La questione morale è di Sturzo

di Goffredo Pistelli, del 24 Aprile 2015

Luigi Sturzo

Servire non servirsi

La prima regola del buon politico

Da Italiaoggi.it del 24 aprile

«Macché Enrico Berlinguer, la questione morale, in Italia, l’ha posta Luigi Sturzo molto prima». Giovanni Palladino spiega così l’aver curato per Rubbettino una piccola raccolta di testi, una dozzina, del sacerdote siciliano, col titolo Servire non servirsi, la prima regola del buon politico.
Palladino, romano, classe 1941, lunga carriera di manager privato, è il figlio dell’economista Giuseppe, che fu molto vicino a Sturzo negli ultimi anni della sua vita, fino a esserne esecutore testamentario.
 Il suo libro dimostra che il fondatore del Ppi parlò di moralizzare il Paese, molto prima della celebre intervista del segretario comunista a Eugenio Scalfari negli anni 80.
Esatto. Rientrato dagli Stati Uniti, Sturzo comincia subito a scrivere sull’Italia appelli alla moralizzazione della vita pubblica e politica italiana. E siamo nel 1946. Ben quattro articoli fra quelli che pubblichiamo hanno praticamente lo stesso titolo e dicono esattamente questo. Sturzo lo riteneva indispensabile per la soluzione dei problemi politici, economici e sociali di qualsiasi Paese.
 Fu un profeta inascoltato.
Il libro ha l’obiettivo di ricordare una verità storica dimenticata. Per tutti gli anni 50, sino al suo ultimo giorno di vita, combatté con grande forza, purtroppo invano, contro le tre «malebestie», ossia lo statalismo, la partitocrazia e lo sperpero del denaro pubblico, ben sapendo quanto fossero pericolose per la salute morale, politica ed economica del Paese.
 Lei parla anche di opportunità perduta.
Quella della Dc, che non ha saputo né voluto seguire la grande modernità del suo pensiero. Se lo avesse fatto, certamente l’ Italia non si troverebbe nelle drammatiche condizioni attuali.
 Lei dà anche un giudizio duro: non fu, quella democristiana, solo una degenerazione dell’ultimo ventennio.
In realtà la «malattia» era iniziata sin dagli anni 50 e nei tre decenni antecedenti al 1994, l’anno della morte della Dc, purtroppo ne vedemmo la schiacciante vittoria.
 In particolare?
Il dilagare dello Stato imprenditore, un ruolo che Sturzo giudicava pericoloso, per le tante tentazioni che un forte afflusso di denaro in mani politiche avrebbe potuto creare e per la sicura inefficienza della sua gestione.
 Lo Scudo crociato si fece tentare dallo statalismo…
C’era già stato il fascimo a mettere al centro della vita degli Italiani lo Stato «tuttofare» ma quel virus passò nella Dc attraverso i Professorini.
 Ossia Amintore Fanfani, Giorgio La Pira, Giuseppe Dossetti, Giuseppe Lazzati…
Esatto. E finché ci fu Alcide De Gasperi a tenerli a bada, il partito resistette, poi la diga si ruppe, verso la fine degli anni ’50.
Seguirono gli anni d’oro delle Partecipazioni statali…
Stagione disastrosa: Iri, Enel, Eni, Efim succhiavano il 75% del credito bancario, sottraendolo all’impresa privata. E i prezzi delle loro produzioni erano maggiorati per finanziare illegalemente i partiti. Pensi quanto è costato lo Stato imprenditore.
 D’altra parte l’Eni l’aveva fatta Enrico Mattei, che veniva pure lui dalla sinistra democristiana.
Col quale Sturzo polemizzò duramente. Anzi fu l’unico motivo di una lite con mio padre, cui sottoponeva gli articoli prima di inviarli al Giornale d’Italia. Fu quando un giorno mio padre gli chiese di attenuare l’ennesimo articolo contro il fondatore dell’Eni.
 E Sturzo, che cosa disse?
