero motivare la scelta di arrecare un vulnus al plenum assembleare, dovuto all’alterazione dell’equilibrio tra le forze politiche scaturito dal voto popolare.
Inoltre si guarda con interesse, anche qui, a talune regolamentazioni adottate a livello sovranazionale e, particolarmente,
alla «soluzione intermedia» tra l’obbligo di sospensione da parte del giudice (vigente prima del 1993 anche in Italia) e a libera procedibilità (praticata, ad es., in Gran Bretagna) che prevede che la sospensione venga «disposta, da parte del giudice, solo qualora il Parlamento lo richieda» (secondo quanto si trova nell’Accordo generale sui privilegi e sulle immunità del Consiglio d’Europa).
La strada che nel Volume conduce a tali approdi è interessante da percorrere, prendendosi anche qui avvio dal dato storico e comparatistico per offrire al lettore una chiave di lettura del presente. Così, l’Autore prende le mosse dalla descrizione dall’acceso dibattito che proprio i c.d. “atti invasivi” suscitarono in Assemblea Costituente, dove già era palpabile la preoccupazione che la prerogativa potesse degenerare in abuso, col connesso originarsi di “zone franche” (o, come si è detto negli Stati Uniti e si fa notare nel Libro «in santuari per il crimine, a carico del contribuente») e l’esigenza, però, nel contempo, di garantire, altresì, anche qui, il comporsi delle condizioni più adeguate per il libero esercizio dell’attività politica e, quindi, del mandato popolare. Si passa quindi a considerare la situazione attuale, ponendosi, anche a questo proposito, una serie di interessanti interrogativi, le cui risposte sono esaminate dall’Autorecon occhio critico e con la forza del suo vissuto quotidiano: è necessaria un’apposita autorizzazione della Camera di appartenenza, al fine di accertare l’eventuale sussistenza del reato di abuso edilizio a carico dei proprietari, un parlamentare ed il suo coniuge, del predetto fabbricato? A seguito dell’inutilizzabilità delle prove a causa della riscontrata mancanza dell’autorizzazione a procedere, la sentenza di condanna dev’essere annullata anche nei riguardi della coniuge coimputata? E’ possibile perquisire le sedi dei partiti senza autorizzazione a procedere? E qual è la disciplina normativa delle c.d. “intercettazioni indirette”? Come va configurato il caso di sequestro di documenti scritti o di materiale su supporto elettronico di proprietà del parlamentare? E quelli delle acquisizioni di meri tabulati o «tracciati» telefonici e del controllo mediante rilevazione satellitare? Ancora, sono ammissibili le c.d. “ispezioni manuali” ai “varchi” (palazzi di giustizia, sedi istituzionali e degli organi costituzionali, ambasciate, ma anche più semplici controlli per l’erogazione di determinati servizi)…così, ad es., si ricorda di come sia capitato che taluni parlamentari avessero preteso di condizionare la liceità del controllo di preimbarco su un aereo alla previa autorizzazione della Camera dei deputati (!)
V.
Come sovente accade quando ci si trova ad avere a che fare con qualcosa che non funziona più, o non funziona più bene rispetto alle nostre aspettative, si è dibattuti tra la scelta se disfarcene o, invece, cercare di ripararla, migliorandone, magari, il rendimento. Qualcosa del genere sta riguardando, ci sembra, anche lo “scudo” dell’immunità parlamentare in ambo i versanti ormai tanto fragili e delegittimati da apparire, appunto, “di cartone”… il quale si dimostra non solo non in grado di soddisfare le originarie ragioni che ne avevano determinato la previsione, ma addirittura nocivo, in quanto incline all’abuso, ovvero a dare la forma di “privilegi personali” a prerogativeil cui carattere derogatorio rispetto al regime giurisdizionale comune si giustifica in quanto e sino a quando se ne dimostri l’idoneità a garantire il libero esercizio delle funzioni delle Camere nel loro complesso. In questa situazione, l’idea di liberarsi di un tale “ingombro”, sconta, ci pare, vuoi l’impossibilità di dimostrarne in toto l’inutilità, specialmente nella parte relativa alla difesa dell’insindacabilità delle opinioni espresse e dei voti dati (peraltro, alla radice dello stesso nomen “Parlamento”), vuoi una certa sottovalutazione dell’indebolimento delle istituzioni rappresentative e, più in generale, del circuito democratico, che ne deriverebbe.
