Massima solidarietà a Emma Bonino. Sugli immigrati peró … non facciamo regali a Salvini (agenziaradicale.com)

del 8 Agosto 2018

Giuseppe Rippa, Luigi Oreste Rintallo

Alle frontiere della libertà

Come reagire alla «società delle conseguenze»

Nel corso del suo recente intervento al Senato, Emma Bonino è stata più volte interrotta e contestata dai banchi della maggioranza governativa. L’episodio va oltre il folklore delle intemperanze di alcuni parlamentari, anche perché aggravato dalla sequela di insulti e improperi scaricatasi sui social forum che riportavano il video della seduta del 25 luglio. I modi e i toni testimoniano un insopportabile degrado dei comportamenti: per questo, a Emma Bonino va la massima solidarietà.

E al tempo stesso il riconoscimento di aver saputo difendere la dignità e il prestigio del confronto politico, oggi troppo spesso affine al modello chiassoso e sgarbato di tanti talk show caratterizzati da intolleranze e ostilità pregiudiziali che impediscono un’analisi attenta dei problemi.

Emma Bonino è intervenuta sui modi in cui l’attuale governo sta affrontando l’immigrazione, un tema quanto mai rilevante nella dialettica politica odierna e che si è rivelato dirimente anche per quel che riguarda la distribuzione dei consensi nelle ultime elezioni. Da molti osservatori, il successo conseguito dalla Lega di Matteo Salvini è stato attribuito proprio alla reazione che le politiche sull’immigrazione dei passati governi hanno suscitato nell’opinione pubblica. Da questo punto di vista, bisogna prendere atto che la senatrice di +Europa ha dimostrato, con le sue parole, di non aver nulla da riconsiderare circa le azioni intraprese prima dal governo di Enrico Letta e poi da quello di Matteo Renzi.

Eppure, come rilevava Giuseppe Rippa nel libro Alle frontiere della libertà (Rubbettino; 2015), era di tutta evidenza già tre anni fa che operazioni come Mare nostrum, “da opera d’aiuto, ha finito per trasformarsi in realtà in un favoreggiamento delle peggiori inclinazioni di stampo criminale, all’insegna del cinismo più sfrenato e indifferente”, visto “che constatiamo come i possessori di barche-carretta raccolgano il doppio delle persone sulle spiagge del Nord Africa e non le portino più al largo dei nostri mari, ma le lascino poco oltre la Libia” (p.128).Del resto, a Emma Bonino stessa si deve il merito di aver onestamente riconosciuto, nell’estate dello scorso anno, come nel 2014-16 fu il governo italiano a volere “che gli sbarchi avvenissero tutti quanti in Italia, lo abbiamo chiesto noi, l’accordo l’abbiamo fatto noi, violando di fatto Dublino” («Il fatto quotidiano», 5 luglio 2017).

Ci domandiamo: la scelta compiuta allora non dovrebbe, dunque, essere sottoposta a un ripensamento? Ma vi sono anche altri aspetti che richiedono di venire compresi e approfonditi a proposito della questione immigrati. Qui li sintetizziamo attorno a pochi punti chiave, approfittando della singolare circostanza che alla fine di luglio sul tema vi sono stati interventi a nostro giudizio assai significativi.

Un primo punto controverso si riferisce all’ineluttabilità del fenomeno. Più volte, nel suo discorso al Senato, Emma Bonino ha fatto ricorso alla metafora del “mare che non può svuotarsi con un cucchiaio”, riferendosi alla vanità del tentativo salviniano di bloccare gli arrivi dall’Africa.

È altrettanto vero, però, che è impensabile far entrare il mare in un vaso. Occorre inoltre riconoscere che lo spostamento via mare è di certo quello più pericoloso da realizzare e che, quanto sta avvenendo, deriva da scelte determinate dagli speculatori e dai trafficanti di uomini. Quegli stessi ai quali si è riferito papa Francesco, dopo l’Angelus del 29 luglio ricordando la Giornata mondiale contro la tratta delle persone: “Anche le rotte migratorie sono spesso utilizzate da trafficanti e sfruttatori per reclutare nuove vittime della tratta”.

Altro snodo importante concerne la distinzione migranti/ rifugiati. La principale responsabilità dei governi a guida PD è stata quella di mescolare le carte e di confondere lo stato giuridico del migrante economico con quello del rifugiato politico.

Da quel momento, in nome di un “buonismo” dai contorni opachi che si innestava con il circuito delle sovvenzioni statali alle cooperative di assistenza agli immigrati, l’accoglienza è stata non solo indiscriminata ma è diventata anche un modo per incrementare i volumi d’affari. Se è vero, come ha rilevato Alberto Alesina sul «Corriere della Sera», che i numeri reali sugli stranieri presenti nel Paese contraddicono quelli “percepiti” dai suoi cittadini, è altrettanto vero che esiste una differenza nella qualità degli ingressi e nella capacità di gestione sia del controllo sul territorio e sia delle attività utili per favorire i processi di integrazione.

Un conto sono il milione di rifugiati politici dalla Siria e dall’Afghanistan accolti in Germania nel solo 2015, e un conto i quasi altrettanti migranti “economici”, provenienti per lo più da nazioni africane non in guerra, trasferitisi in Italia negli ultimi anni. A dirlo è stato Claudio Martelli, nel terzo incontro del 10 luglio al Teatro Parenti di Milano dedicato alla “Resistibile ascesa del nazionalpopulismo”, che ha poi osservato: “l’Italia ha accolto quasi altrettanto della Germania tra il 2011 e il 2018. Solo che non sappiamo se si tratta di profughi politici o di migranti economici. Perché non lo sappiamo? Perché non lo vogliamo sapere. Perché ci è convenuto, nella nostra stupida illusoria furbizia, fare confusione: vabbé, li prendiamo tutti perché siamo buoni; tanto non vogliono mica stare in Italia… L’Italia è un transito: facciamoli passare, accogliamoli e li facciamo passare, anzi li aiutiamo. Io so di casi di pullman affittati da pubbliche autorità che li trasferivano dalla Sicilia verso il nord Italia e poi li lasciavano lì. Il casino francese a Ventimiglia deriva da questo; i Francesi hanno i loro difetti ma su questo punto bisognerebbe discutere un po’ seriamente”.

La questione, come si vede, presenta aspetti molteplici e densi di contrasti. Qualunque approccio di tipo ideologico andrebbe evitato, perché altrimenti si finisce per avvitarsi su se stessi e si allontana una governance reale.

Se oggi il fenomeno dell’immigrazione è usato dalla Lega di Salvini come una formidabile leva per ottenere consenso, avviene perché tale leva gli è stata consegnata dalla deriva politically correct fatta propria dal PD. Di certo non è pensabile contrastare le scelte di questo governo invocando la percentuale di PIL prodotta dai lavoratori immigrati nel nostro Paese. Anche perché se c’è una cosa che il movimento dei diritti civili ha insegnato al mondo intero è il fatto che ciascuna persona è un fine e non un mezzo.

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