Quando Mosca dimezzò “l’assegno” al PCI (Il Giornale di Sicilia)

di Aldo Forbice, del 30 Maggio 2016

Antonio Giagni

Generazione tradita

Dal dopoguerra a Tangentopoli controcanto alla saga dell'inganno

Da Il Giornale di Sicilia del 30 maggio

Prima o poi la verità salta a galla. Nel caso di cui vi parleremo ci sono voluti più di quattro decenni ma finalmente ora si sa molto. Parliamo dei finanziamenti di Mosca al Pci, ai tempi dell’Urss. Qualche libro era già uscito in passato ma ora chi fa piena luce in questa materia è un saggio di Ugo Finetti («Botteghe Oscure – Il Pci di Berlinguer e Napolitano», Edizioni Ares). Finetti, un giornalista con un passato anche di politico (è stato vice presidente della Regione Lombardia, dal 1985 al 1992), ricostruisce la storia del Partito comunista italiano ponendosi il quesito sulla effettiva autonomia del gruppo dirigente dall’Urss. Il quesito che tutti gli studiosi si sono sempre posti è proprio questo: il Pci era eterodiretto da Mosca o era riuscito a diventare realmente autonomo dalla «casa madre»? L’ipotesi più attendibile, come ha fatto notare in un convegno Ernesto Galli della Loggia è che il Pci sentiva «il fortissimo senso di appartenenza al movimento comunista internazionale a direzione sovietica». Questo significa che l’autonomia di cui parlavano sempre Berlinguer e gli altri dirigenti comunisti, se esisteva, era comunque debolissima. Il saggio è di grandissimo interesse, anche perché smentisce molti luoghi comuni, mettendo in luce le divisioni interne, già esistenti ai tempi di Togliatti e proseguite con Berlinguer, e chiarisce il ruolo di Amendola, Ingrao, Napolitano, Lama, Reichlin, Pajetta, Natta, Iotti, Occhetto e di tanti altri dirigenti delle Botteghe Oscure. Particolarmente importante si rivelerà l’appendice che documenta i fondi occulti del Pci (comprese le tangenti che arrivavano dai petrolieri, 20 anni prima di Tangentopoli) che venivano eufemisticamente definiti «amministrazione straordinaria». La parte principale delle entrate era rappresentata dai massicci fondi che giungevano da Mosca: quasi sei milioni di dollari l’anno nel 1967-68, poi dimezzati perché il Cremlino punì in questo modo lo scarso entusiasmo manifestato dal Pci per l’occupazione sovietica della Cecoslovacchia. Fu quello il primo significativo campanello d’allarme che convinse i dirigenti comunisti ad accettare la proposta sul finanziamento pubblico dei partiti e a spingerli verso la ricerca di maggiori risorse finanziarie autonome, intensificando l’amministrazione straordinaria, che proseguì anche dopo l’approvazione della legge. I flussi di denaro da Mosca andarono avanti sino al gennaio 1978 ma «valigette» di dollari continuarono ad arrivare a Botteghe Oscure anche per altre vie. Uno storico dell’Istituto Gramsci, Francesco Barbagallo, ha rivelato che «fra il 1971 e il 1980 il Pci ricevette dal Pcus una media di circa 4,8 milioni di dollari l’anno». I misteri, quindi, sono ancora molti, ma quelli svelati e raccontati nel libro di Finetti sono comunque più che sufficienti a confutare la vecchia tesi del «partito diverso» teorizzato a lungo da Berlinguer.
Sono numerosi ormai i saggi e le testimonianze sulla crisi della politica. Il libro del giornalista Paolo Morando, ( «’80 ,l’inizio della barbarie», Laterza), racconta gli anni Ottanta, sostenendo che si tratta del decennio delle mode effimere e classiste, dell’imbarbarimento della politica e del degrado della convivenza civile. L’analisi è serrata e convincente, aiuta a capire i nodi di una società malata che non vuole (o non può) affrontare le riforme economiche, istituzionali e sociali. Ci stimola a riflettere, ma ci lascia interdetti sul «che fare». Quali terapie propone? Poche, per la verità, preferendo affidarsi alle capacità taumaturgiche del giovane Renzi, sperando che il premier ce la faccia a cambiare l’Italia.
Un altro saggio del giornalista Antonio Giagni («Generazione tradita»,Rubbettino) analizza un periodo più lungo della storia italiana: dal dopoguerra a Tangentopoli. Il libro è interessante e coinvolgente perché ricostruisce vicende politiche (e non solo) vissute in gran parte dall’autore, fuori dagli schemi convenzionali della retorica, delle “cronache ufficiali” e dalle versioni degli storici accademici: il governo Tambroni, i morti di Reggio Emilia, le violenze dei cavalieri di D’Inzeo a Porta San Paolo a Roma, il Maggio francese, le grandi migrazioni sud-nord, il sequestro Moro, il terremoto In Irpinia e Basilicata, il crollo dell’Urss, Tangentopoli. Foto che focalizzano la sconfitta di un’intera generazione.

di Aldo Forbice

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