Raymond Aron. La solitudine di Solzhenitsyn nella battaglia per la libertà (Libero)

di Raymond Aron, del 30 Ottobre 2012

Da Libero – 30 ottobre 2012
Per gentile concessione della casa editrice Rubbettino, pubblichiamo in anteprima un articolo inedito di Raymond Aron dal titolo «Il messaggio di Solzhenitsyn», pubblicato sul numero 3/2012 della «Rivista di Politica» diretta da Alessandro Campi. Nel nuovo numero dedicato proprio al pensatore francese («Raymond Aron. Pensare la politica, la libertà e la democrazia») è possibile leggere anche il saggio di Daniel J. Mahoney che approfondisce proprio il rapporto tra il filosofo transalpino e Solzhenitsyn, nonché il saggio «L’avvenire della guerra nel mondo del commercio: Raymond Aron pensatore delle relazioni internazionali» di Benjamin Brice.

A Dostoevskij ritornato dalla Casa dei morti chi avrebbe proposto come interlocutore un burocrate zarista o un seguace di quella burocrazia? Deplorando l’assenza di un membro del Partito comunista l’altra sera alla televisione, Jean Daniel si condannava lui stesso a un ruolo ingrato. Solzhenitsyn non è un uomo politico, anche se i suoi discorsi, le sue opere e la sua vita costituiscono delle realtà politiche che pesano con tutto il loro carico di sofferenza e di genio. Le sue convinzioni trascendono la politica perché animano una personalità fuori dal comune, e perché restano in ultima analisi di natura spirituale: la fede nella libertà e una devozione incondizionata alla verità. Chiedendo all’autore di Padiglione cancro di esprimere delle opinioni sugli eventi del giorno, il direttore del «Nouvel Observateur» abbassava il dialogo al livello ordinario dei dibattiti partigiani.

Chi combatte, in Occidente, la stessa battaglia di Solzhenitsyn? La risposta è semplice perché la domanda è indecente: nessuno. Né la destra né la sinistra. Per combattere la sua stessa battaglia, bisognerebbe affrontare lo stesso nemico, rischiare il lungo viaggio attraverso l’istituzione concentrazionaria, e attingere dalle stesse prove la forza invincibile di resistere alla macchina infernale. Di articoli o libri in favore dell’indipendenza dell’Algeria ne abbiamo scritti e non abbiamo motivo di pentircene, ma nemmeno il diritto di esserne fieri quando incontriamo l’autore di Una giornata di Ivan Denisovic.

I giudizi che Solzhenitsyn esprime sul Vietnam, il Portogallo o il Cile devono ovviamente essere discussi e forse l’esiliato si sbaglia. Il regime di Salazar ha lasciato più della metà della popolazione analfabeta, e i generali cileni usano e abusano della repressione e della tortura. Capitani e comunisti in Portogallo costruiranno più fabbriche dei capi d’ieri e apriranno più scuole, e i comunisti del Vietnam del Nord porranno almeno fine alla guerra. Solzhenitsyn non ignora nessuna di queste evidenze. Se infastidisce, o indigna, è perché colpisce nel punto sensibile – il punto della menzogna – gli intellettuali occidentali: se accettate il grande Gulag, chiede loro, perché allora la vostra virtuosa indignazione a proposito di quelli piccoli? I campi restano campi, siano essi bruni o rossi. Da più di cinquant’anni gli intellettuali occidentali rifiutano di ascoltare la domanda. Una volta per tutte essi hanno stabilito che ci sono campi «buoni» e campi «cattivi», quelli che la santità della causa trasfigura e gli altri, che non sono che quel che sono. Tutti gli intellettuali occidentali commettono, a gradi diversi, quell’ errore, sempre inclini a scoprire delle ragioni per scusare o scomunicare. Gli intellettuali che si dicono di sinistra lo commettono in modo più clamoroso e commisurato al Gulag che essi hanno negato il più a lungo possibile – il Gulag più enorme dissimulato nell’ ombra del regime che si dichiara il più umano del mondo.

Tra colui che è ossessionato dall’unità della sinistra, o dalla preoccupazione di cooperare con i suoi «compagni comunisti», e lo zek il confronto non è alla pari. Ma non conosco alcun francese che la grandezza di Solzhenitsyn non avrebbe schiacciato. E credo che, nonostante tutto, milioni di telespettatori abbiano raccolto il suo messaggio – un messaggio di carità, fede e speranza che illuminava il volto e lo sguardo di uno solo.

Di Raymond Aron

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