Un carteggio lungo trent’anni tra amore per i libri e quotidianità (Il Crotonese)

di Eleonora Sposato, del 9 Ottobre 2012

Da Il Crotonese – 06 ottobre 2012
Esistono gli scrittori, esistono i libri, con le loro lucide, ammiccanti copertine, fatte per attrarre l’occhio distratto del compratore; un breve ritaglio di spazio, poi, è dedicato alla biografia dell’autore: poche, scarne righe ci informano sulla sua vita, la sua formazione, la sua popolarità, seguite, in basso da un’altrettanto breve bibliografia, di titoli e date, che poco o nulla riescono a riferire del lento e difficoltoso processo di creazione artistica che si cela dietro ogni buon libro.
Molto di più può dirci una raccolta di scritti privati, un carteggio di lettere, in cui l’animo dello scrittore (e dell’uomo), ma anche la genesi delle sue opere vengono affidate alla comprensione di un amico fidato senza remore di sorta. È questo lo spirito che anima le lettere del carteggio “Mario La Cava – Leonardo Sciascia. Lettere dal centro del mondo 1951-1988“, a cura di Milly Curcio e Luigi Tassoni, Rubbettino 2012, attraverso le quali i due scrittori mantennero viva, fra Calabria e Sicilia, una conversazione intellettuale lunga trent’anni. Il ricco carteggio, contenente oltre trecento missive, apre al lettore uno spiraglio sulla vita privata dei due autori, ma rappresenta anche per gli studiosi la testimonianza preziosa sulla vita culturale italiana del Novecento.

Le prime lettere risalgono agli inizi degli anni Cinquanta, quando Leonardo Sciascia, allora giovane maestro elementare e scrittore esordiente, decide di scrivere al calabrese Mario La Cava, per ringraziarlo del gentile omaggio dei suoi celebri caratteri, editi da Le Monnier (prima edizione).

Ha inizio così la fitta e quasi quotidiana corrispondenza dei due scrittori, che si aiutano reciprocamente a farsi strada nell’universo intricato delle redazioni giornalistiche e delle case editrici, scambiandosi consigli e informazioni, per destreggiarsi negli “infidi” ambienti letterari della Capitale, nella consapevolezza di essere emarginati, per motivi sia ideologici che geografici, dai centri culturali. È sulla base di tale consapevolezza che nel 1952, lo scrittore di Bovalino suggerisce a Sciascia di affidare ad altri la prefazione alle sue Favole della dittatura, considerato il “poco credito” (p 15) da lui finora riscontrato presso gli editori, mentre in un’altra missiva, di qualche anno dopo, lo stesso La Cava sconsiglia all’amico siciliano di farsi vedere “Insieme dagli amici di Roma” (p.181): per non figurare, agli occhi degli intellettuali romani., alla stregua di un “tandem dì provinciali disposti reciprocamente a giurare l’uno sulle qualità dell’altro” (p.180), come Sciascia ironicamente riconosce.

Domina, inoltre, nelle lettere di entrambi gli scrittori, da un lato, lo sconforto per la vita arida di stimoli culturali, alla quale essi sono costretti nei loro remoti borghi di provincia, dall’altro una costante indecisione ad agire concretamente per mutare le sorti della loro esistenza, preferendo interrompere solo di tanto in tanto l’isolamento alla ricerca di opportunità lavorative.

In una lettera del 2 agosto 1951. Sciascia spiega, a tal proposito. come la tranquilla solitudine della sua casa di campagna isolata nella calura della terra siciliana, riesca ad assorbirlo completamente, a sbiadire i ricordi dei giorni trascorsi nel Continente, come se essi non gli appartenessero più e “fossero i giorni di un altro. E lascio così cadere tante possibilità, Ma in fondo vivere cosi mi piace: leggere un libro al giorno e scrivere un articolo ogni mese; e quando posso, una piccola scappata oltre lo Stretto.” (p. 10)

Ma l’elemento che conferisce ad ogni pagina di questo epistolario un tono umanissimo e cordiale sono le innumerevoli testimonianze che raccontano la vita travagliata dei due interlocutori continuamente impegnati nella difficoltosa conciliazione delle proprie esigenze di intellettuali con i doveri e le responsabilità comuni dei padri di famiglia intenti a garantire ai propri cari un’esistenza serena.

Un avvincente percorso, quindi, nella vita professionale e privata di due grandi protagonisti del Novecento italiano, che lascia nell’animo un senso d’ammirazione verso questi autori pari a quello cui ci hanno da sempre abituato le loro opere maggiori.

Di Eleonora Sposato

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