Il prepuzio di Cristo

di Guglielmo Salotti, del 4 Dicembre 2015

Tonino Ceravolo

Il prepuzio di Cristo

Storie di reliquie nell'Europa cristiana

Da Storia in rete

“Il Prepuzio che gli fu tolto nella circoncisione, lo posseggono i frati di Charvoux nel Poitiers, che frutta loro 3 o 4 mila lire all’anno, per il solo mostrarlo alle donne partorienti, onde facilitarne il parto. Esiste pure a Roma, in S. Giovanni in Laterano; a Hildespenim in Alemagna; a Calcato, in provincia di Viterbo, e a Siena alle Cappuccine […] Ma che Cristo avete voi Cattolici? Un Cristo senza unghie, un Cristo sdentato, un Cristo con mezzo Bellico, un Cristo con cinque prepuzi?”. Al di là dell’errata toponomastica di alcune località, il pamphlet del 1808 di Alessio Ciottolini, nel riprendere temi già presenti nel calvinismo, irrideva la vera e propria “corsa alle reliquie”, iniziata già dalle prime Crociate, destinate a collezionisti ecclesiastici (papi, chiese, conventi) e laici (sovrani o privati). Un traffico che riguardò non soltanto reliquie dei più disparati santi, ma anche, in un nemmeno tanto ipotetico “borsino” dei pezzi pregiati, quelle legate alla vita e, soprattutto, alla morte di Cristo.
Pur senza tralasciare un discorso più generale, il saggio di Tonino Ceravolo, studioso di storia e antropologia religiosa, si incentra in particolare su una reliquia risalente invece ai primi momenti di vita di Gesù, e cioè l’ombelico e il prepuzio conservati da Maria dopo la circoncisione. Sulle rocambolesche vicende che riguardano tale reliquia – passata da Maria a Maria Maddalena, portata da un angelo a Carlo Magno ad Aquisgrana, traslata da Carlo il Calvo a Roma e da qui, dopo il sacco del 1527, salvata da un lanzichenecco e ricomparsa “miracolosamente” a Roma, nel Sancta Sanctorum del Laterano, e nel paesino di Calcata, in provincia di Viterbo ai confini con quella di Roma – sarebbe ozioso soffermarsi più di tanto, e del resto non lo fa nei dettagli lo stesso Autore. Che, detto per inciso, resiste opportunamente alla tentazione di creare una innaturale analogia fra il culto delle reliquie e quello dei resti mortali di personaggi – si tratti di sovrani, di un Lenin o di un Che Guevara all’estero, di Garibaldi, Mazzini, Mameli e altri protagonisti del Risorgimento in Italia – oggetto, alle più diverse latitudini, di un processo di identificazione nazionale e politica, senza implicazioni o complicazioni trascendentali.
Sin troppo facile e scontata, alla luce di quelle vicende, la polemica di riformatori e illuministi su una reliquia che, a loro parere, costituiva un esempio lampante di una superstizione religiosa frutto della diffusa ignoranza, mentre ai cattolici sembrò la prova dell’umanità di Cristo. Troppo rocambolesche, in fondo, quelle vicende, e la presenza di altri esemplari della reliquia in Italia e in Europa, persino per la stessa Chiesa cattolica che, dopo aver lanciato, per bocca del Santo Uffizio, l’interdetto contro di essa agli inizi del ‘900, arrivò, con la riforma liturgica uscita dal Concilio Vaticano II dei primi anni ’60, a sostituire, alla data dell’1 gennaio, la festività “In circumcisione Domini” con quella dedicata a Maria Santissima Madre di Dio. Atti inequivocabili, ma che, ancora per un paio di decenni, non impedirono il protrarsi dell’equivoco a Calcata, dove la reliquia sarà esposta ogni Capodanno, almeno sino al novembre 1983, quando il prepuzio, e il prezioso reliquiario che lo conteneva, scomparvero misteriosamente (e miracolosamente?) dall’abitazione del parroco.

di Guglielmo Salotti

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