Il Meridione nell’ironia amara di Piscopo (Il Mattino)

di AURELLO BENVENUTO, del 7 Ottobre 2013

Da Il Mattino del 06/10/2013

Ugo Piscopo è scrittore fecondo e versatile, come è confermato dalla bibliografia delle opere da11963 al 2012 tracciata da Carmen Moscariello nel volumetto «Oboe per flauto traverso. Parole per Ugo Piscop o» (Guida).
I generi nei quali si esplica la sua attività di scrittore sono la poesia in versi («Catalepta» del 1963, «Quaderno a Ulpia» del 2002, «Haiku del loglio» del 2003, «Presenze preesistenti» del 2007, «Seniles» del 2010, «Familiari» del 2011), nella quale il dato caratterizzante è la novità in fatto di spirito, di metro, di ritmo, di lingua rispetto a quella tradizionale; la critica letteraria («Alberto Savinio» de11973, «Vittorio Pica e la protoavanguardia in Italia» del 1982, «Futuristi a Napoli» del 1983, «Salvatore di Giacomo» de11984, «Massimo Bontempelli» del 2001), nella quale è evidente l’interesse particolare per gli scrittori e i movimenti di avanguardia; la narrativa («La casa di Santo Sasso» de11993, «Scuola che sballo» de11997, «Irpinia sette universi cento campanili» del 1998), che è una narrativa particolare perché confluiscono nel racconto svolgimenti autobiografici e saggistici; il teatro («Maggio a Gramsci» del 1992, «Le campe al castello» del 2011), che appare sostanziato dall’impegno politico e sociale. Ai tre libri di narrativa degli anni Novanta, ai quali ho dedicato il saggio «La trilogia narrativa» di Ugo Piscopo compreso nel volume di «Saggi di letteratura italiana. Da San Francesco a Montale» (2002), si sono aggiunti ora due nuovi libri, «Idilli napoletani. Il possibile che diventa impossibile», prefazione di Aldo Masullo (Guida del 2012) e «Calabria extra e intra moenia» (prefazione diWalter Pedullà, Rubbettino 2012). «Idilli napoletani», usciti nella collana «Ritratti di città» dell’editore Guida di Napoli, sono una raccolta di 28 pezzi, molti dei quali, come informa l’autore nella nota al testo, sono articoli apparsi sul «Corriere del Mezzogiorno» dal 2009 al 2012, ai quali sono stati aggiunti altri brani inediti, alcuni un po’ più ampi. A partire dal titolo, le pagine di questo libretto sono intrise di umorismo, come dichiara nella prefazione Aldo Masullo.

Piscopo e l’armonia perduta del Sud
«Idilli napoletani» e «Calabria extra e intra moenia»: ironia e denuncia nella terra che soffre.