Batté il pugno sul tavolo, addirittura. «Non tolgo neanche una virgola», gli urlò. E spiegò che considerava Mattei più pericoloso di Mussolini perché, disse, le distruzioni causate dalle bombe furono riparate in pochi anni, mentre per riparare quelle provocate dalle tre «malebestie» ci sarebbe voluto molto più tempo.
 Fu in urto anche con La Pira…
Sì anche se lo trattò sempre con cortesia, mentre il «Sindaco santo» con lui fu spesso brusco. La Pira era convinto che lo Stato potesse fare tutto e che gli industriali fossero dei ladri, sempre pronti a licenziare. Ricordo una battuta che una volta Sturzo gli fece per spiegargli la differenza fra l’economia di mercato e lo statalismo.
 E cioè che cosa gli disse?
Gli promise di portarlo in aereo sopra Berlino, dove gli avrebbe mostrato lo scintillio di luci a Ovest, contrapposto al buio fitto della parte comunista della città.
 Cos’altro fu sbagliato negli anni della Dc statalista?
Fu una fase sciagurata, non so come facemmo a non fallire. Pensi alla riforma di Giacomo Brodolini sulle pensioni, di fine anni ’60, fatta per mandare le insegnanti in pensione a 40 anni.
 Sturzo per anni, come voce nel deserto, s’era appellato all’economia sociale di mercato.
Erano gli insegnamenti della Rerum Novarum di Leone XIII, che Sturzo trasferì anche a Konrad Adenauer, conosciuto nel 1921, quando faceva il sindaco di Colonia. Da cancelliere, Adenauer poi riuscì a realizzare una stretta alleanza tra capitale e lavoro che la Dc non fece, arrendendosi, al Pci e alla Cgil. Leone XIII profetizzò che senza questa alleanza avrebbero prevalso «confusione e barbarie». Pensi agli anni di piombo…
 Leggendo gli interventi di Sturzo colpisce come usasse l’espressione «mani pulite», 40 anni prima dell’inchiesta che, avviando Tangentopoli, affosserà la stessa Dc. E attaccava gli «enti inutili».
Un profeta appunto. Quanto agli enti inutili, ho un ricordo personale.
 Raccontiamolo.
Mio padre fu nominato proprio in una commissione che li doveva abolire, nel 1959. E ricordo come tornasse a casa, la sera, sconfortato. «Non li vogliono abolire», ripeteva, «vogliono continuare a servirsi e non servire».
 Suo padre scrisse anche a Mino Martinazzoli quando, finita la Dc, rimise in piedi il Ppi…
Vero, si raccomandò che lasciassero stare quel nome, visto che cosa avevano fatto prima. Ma non ebbe neppure risposta.
 Veniamo all’oggi. Lei dopo aver dedicato tanto tempo a far conoscere l’opera di Sturzo, s’è preso la briga anche di fondare un partito: Popolari liberi e forti, che riecheggia l’appello da cui nacque il primissimo Partito popolare nel 1919.
Per ora ci presentiamo ad alcune elezioni amministrative, con liste civiche: Servire Fermo, Servire Ravanusa (Ag), Servire Caltagirone (Ct). Il prossimo, speriamo, Servire Milano.
 Lei ne è il segretario. Che ricetta ha per questo Paese?
La prima cosa è la classe dirigente: deve tornare a esser fatta da persone competenti e oneste, e ce ne sono, perché sino a oggi ne abbiamo avuto dotate del contrario. Mi ha fatto piacere sentire dire da Enrico Letta che si dedicherà alla formazione politica: ce n’è un gran bisogno.
 E poi?
E poi rimettere al centro il lavoro e l’impresa, fino a oggi demonizzata e bastonata col fisco. Bisogna passare dal populismo al popolarismo, che è anche il sottotitolo del prossimo libro, in uscita a maggio, ancora per Rubbettino.
 Come si intitolerà?
Governare bene sarà possibile, prefato dal cardinal Oscar Rodriguez Maradiaga, che è praticamente il riferimento di Papa Francesco per le questioni economiche, e con una postfazione di Umberto Ambrosoli. Glielo manderò.

di Goffredo Pistelli

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