Del resto, il fatto che sia venuta meno l’esigenza di tutelare il Parlamento nei confronti del potere regio (all’origine, come si è visto, della predisposizione dello “scudo”) e dell'”asse” tra questo ed altri poteri, certamente non elimina la possibilità che possano essere altre entità a mettere a repentaglio l’autonomia e financo la dignità stessa delle Camere. A portare ad accantonare l’idea dell’inutilità dell’istituto, pare insomma essere la perdurante necessità, nella forma di Stato e di governo consacrata dalla nostra Costituzione, del comporsi delle condizioni più propizie affinché l’organo parlamentare possa costituire il motore del circuito democratico. È in questo senso, del resto, che, come si evidenzia nel Libro, la più attenta dottrina ha avuto modo di osservare che «la ratiodel conflitto è impedire che il gioco politico deformi la complessa architettura costituzionale basata sulla divisione dei poteri». Non è chi non veda qui una (ulteriore) conferma dell’importanza della cultura della conservazione dei principi e nel contempo della manutenzione degli istituti della Carta costituzionale, così da costantemente aggiornarne e tenerne vivi i contenuti; ed in questo senso, più nello specifico, l’improrogabilità di un miglioramento della resa del “nostro scudo”, nel senso sia di riuscire ad evitare l’abuso (del resto, come si fa notare, non può dirsi certamente un caso che in quegli ordinamenti in cui certe distorsioni non si sono avute lo “scudo” sia rimasto saldo) sia, volendo riprendere le parole di Giampiero Buonomo, di «riportare l’istituto dell’immunità da fine a mezzo». In questo quadro, un possibile approccio è quello, a cui si è già in parte accennato, che, guardando anche alla più recente giurisprudenza europea, vede nell’estensione della «grande regola» dello Stato di diritto (ed in essa dell’emancipazione del diritto politico «dal dogma della sovranità del Parlamento») l'”unica chance di sopravvivenza del diritto politico”: considerandosi, in questo senso, favorevolmente il traguardo di una più compiuta giurisdizionalizzazione della materia (in un sistema che vedrebbe al centro la Corte costituzionale). Un altro approccio è quello che, muovendo invece dalla constatazione del rischio che la giuridicizzazione di rapporti che coinvolgono soggetti che esercitano funzioni sovrane porti ad “invasioni di campo” da parte dello stesso “potere” a cui spetta d’infliggere la sanzione, guarda favorevolmente al “soccorso” del potere del corpo votante. Precisamente, alla possibilità, per il corpo elettorale, “a sigillo” del sistema democratico, di scegliere liberamente se “premiare” (con la rielezione”) o, per l’appunto, “sanzionare” (col non voto) il parlamentare, tenendo conto, tra l’altro, eventualmente, degli “scudi” che questi abbia “elevato” nel corso dei suoi precedenti mandati.
Va peraltro notato come l’argine opposto da una simile sanzione “politica” ad abusi di potere e, particolarmente, di indebite “levate di scudi” da parte dei parlamentari venga meno in vigenza di sistemi elettorali (come quello introdotto in Italia dalla legge n. 270 del 2005 e dichiarato incostitu-zionale dalla Consulta) in cui, tra l’altro, non risulta possibile per l’elettore esprimere una qualche preferenza nei confronti dei candidati (si noti, peraltro, come in situazioni così “blindate” risulti vieppiù imprescindibile, per l’appunto, nello “stato di diritto”, il percorrimento della via della “giuridicizzazione” dei rapporti: strada che però, almeno in questi casi, pare almeno in parte ovviabile proprio attraverso il potenziamento del “diritto politico” del corpo elettorale…). Più in generale, ci pare che anche chi ritenga che nell’attuale assetto costituzionale non sia possibile controllare le dinamiche della politica possa trovarsi d’accordo sul fatto che, pur non potendo fare miracoli, una buona legge elettorale renda quanto meno più probabile l’inverarsi di una selezione (più) adeguata (rispetto alla vigenza di una legge elettorale “non buona”, e men che meno di una legge elettorale “incostituzionale”…) della rappresentanza politica, con quanto ne consegue anche con ri-guardo alla propensione all’abuso del reggere conferito ed alla torsione in senso personalistico di istituti pensati per la collettività. Nondimeno, ci si unisce all’auspicio autorevolmente formulato nella Prefazione al Volume, che il dibattito si sviluppi anche in seguito alle significative sollecitazioni provenienti dal Libro stesso di Giampiero Buonomo e che davvero possa finalmente pervenirsi a soluzioni effettive, stabili e condivise.

di Lara Trucco

clicca qui per acquistare il volume con il 15% di sconto

Altre Rassegne