Masullo compie una rapida acuta analisi del testo, precisando che alle «umoristiche pagine delle “confidenze”» dedicate à «napoletano male di vivere» si affiancano altre pagine nelle quali «ritorna il colto studioso che soffre per la storia della Napoli preunitaria e ben più gravemente per le arretratezze civili della Campania odierna», che sono «gridi in aperta piazza».
In effetti, «Idilli napoletani» sono un racconto di tanti piccoli mali della Napoli di oggi, che, al di là dei grandi mali della camorra e della «monnezza», rendono inadeguato e incivile il profilo odierno della città. Vi sono articoli che riguardano Eugenio Torelli Viollier, il garibaldino napoletano che fondò il «Corriere della Sera » di Milano e a Napoli è generalmente ignorato; il caos che nasce alla Stazione Centrale di piazza Garibaldi per la mancanza di cartelli che indichino gli orari di arrivi e partenze dei treni metropolitani; i tempi «biblici» che occorrono per sbrigare una pratica per una visita al «Monaldi», uno dei maggiori ospedali napoletani.
Ma il centro del racconto è il quartiere del Vomero, dove l’autore abita da una quarantina di anni. Ma il Vomero di oggi non è più quello di quaranta anni fa. Oggi il Vomero è costituito da «gusci semivuoti », è una cittadella che si spopola e ha «due sole scuole medie contro sette di quegli anni che furono », è una cittadella dove la toponomastica è piena di contraddizioni e di errori, una cittadella assordata dai rumori, nella quale la notte è una «bolgia infernale ». Il racconto della città è anche il racconto della vita dell’autore, che conversa con la moglie sui piccoli inconvenienti della città, esce di casa e parla dei mali della città con il collega professore, con l’amico sarto, con la «Signorina » che abita sullo stesso pianerottolo, vede un gatto morto lasciato sulla strada dalla «insensibilità e cecità dei napoletani» e lo porta all’estrema dimora. La Napoli descritta in queste pagine è la Napoli di oggi, la città disordinata, brutta, sporca, diversa dalla bella Napoli di ieri. Le confidenze dell’autore sulle varie deficienze della città sono fatte con tono ironico e quasi sottovoce. Ma la denuncia del nostalgismo dei neoborb onici, che hanno avuto modo di interpretare romanticamente il brigantaggio, «un passato che non si può, non si deve rimpiangere », e di attribuire a Ferdinando IV i meriti della fondazione a Napoli del Primo Orto Botanico in Italia nel 1807, negli anni del rinnovamento e di riscossa del decennio francese (1805-1815), come quella dei mali, camorra, «monnezza», droga, disoccupazione, povertà, che infestano la Campania di oggi, è fatta con voce alta e ferma. «Calabria extra e intra moenia » è, invece, il racconto di un viaggio in Calabria che l’autore ha compiuto 55 anni fa.
Uscito nella collana «Viaggio in Calabria » dell’editore calabrese Rubbettino, il volumetto è presentato con una prefazione del calabrese Walter Pedullà, che inquadra questo «libro di un pioniere in una terra sconosciuta ma feconda di storia e di leggende» in un discorso ad ampio raggio sulla storia della Calabria. «Calabria extra moenia», il primo dei due capitoli nei quali è suddiviso il libro, è una premessa al racconto del viaggio, nella quale l’autore ricorda l’attrattiva esercitata su di lui dalla gente di Calabria già negli anni dell’infanzia trascorsa nel paese di Serra in Irpinia presso i nonni contadini, quando rimase colpito dalla figura di una massaia di origine calabrese che incuteva timore tutt’intorno al paese con le sue grida minacciose, e, più fondatamente, negli anni dell’Università a Napoli, quando stava con una borsa di studio nella Casa dello Studente e aveva come compagni brillanti studenti calabresi, come il carissimo Riccardo Schipani e un misterioso studente di Giurisprudenza: due conoscenze della gente di Calabria, che «se ti è amica, ti è amica davvero ».
Il secondo capitolo, «Calabria intra moenia», è il racconto del viaggio in Calabria, che l’autore, laureato in Lettere classiche il 27 novembre 1957 alla «Federico II», compie a 23 anni tra il Natale 1957 e l’Epifania 1958 pressato dalla necessità di riscontrare direttamente «i problemi proposti dai testi di Rossi-Doria, di Scotellaro, della rivista “Nord e Sud”, di Dorso, Sturzo, Gramsci». Tappe del viaggio, compiuto con un vecchio treno, nella carrozza di terza classe che porta da Napoli a Crotone e poi nelle corriere locali, sono Crotone, «uno dei centri nevralgici della Magna Grecia e della sapienza pitagorica»; Affilia, un borgo contadino vicino a Crotone, dove è ospitato affettuosamente dalla famiglia del carissimo Riccardo;
San Giovanni in Fiore, dove visita l’Abbazia, nella quale secondo la tradizione sono conservati i resti del «calavrese abate Giovacchin / di spirito profetico dotato», e si sofferma dinanzi alla «colonna spezzata eretta a ricordo della cattura, qui avvenuta, dei fratelli Bandiera»; Camigliatello, «una delle perle, se non la perla per eccellenza, della Sila», dove compie passeggiate vivificanti su una spianata a 1200 metri di altitudine coperta di neve segnata soltanto dalle orme di quello che è probabilmente un lupo; Locri, che aveva gareggiato «in splendore con le altre poleis consorelle nella madrepatria e in Asia Minore», di cui sono testimonianze gli scavi di Locri Epizefiri e il testo delle leggi di Seleuco;  infine Reggio, ultima tappa del viaggio, dove prende il treno per il ritorno a Napoli. Gli assi fondamentali del racconto sono quello naturalistico, quello storico-archeologico e soprattutto, quello storico-politico. Alla base, infatti, del viaggio e del racconto dello scrittore irpino- napoletano c’è un’attenzione studiosa per «un Sud che ha dato ospitalità a tutti: a greci e a fenici, a bizantini, a italici e a preitalici, a ebrei e ad islamici, a celti, ad africani, a longobardi, a corsari, a naufraghi, a fuggiaschi, ad avventurieri, a ladroni e a ladruncoli. E a briganti. Ma anche a severi e rigorosi cenobiti, a macerati ascetici romiti, a servi della gleba, pazienti come animali da soma.

DI AURELLO BENVENUTO

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